Che cosa non convince nel piano Juncker

, di Michele Ballerin

Che cosa non convince nel piano Juncker

Per come è stato presentato da Juncker al Parlamento europeo il molto annunciato piano di investimenti della Commissione rischia di tradire parecchie speranze. E non si tratta solo dell’esiguità della cifra in gioco. Questa sarebbe una critica troppo facile e in fondo ingenerosa per un’iniziativa che, come ha giustamente fatto notare Mario Monti, segna comunque un netto cambio di rotta nella politica europea.

Abbiamo scoperto che il capitale pubblico che entrerà nel progetto sarà di 21 miliardi sui supposti 300, e che la parte restante dovrà essere il risultato di un sistema virtuoso di leva finanziaria nel quale si auspica entreranno investitori privati in quantità sufficiente a moltiplicare per 15 ogni euro investito dall’UE. I 21 miliardi, prelevati parte dal bilancio UE parte dalla Banca Europea degli Investimenti in ragione di 16 e 5, andranno a costituire un Fondo europeo per gli investimenti strategici; con una garanzia di 21 miliardi lo statuto della BEI le permette di indebitarsi per tre volte tanto, quindi fino a 63 miliardi da investire nello sviluppo. Ma il resto si spera ce lo metteranno i privati con il concorso, si spera di nuovo, degli Stati membri dell’UE.

Anche a prescindere da questo notevole ridimensionamento dello sforzo pubblico, su un capitale complessivo atteso di per sé già insufficiente – anche chiudendo gli occhi su quei miliardi che per migrare nel nuovo Fondo abbandonano programmi europei di investimenti in ricerca e innovazione come Horizon 2020 – ciò che delude è l’impianto stesso del progetto, basato sull’idea che si debba mantenere inalterato il quadro finanziario e istituzionale dell’UE. Nel suo speech al Parlamento Juncker si è preoccupato più volte di ribadirlo: ma per rassicurare chi?

Il quadro generale lo conosciamo abbastanza bene. La maggior parte degli Stati non ha soldi da investire, impegnata com’è a salvare il salvabile con risorse in costante diminuzione, il bilancio UE è oggi – soprattutto per volontà della Gran Bretagna – ai minimi storici (meno dell’1% del PIL comunitario) e da quando la crisi finanziaria del 2008 ha colpito l’economia reale l’appiattimento della domanda ha scoraggiato gli investimenti privati. In un simile contesto è chiaro che non ci sono surplus significativi a disposizione. Vorrei ricordare che il bilancio pluriennale dell’Unione, che copre il periodo 2013-2020, fu deciso clamorosamente al ribasso dal Consiglio europeo l’anno scorso, e in assenza di un atto altrettanto clamoroso non sarà rimesso in discussione prima del 2016.

Non volendo strappare una volta per tutte la camicia di forza che la imprigiona, la Commissione sta provando ad agitarcisi dentro, ma il risultato è un esercizio ginnico che si preannuncia difficile e che rischia l’inconcludenza. Il problema del piano Juncker è che non vuole uscire dal quadro, cioè non vuol sentir parlare di fiscalità né di debito federale. In breve, si vuole tenere alla larga da quello che resta invece il tema principe dell’agenda europea: un’unione fiscale dell’Eurozona imperniata sulla costituzione di un vero bilancio federale.

Se si legge con attenzione fra le righe del discorso di Juncker il meccanismo secondo cui il piano dovrebbe funzionare si presenta come l’ennesimo pasticcio intergovernativo, e la contraddizione di fondo non tarda ad emergere. Molta della fortuna del progetto viene lasciata alla buona volontà degli Stati membri dell’UE, che sono invitati a contribuire al Fondo per gli investimenti. “Buona volontà”, “invitati”... strano gergo, non è vero?, che sembra avere ben poco a che fare con la politica e le sue dure leggi.

In effetti, la debolezza di concezione del piano si rivela tutta qui: come si prevede di incentivare la partecipazione degli Stati? Quello che si chiede ai governi è di agire come in un quadro federale mentre il quadro resta intergovernativo, invitandoli a contribuire al Fondo in nome o di un’astratta solidarietà (che in una federazione sarebbe invece – e giustamente – obbligata, in quanto i trasferimenti fra regioni sarebbero una funzione del governo centrale) o di un ritorno economico in cui si può sperare genericamente ma che è impossibile prevedere, perché gli Stati che contribuiscono hanno la certezza di veder scorporata la spesa dal calcolo del deficit, ma non sanno se e in che misura andrà a loro beneficio. Cui prodest?... Domanda che in una federazione sarebbe sbagliata oltre che superflua, ma che in un sistema di cooperazione fra Stati mantiene purtroppo intatto il suo valore.

Data questa strana pretesa – che Stati sovrani e indipendenti si comportino con la virtuosità che soltanto un assetto federale potrebbe garantire, imponendolo con la forza della sua stessa costituzione – sarà interessante vedere quanti governi, e in che misura, saranno indotti a contribuire al Fondo. L’invocazione di Juncker in proposito suona irresistibilmente retorica: “I nostri destini sono uniti”, ha ricordato. Se davvero vogliamo che sia così, uniamoli: non c’è altra strada. Ma finché li terremo artificialmente separati con la gestione intergovernativa di un bilancio senza risorse sarà inutile invocare la “solidarietà europea”.

La solidarietà fra Stati non è un frutto spontaneo: per ottenerla serve l’imperio della legge, cioè servono istituzioni federali. E, da che mondo è mondo, è nella composizione del bilancio che la politica svela le sue reali intenzioni e le sue effettive priorità. Il pretesto è quello di un piano di sviluppo ma il tema è quello dell’unione fiscale (guarda caso la prossima tappa, dopo l’unione bancaria, prevista dalla road map di Commissione e Consiglio del 2012). Se davvero si vogliono spese comuni serve un bilancio comune. Il problema è come arrivarci, certo. Ma “tutto il resto è letteratura”.

Ci sono altre critiche che il piano, così com’è stato presentato finora, è destinato a sollevare. Resta ad esempio un problema di legittimità democratica. Il Parlamento europeo è stato gratificato dalla presentazione ufficiale, ma le sue prerogative in merito al “più grande sforzo nella storia europea di impiegare il bilancio comunitario per attivare investimenti” terminano qui; per il resto esso sarà completamente escluso dall’operazione, e non avrà nessun controllo sul Fondo. Il commento di Juncker in proposito sembra una beffa: “Il Parlamento europeo è un partner chiave,” ha detto, “la Commissione e la BEI vi terranno costantemente informati”. Tutto qui. Ma è scritto nei Trattati – in materia di politica economica il potere del PE è solo consultivo – e per cambiarlo bisogna cambiare i Trattati. Fino a quel giorno il PE sarà persona informata sui fatti e nulla più.

Comunque, l’ultima parte del discorso di Juncker contiene un’allusione che ci aiuta a sperare. Non è detto che il Fondo sia destinato a una carriera effimera: potrebbe evolvere in qualcosa di diverso e di duraturo. Se questa fosse un’allusione alla possibilità di farne prima o poi un’estensione del bilancio comunitario saremmo forse sulla buona strada, benché ancora molto distanti dalla meta. Ma si dev’essere consapevoli che per arrivarci si dovrà passare per una riforma istituzionale che sarà, nei fatti, una specie di rivoluzione, e che mettere mano ai Trattati sarà inevitabile se vogliamo che le nostre aspettative si concretizzino in un piano di portata davvero storica. Non si potrà avere in Europa una politica di sviluppo efficace senza un’unione fiscale, e una vera unione fiscale richiede una vera unione politica.

Articolo pubblicato originariamente su Euroscopio.

Fonte immagine Flickr.

Tuoi commenti
  • su 8 dicembre 2014 a 19:10, di Francesco Franco In risposta a: Che cosa non convince nel piano Juncker

    Non posso non concordare con l’impiento generale dell’articolo. Vorrei però aggiungere due considerazioni che ritengo non marginali:

    1) più volte i federalisti sono stati messi di fronte all’aut aut se accontentarsi dell’uovo oggi o insistere per avere la gallina. Più volte ci siamo ragionevolmente accontati dell’uovo, lo abbiamo covato o fatto covare e ne abbiamo poi ottenuto l’attesa Gallina. Le CEE succeduta alla Ced fu una di queste uova. Da cui, 54 anni dopo, nasce la gallina UE. Gallina (che nei primi anni 90 del secolo scorso) pareva persino essere una Gallina dalle uova d’oro. Per altro a ben vedere quello che gli eurodeboli ritorcono contro la Gallina Euro é proprio di avere smesso da qualche anno di fare le ova d’oro (ma di depositarne di normali soltanto). Questo piano Junker pur con tutti i suoi limiti e difetti - di cui bisogna essere ben consapevoli - mi pare un altro uovo da covare. Anche perché nelle relazioni intergovernative (poiché restiamo ancora a tale stadio occorre accettare che i passi avanti - pur significativi nei principi - iniziando da questioni certamente importanti ma trovando accordi su aspetti limitati, speciali o molto specifici). Che poi il piano non preveda un’ obbligazione di aderire al fondo «per il benessere sociale» (lo chiamerei così - e non ND4E - in modo che sia ben chiaro a cosa serve) non rientra forse nella posizione federalista secondo cui a questo stadio dell’integrazione europea occorre rifondare ed approfondire l’Unione facendo appello alle regioni interessate (così da non ingaggiare a forza dei marinai non interessati a raggiungere la meta finale) ? Se inoltre il Parlamento sarà solo «tenuto informato» ciò equivale alla situazione in cui si trovava l’Assemblea parlamentare CEE nei primi anni 50 quando era praticamente priva di poteri effettivi (il che non ha impedito l’evoluzione a cui si é oggi pervenuti e non impedirerà al Parlamento di appropriarsi della funzione per esso essenziale e primaria (che ha giustificato storicamnte nel tempo e nei secoli la loro esistenza, ovvero, controllare l’uso e ragionevolmente, se possibile, limitare la quantità di risorse da assegnare al Re, Governo, Leviatano [ora Consiglio: una sorta di Idra governativa dalle 28 teste]. (continua)

  • su 8 dicembre 2014 a 20:40, di Francesco Franco In risposta a: Che cosa non convince nel piano Juncker

    2) (segue) Un fondo Junker o Verohfstadt o simile «per il benessere sociale» (preferisco chiamarlo così - in luogo di ND4E - senza cedere alla moda degli acronimi esoterici in modo che il suo obiettivo sia chiaro per tutti) da mettere in opera al livello adeguato é una necessità non eludibile e pertanto qualsiasi embrione del medesimo - una volta operativo - é probabile che se opportunamente covato evolva rapidamente verso il bene pubblico necessario. La crisi finaniaria a cui ci troviamo confrontati é internazionale (e deriva essenzialmente dall’indebolimento finanziario degli Stati Uniti che nei precedenti 60 anni trassero ampi benefici dalla utilizzazione del dollaro come moneta di riserva e, grazie alla loro oggettiva posizione dominante negli scambi intercontinentali sostanzialmente dettarono le regole di funzionamento del sistema monetario internazionale e della organizzazione degli scambi commerciali interstatali). A questa crisi pertanto necessita dare risposte al livello adeguato. Pretendere il contrario (e cioé il mero coordinamento UE di politiche di bilancio che restino sostanzialmente nazionali equivale a richiedere ai cittadini di una città periodicamente soggetta ad alluvioni di erigere davanti alla porta della propria casa o giardino muretti o collocare sacchetti di sabbia (trascurando che in tal modo se gli abitanti resteranno singolarmente all’asciutto) le strade dell’abitato saranno comunque sovente trasformate in impraticabili torrenti. In questo caso il bene pubblico che occorre fornire al livello adeguato é «un argine». E’ il caso di Venezia (ove l’argine - Mose - è in costruzione).

    Del pari se una città tema di essere bombardata e - seppure per necessitate ragioni di bilancio - consigliasse ai residenti di utilizzare i rifugi antiaerei ma si sguarnisse del bene pubblico adeguato per proteggerla (i suoi residenti in caso di azioni belliche salveranno individualmente, per lo più, le loro vite) ma la città verrà comunque a trovarsi esposta a distruzioni che polverizzeranno le sue abitazioni ed il suo tessuto storico urbanistico determinando un grave e persistente ed in qualche caso definitivo depuaperamento della sua ricchezza.

    Fu il caso (tristemente noto, eppure realmente avvenuto poco prima della fine della seconda guerra mondiale) dei bombardamenti alleati del gioiello culturale tedesco di Dresda. (Le azioni aeree furono dettate, sembrerebbe, come sostengono taluni storici, dal desiderio alleato di ammonire i Russi sulla capacità offensiva convenzionale Atlantica).

    In questo caso «il bene pubblico al livello adeguato» per Dresda sarebbe stato «un gruppo di batterie antiaeree» di cui la città era invece stata rigorosamente privata - per mancanza di risorse - dovendosi privilegiare la difesa sul fronte russo.

  • su 14 dicembre 2014 a 02:46, di Francesco Franco In risposta a: Che cosa non convince nel piano Juncker

    UNA OPINIONE CONCORRENTE La risposta alla crisi finanziaria internazionale che pretende di dare il Consiglio UE è puramente nazionale (in quanto fondata sul risanamento e riequilibrio dei bilanci nazionali) da effettuare in base a parametri di convergenza che rappresentano una specie di letto di Procuste. La risposta che dovrebbe essere data ad una crisi finanziaria internazionale è necessariamente sovranazionale e richiede un bene pubblico al livello corrispondente (e cioè continentale). Nel caso di una città a rischio esondazione (per esempio Venezia) il bene pubblico al livello adeguato è costituito da un argine (e non dalla privata o famigliare edificazione di muretti o messa in opera di sacchetti i sabbia), nel caso di una città a rischio di bombardamento aereo (per esempio Dresda alla fine della seconda guerra mondiale) il bene pubblico al livello adeguato non potevano essere i privati rifugi nelle cantine (ma avrebbe dovuto essere un gruppo di batterie di contraerea di cui la città era stata sguarnita) così nell’eurozona il bene pubblico non può essere cecato nel riordino dei bilanci nazionali perché è invece costituito da un «bilancio europeo» finanziato con risorse non statali anche private. Nello specifico la zona euro potrebbe creare un fondo per il benessere sociale che promuova e sostenga anche con l’apporto di capitali privati gli investimenti eccellenti:
     sicuramente strategici (come l’alta velocità e l’alta capacità, come la ricerca e lo sviluppo che possono derivare dall’acquisizione della capacità conservare e permettere il trasporto delle energie solari e rinnovabili),
     con elevato ritorno sul capitale investito (selezionati dalla BEI a livello continentale). la risposta alla crisi finanziaria internazionale che pretende di dare il Consiglio UE è puramnte nazionale (in quanto fondata sul risanamento e riequilibrio dei bilanci nazionali) da effettuare in base a paremetri di convergenza che rappresentano una specie di letto di procuste. La risposta che dovrebbe essere data ad una crisi finanziaria internazionale é necessariamente sovranazionale e richiede un bene pubblico al livello corrispondente (e cioé continentale). Nel caso dell’eurozona il bene pubblico è costituito da un «bilancio europeo» finanziato con risorse non statali Nello specifico la zona euro potrebbe creare un fondo per il benessere sociale che promuova e sostenga anche con l’apporto di capitali privati gli investimenti eccellenti:
     sicuramente strategici (come l’alta velocità e l’alta capacità, come la ricerca e lo sviluppo che possono derivare dall’acquisizione della capacità conservare e permettere il trasporto delle energie solari e rinnovabili),
     con elevato ritorno sul capitale investito (selezionati dalla BEI a livello continentale). [continua]

  • su 14 dicembre 2014 a 03:06, di Francesco Franco In risposta a: Che cosa non convince nel piano Juncker

    UNA OPINIONE CONCORRENTE [segue] Al conseguimento di questo scopo è orientata l’iniziativa di democrazia diretta si, avete letto bene, (DIRETTA! proprio come auspicato dai vari Movimenti alla spasmodica ricerca del consenso elettorale ma incapaci di un progetto politico organico) perché i trattati UE già dal 2009 attribuisono a un milione di cittadini UE il diritto di iniziativa legislativa (che nella UE è monopolio della commissione): ovvero proporre all’organo di governo l’adozione di misure su temi che sentono come cruciali] come cruciale è il New Deal 4 Europe di cui spero le forze politiche italiane (non finanziate da Mosca) vorranno, con lungimiranza, coglierne e sostenerne le valenze, poiché chiamando intorno ad esse uomini e statisti che vedono ciò che rappresenta davvero il bene comune non si corre dietro alle facili illusioni populiste, lepeniste o putiniste). Qualora pur condividendo la filosofia dell’iniziativa non fosse possibile una sottoscrizione cartacea fisica della stessa per facilmente intuibili ragioni logistiche invito a sottoscriverla cliccando sul seguente link: https://ec.europa.eu/citizens-initiative/REQ-ECI-2014-000001/public/index.do?lang=it.

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