Il Piano D della Commissione

Comunicare non basta

, di Marta Semplici

Comunicare non basta

Se volessimo sintetizzare ciò che i media, la classe politica europea e le stesse Istituzioni hanno saputo dire sull’Europa dal 29 maggio in poi, ricorreremmo ad una sola parola: «impasse». Questo termine francese, molto alla moda da allora, insieme con altre espressioni come “la crisi”, “la paralisi” o addirittura “la fine del processo d’integrazione” hanno contribuito a ridurre l’attualità europea ad un puro immobilismo. Nei fatti, però, questo scenario è stato contraddetto.

Il processo di ratifica della Costituzione ha proseguito in altri Stati membri e il dibattito sul futuro dell’Europa, seppur non con l’intensità raggiunta durante il referendum in Francia, non si può certo dire esaurito. In questo periodo turbolento, semmai, la vera «impasse» si riscontra nel ritardo con cui le possibili soluzioni si delineano e si affermano a livello politico. Nel frattempo, la risposta data dalle Istituzioni europee alla crisi è stata incentrata su una nuova strategia di comunicazione.

Colmare la distanza tra le Istituzioni e i cittadini è senza dubbio un obiettivo prioritario al fine di creare uno spazio pubblico europeo che possa accogliere più favorevolmente le prossime riforme. E’ un’esigenza chiara, frutto di una riflessione critica dopo il “no” ottenuto in ben due Paesi fondatori. Resta, però, il pericolo che gli strumenti adottati si occupino più della forma che del contenuto delle riforme necessarie.

In vista del “periodo di riflessione”, la Commissione europea ha proposto un anno fa l’attivazione di un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, di cui ha recentemente specificato gli orientamenti e i settori d’azione nel Libro bianco su una politica europea di comunicazione. Il Commissario alle Relazioni istituzionali e per la strategia di comunicazione, Margot Wallström, ha perciò promesso un cambiamento decisivo in risposta alla crisi europea. La nuova strategia implica non solo la trasparenza e la capacità di informazione delle Istituzioni europee, ma punta soprattutto ad “avvicinarsi ai cittadini” dopo il fallimento in questo campo della Convenzione sull’avvenire dell’Europa che ha redatto la Costituzione. L’obiettivo ultimo è creare un dialogo sistematico con la società civile europea.

In primo luogo, si prevede una migliore cooperazione tra livelli istituzionali europei, nazionali e locali. L’instaurazione di un dibattito europeo deve avvenire prima a livello locale rendendo i cittadini più consapevoli dell’influenza e delle politiche dell’UE. Inoltre, negli Stati membri si vogliono stimolare dei dibattiti nazionali sul futuro dell’Europa, specialmente in quei Paesi in cui una vera riflessione sulla Costituzione non ha ancora preso piede. A Commissari e Parlamentari europei, poi, spetta il compito di rivolgere particolare attenzione a questi dibattiti, aumentando così la loro visibilità insieme al numero di visite negli Stati membri. Una politica di comunicazione non poteva certo tralasciare i mass media. In merito a ciò, il Libro bianco punta all’incremento della visibilità delle tematiche europee nei giornali, nelle radio e alla televisione, oltre che a sfruttare le possibilità “interattive” concesse dalle nuove tecnologie. Non da ultimo, ci si pone come obiettivo il miglioramento dell’immagine data dai media delle Istituzioni, ripristinandone la fiducia nei cittadini.

Dunque, la volontà che si trova alla base del Libro bianco sulla comunicazione e del Piano D è quella di rinvigorire la democrazia europea e di contribuire alla nascita di una sfera pubblica europea, in cui i cittadini possano essere correttamente informati e possano partecipare al processo decisionale. Ma questi strumenti da soli possono effettivamente guarire il sentimento di distacco dal processo democratico da cui sono affetti i cittadini europei? Tali dibattiti esprimeranno le opinioni e le richieste della società civile europea e aiuteranno le istituzioni europee, in particolare la Commissione, a definire meglio le proprie priorità.

Interrogando gli europei su temi come lo sviluppo economico e sociale dell’Europa, i suoi compiti e il suo ruolo nel mondo, non dovrebbe stupire se il risultato ottenuto sarà di gran lunga più avanzato e ambizioso dei discorsi politici ufficiali. Potremmo immaginare che sia avanzata dai cittadini la proposta di dotare l’Unione Europea di un budget più sostanzioso capace di sviluppare la competitività delle nostre imprese e delle nostre Università –una volontà peraltro già contenuta nella strategia di Lisbona, ma che è finora rimasta sulla carta-. Si potrebbe chiedere un ruolo più forte dell’UE nelle relazioni internazionali che garantisca la sicurezza del continente dalla minaccia terrorista, che possa trovare una risoluzione del vicino conflitto israelo-palestinese, ma che possa anche intervenire efficacemente sulla tutela dell’ambiente e sulla scottante questione dell’immigrazione clandestina. Potremmo domandare, come hanno già fatto gli elettori francesi, più diritti e garanzie sociali, una politica dell’occupazione efficace e una politica economica e monetaria unica per la zona euro.

Informare i cittadini europei e dar loro più voce non significa però necessariamente renderli parte di una democrazia a livello europeo. Il Piano D senza una riforma democratica delle istituzioni costringe gli europei a domandare più Europa senza avere gli strumenti per ottenere questi cambiamenti. I nostri europarlamentari non hanno la possibilità di legiferare se non su questioni marginali, spesso superflue; il Presidente della Commissione, l’organo esecutivo dell’Unione, è scelto sulla base degli equilibri politici presenti al momento in Europa e resta un estraneo agli occhi dei più. Anche se la Commissione avanzasse veramente i risultati di questi dibattiti in seno al Consiglio dell’UE, i capi di Stato e di Governo lì riuniti continuerebbero a votare all’unanimità scegliendo sulla base dei rispettivi legami con la politica interna.

L’ampio ricorso alle tecniche di comunicazione serve a vendere la fiducia nelle Istituzioni in Europa. In un sistema democratico, tale fiducia è assicurata dal meccanismo della rappresentanza, che mette in atto la volontà degli elettori tramite l’azione dei propri eletti. In Europa, la preoccupante assenza di questo meccanismo costringe a ricorrere alle migliori strategie di marketing per dare di Bruxelles l’immagine di una splendida località balneare.

Fonte immagine: Morguefile

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