Expectations about expectations: auspicabili effetti di un Piano europeo di Sviluppo Sostenibile (terza parte)

Dare una direzione al Piano (Parte 3 di 3)

, di Simone Vannuccini

Expectations about expectations: auspicabili effetti di un Piano europeo di Sviluppo Sostenibile (terza parte)

I settori industriali non sono tutti uguali e l’eterogeneità è una caratteristica strutturale degli attori del sistema economico: technological opportunities, appropriability conditions e demand structure [1] sono distribuite in modo non uniforme nell’economia europea.

Perciò, un Piano europeo per lo sviluppo sostenibile deve obbligatoriamente fondarsi sulla consapevolezza della complessa ed interdipendente strutturazione delle attività economiche presenti nel Continente, concentrando il proprio intervento su alcuni settori specifici.

In particolare, il Piano dovrebbe puntare al sostegno e alla promozione delle attività economiche ad alto contenuto di conoscenza e tecnologia, con ulteriore attenzione per quelle volte ad introdurre procedure, sistemi e pratiche ecologiche o environmentally-friendly; questo, al fine di accelerare il processo di riconversione industriale (e al contempo anche la trasformazione del consumo aggregato) verso nuovi standard di sostenibilità.

Con particolare riferimento al settore della ricerca e sviluppo (R&D), é noto lo European paradox [2], ovvero la congettura – supportata dall’evidenza empirica – secondo la quale la produzione scientifica europea si posiziona sulla frontiera piú avanzata della ricerca mondiale, mentre si rivelano molto meno efficaci le policy di trasformazione dell’output scientifico in input per i processi innovativi che stanno (o dovrebbero stare) alla base della competitività dell’industria del Vecchio continente. In breve, gli europei sono “bravi studenti” presi individualmente, ma non riescono a sfruttare a loro vantaggio né gli spillovers di conoscenza e le esternalitá continentali, né le opportunitá tecnologiche ed imprenditoriali offerte dai più avanzati risultati scientifici. La Innovation Union della Commissione europea conferma quanto sostenuto sopra [3], rilevando sia sfide di natura esogena (per esempio nuovi ed emergenti competitori globali i cui investimenti in R&D, comparativamente, superano gli sforzi europei) che problemi endogeni, tra cui un inefficiente legame fra scienza ed industria ed importanti difficoltá nell’impiego dei ricercatori al di fuori del settore pubblico.

Come sostenuto all’inizio del paragrafo, la variegata dinamicità e turbolenza dei settori industriali dipende in massima parte – ceteris paribus i fondamentali macroeconomici – dalla struttura della knowledge base e dalle dynamic capabilities che le imprese sono capaci di condividere, sviluppare e far fruttare nel mercato. Un Piano europeo per lo sviluppo sostenibile, inteso come prima tappa nella delineazione di una coerente politica industriale sovranazionale, può rappresentare il modo migliore per ottenere quella Smart growth [4] e quel Job recovery [5] già oggi prioritario per le istituzioni europee.

Eurobonds e Piani alternativi

Per completare il quadro generale e sintetico degli effetti attesi del Piano e dopo aver prospettato i principali punti di forza ed aver introdotto alcune brevi precisazioni circa gli obiettivi specifici che dovrebbero nell’opinione di chi scrive informare il progetto, resta soltanto da capire a quali altre proposte politiche si affianca il Piano europeo di sviluppo sostenibile.

Una prima e fondamentale considerazione riguarda la natura dei progetti alternativi: ben pochi sostengono l’idea di un coerente piano volto al rilancio della crescita economica, nonostante quest’ultimo obiettivo sia ormai divenuto patrimonio comune nell’arena politica europea, nonché una pressante necessità per la sopravvivenza delle finanze nazionali. Al contrario, la maggior parte delle proposte si concentra sull’idea degli eurobond ovvero – in termini più generali – sull’individuazione di meccanismi e strumenti istituzionali che al contempo offrano un’opzione per il rilassamento del vincolo debitorio ed anche una modalità di finanziamento di progetti di rilancio; ovviamente fra questi meccanismi rientra anche l’attuale fondo salva-Stati EFSF-ESM e le sue possibili evoluzioni.

Tutti i più importanti commentatori internazionali, dai premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman a Dani Rodrik, Paul De Grauwe, Nouriel Roubini o Hans Werner-Sinn (finito al centro dell’attenzione non soltanto in quanto direttore del tedesco Ifo Institut, ma soprattutto per essere uno dei consiglieri economici del governo tedesco a cui è invisa la proposta di emissione diretta di eurobond), si sono espressi a favore di un’unica, sovranazionale e ben pianificata iniziativa politica che ponga le basi di una reale Fiscal Union europea. La proposta degli eurobond come valvola di sfogo della crisi ha guadagnato credibilità con l’idea del think tank Bruegel di frazionare il debito pubblico dei Paesi europei fra un pool di “blue bonds” garantiti solidalmente ed un residuo di “red bonds” di competenza nazionale, al quale si sono affiancate le proposte, ognuna delle quali presenta elementi di interesse e di parziale cessione di sovranità (anche se le proposte non sempre sono compatibili fra di loro), di Juncker-Tremonti, del Green Paper della Commissione europea, di Vincenzo Visco e di Prodi-Quadrio Curzio. Quest’ultimo progetto in particolare si costruisce non soltanto sulla necessità di un debito pubblico europeo – che nella proposta è garantito dalla riserve auree di ogni Paese – per addolcire il rischio di default e la rincorsa degli spreads, ma sull’aspettativa di poter raccogliere ingenti risorse sui mercati mondiali attraverso le quali finanziare lo sviluppo continentale.

Nonostante la domanda di risposte concrete alla crisi economica si stringa sempre più attorno alla richiesta di lanciare importanti iniziative volte a favorire la crescita economica, quello federalista rimane l’unico tentativo sistematico di indirizzare l’economia europea verso la ripresa e al contempo di concentrare gli sforzi su determinati settori chiave, strategici sia per l’importanza assoluta che questi settori ricoprono nel contesto dell’economia mondiale, che per l’aspettativa di una ricaduta generalizzata sulla popolazione europea in termini di benefici economici e sociali. Certamente, come sostenuto in più occasioni da Alberto Majocchi [6], il Piano non può che essere una tappa intermedia di una più grande road-map che, seguendo gli stessi principi e procedure che ci hanno condotti alla moneta unica europea, provveda a dotare il Vecchio continente di una politica industriale, di un bilancio, di una tassazione e di un Tesoro realmente federali.ù

Questo contributo rappresenta la terza parte dell’articolo. Se vuoi leggere la seconda parte clicca qui.

Fonte immagine: Flickr

Note

[1Cohen, W. & Levin, R. (1989), ’Empirical studies of innovation and market structure’, Handbook of industrial organization 2, 1059—1107.

[2Dosi G. et al. (2006), The relationships between science, technologies and their industrial exploitation: An illustration through the myths and realities of the so-called ‘European Paradox’, Research Policy, Vol. 35, p. 1450–1464.

[3European Commission, Innovation Union Competitiveness Report 2011.

[4European Commission, Europe 2020 – A strategy for smart, sustainable and inclusive growth.

[5Communication from the commission to the European parliament, the council, the European economic and social committee and the committee of the regions (2012), Toward a Job-rich recovery.

[6Majocchi A. (2012), Dal fiscal compact all’Unione fiscale, Affarinternazionali. Link all’articolo: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2023.

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