I costi della Non Europa

, di Massimo Contri

I costi della Non Europa

Nel periodo successivo alle elezioni europee dello scorso giugno molti giornali e trasmissioni televisive hanno snocciolato numeri e dati su quanto costino l’Europa ed i parlamentari europei. L’analisi è sicuramente interessante ed è corretto che i cittadini sappiano come e dove vengono utilizzati i loro soldi.

Vi sono però due aspetti che non vengono quasi mai considerati:

1. Quanto ci fa risparmiare l’Europa?

2. Quanto ci costa non avere un’Europa democratica con un governo in grado di affrontare le sfide economiche e sociali con le quali i cittadini europei si confrontano ogni giorno?

Sul primo punto vi sono almeno due elementi che consentono ai cittadini europei di risparmiare una notevole somma di denaro: il mercato unico e l’Euro. Il mercato unico ha permesso e permette di scambiare merci con tutti gli altri paesi senza pagare il sovrapprezzo dei dazi doganali, ha aumentato la concorrenza, punito i monopoli ed ha migliorato i servizi riducendone notevolmente i costi (esempi emblematici sono quelli del trasporto aereo, che ora costa molto poco, e della possibilità per i giovani di studiare in paesi esteri). L’Euro, dopo i feroci attacchi subiti nei primi anni, viene ora da tutti osannato perché ci ha permesso di affrontare il picco del prezzo del petrolio con un modestissimo aumento dell’inflazione ed ora è il più forte antidoto contro la crisi e l’erosione dei risparmi delle famiglie. Insieme ad esso la Banca Centrale Europea, che per statuto è autonoma ed ha il compito di mantenere bassa l’inflazione, ha infatti difeso i consumatori dall’inflazione, proteggendo soprattutto gli strati più poveri della popolazione che maggiormente risentono dell’aumento dei prezzi.

Per quanto riguarda i costi della “non-Europa” la situazione è invece meno tangibile. Le decisioni, prese a livello nazionale o mediante un coordinamento di facciata in taluni settori, come gli investimenti in infrastrutture, la difesa, l’immigrazione e l’energia, risultano quasi sempre inadeguate ed inefficienti rispetto a misure analoghe assunte a livello europeo. Ad esempio è stato calcolato che se i bilanci nazionali per la difesa venissero messi in comune l’efficienza aumenterebbe vistosamente, con enormi economie di scala, ogni paese europeo tende infatti a dotarsi di capacità militari complete. Nel complesso gli stati europei oggi spendono per la difesa circa la metà di quanto spendono gli Usa, ma in termini di capacità militare ottengono solo il 10 per cento di quanto ottengono gli americani [1]. Gli stati nazionali inoltre sono ormai inadeguati ed impotenti rispetto alla loro funzione di correttori degli squilibri generati dall’integrazione continentale e mondiale dell’economia non riuscendo minimamente ad intervenire nei confronti delle imprese che tendono a trasferirsi dove i costi di produzione, i costi ambientali o le imposte sono più bassi. Allo stesso modo risultano inefficaci nel controllare l’andamento di prezzi e salari che risultano maggiormente esposti alla concorrenza internazionale.

Anche il problema della disoccupazione, contrariamente a quanto normalmente divulgato, non è provocato, se non marginalmente, delle rigidità del mercato del lavoro o dalle possibilità di spesa imposte dal patto di stabilità, bensì dai tassi di interesse storicamente elevati e dall’efficienza marginale [2] del capitale, storicamente bassa, negli stati nazionali europei. L’unificazione monetaria ha consentito infatti sia una riduzione del costo del denaro sia un innalzamento del profitto atteso dagli investimenti [3].

La mancanza di un governo economico europeo ci impedisce inoltre di affrontare in maniera efficace l’attuale crisi economica. La stimolazione della domanda effettiva non dovrebbe avere per oggetto i beni di consumo di cui siamo saturi, come viene invece proposto dalle politiche di rilancio nazionali, ma investimenti in infrastrutture sociali [4] quali l’adattamento della società al ruolo pervasivo della tecnologia dell’informazione e della conoscenza, l’accesso all’istruzione, la ricerca e lo sviluppo, i servizi alla persona, lo sviluppo delle aree geografiche sottosviluppate. Si dovrebbe anche investire in infrastrutture materiali come le reti di telecomunicazioni e le reti energetiche, le reti ferroviarie ad alta velocità, i tronchi autostradali per unire l’Europa orientale, le tecnologie dell’informazione e della salvaguardia dell’ambiente.

Questi progetti erano in gran parte già stati pensanti e definiti nel Piano Delors [5] ma sono rimasti finora solo sulla carta perché affrontati secondo il metodo di “coordinamento delle politiche nazionali”, che non permette veramente di perseguirli. Intraprendere questi progetti è una vera e propria rivoluzione possibile soltanto affrontando il nodo della riforma delle istituzioni dell’Unione con la creazione di un Governo europeo, democratico e federale.

Un piano europeo di una così ampia portata richiede una precisa e forte volontà politica che la somma delle ventisette diverse politiche economiche perseguite dagli stati nazionali si è sempre mostrata incapace di mettere in campo.

La spesa pubblica dei singoli stati risulta inadeguata sia per rilanciare l’economia sia per preparare la società alle sfide future, generando ulteriori costi, figli della “non-Europa”, che i cittadini europei, soprattutto quelli più giovani, dovranno a breve sostenere.

Note

[1“Un’Unione libera e armata” - Antonio Martino 17/07/2003

[2L’efficienza marginale del capitale è il rapporto fra il reddito atteso degli investimenti ed il prezzo di offerta del capitale.

[3Si veda “Una regolazione macro economica per l’Eurozona” di Antonio Mosconi in “Sviluppo economico dell’Unione europea e riforma della finanza pubblica” Vera Palea (a cura di) - Collana CESI Ed 2007

[4Si veda a tal proposito “Politiche eretiche per la piena occupazione” Lunghini G.

[5Si veda “Crescita Competitività e Occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo. Libro Bianco Commissione Europea

Tuoi commenti
  • su 18 agosto 2009 a 09:05, di Manu In risposta a: I costi della Non Europa

    Complimenti per l’articolo.Concordo in pieno, specie x qnt riguarda la necessità per l’UE di avere una PESD più forte, il che implica un esercito unico, il che implica un Ministro degli Esteri unico, il che ci porterebbe ad avere maggiore credibilità e ad avere maggior peso nei giochi di potere globali, che fino a poco tempo fa sono stati diretti quasi unicamente dalla superpotenza americana. Per quanto riguarda il resto, per me l’UE andrebbe sviluppata secondo tendenze quanto più pluraliste possibili; non ricorrendo più al metodo strutturalista e/o confederalista, ma a quello federalista.

  • su 6 aprile 2010 a 18:27, di karbo In risposta a: I costi della Non Europa

    perchè non lanciare un referendum in tutti gli stati membri,o in quelli che ci stanno,per una unione federale da tenere nello stesso periodo in tutta europa?

  • su 7 aprile 2010 a 15:32, di Federico Brunelli In risposta a: I costi della Non Europa

    Caro Karbo, la proposta di tenere referendum europeo è stata sostenuta dai federalisti nel periodo successivo ai No francese ed olandese alla Costituzione europea. Vedi questo articolo:

    http://www.eurobull.it/Un-Referendum-europeo-per-la

    La proposta è stata messa da parte dopo che Merkel e Sarkozy hanno trovato l’accordo con gli altri capi di stato e di governo per trasformare il trattato costituzionale nel Trattato di Lisbona.

    La proposta rimane in ogni caso validissima come metodo di ratifica della futura Costituzione europea.

    Grazie per l’intervento e continua a seguirci.

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