Il Governo italiano cade sull’impotenza europea

, di Massimo Contri

Il Governo italiano cade sull'impotenza europea

Con il voto Senato di mercoledì un altro governo nazionale è caduto per colpa dell’impotenza europea. Di fronte ad un voto che ha scatenato migliaia di giornalisti, interviste e dibattiti politici chiediamoci quale sia il significato del dibattito sul rifinanziamento della missione in Afghanistan.

Gli Stati nazionali che non sono più in grado di dare un contributo reale ai problemi del mondo, dalla pace in Medio Oriente, alla minaccia nucleare, alla questione energetica, le questioni ambientali, finiscono per limitarsi a discutere se mandare o no truppe quando la potenza americana lo richiede. A tanto si è ridotta la politica estera dei così detti Stati «sovrani» europei.

La cruda realtà è che i cittadini europei sono privi di un governo che esprima una politica estera e questo li priva della libertà di decidere del proprio futuro. L’impotenza degli Stati nazionali ci abitua a vivere non come cittadini liberi ma rassegnati di fronte alle scelte compiute da qualcun altro nei confronti di problemi più grandi noi. La stessa qualità della classe dirigente politica insieme con la capacità di un ricambio generazionale risentono di questa limitazione.

Sul versante esterno l’impotenza europea costringe gli Stati Uniti ad affrontare i problemi del mondo in maniera unilaterale e sempre meno efficace e crea nella classe dirigente americana un delirio di onnipotenza. Gli USA spendono sempre di più in spese militari ma la loro capacità di azione e la loro immagine nel mondo sono quanto mai in declino. Questo non ci deve far gioire perchè i problemi - la lotta la terrorismo, l’approvvigionamento energetico, la pace in Medio Oriente - che l’America tenta di affrontare in modo sbagliato sono reali e in una qualche maniera aspettano una soluzione. La strategia che mirava ad imporre un ordine al mondo da parte di una sola superpotenza, sotto la cui ala gli altri Stati potevano trovare protezione, si sta sempre più dimostrando fallimentare e gli Stati europei che ne erano stati attratti, provocando diverse divisioni politiche sul futuro dell’Europa, stanno tornando sui loro passi.

Si pongono quindi le condizioni per un rilancio della politica europea. Il nuovo governo italiano che si formerà dovrà dunque fare dell’Europa la propria stella polare se non vorrà cadere, ancora una volta, vittima della propria debolezza.

Al Professore serve una pista ciclabile

Fonte foto Flickr

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Tuoi commenti
  • su 23 febbraio 2007 a 14:31, di Giorgio Venturi In risposta a: Senza un governo forte non si fa l’Europa

    Vi è una fondamentale differenza, nell’analisi di un problema, sia esso politico o di qualsiasi altro genere, che va sotto la diversa denominazione di metodo induttivo e metodo deduttivo. Mi spiego. La difficoltà di interpretare la realtà risiede nel fatto che non sempre le cause sono manifeste. Per questo ci si cerca di arrangiare con quel che si ha: si può cercare di analizzare il problema nelle sue componenti più piccole e che ad una prima impressione posso sembrare inifluenti (per crearsi un disegno chiaro dei rapporti reciproci che i singoli elementi hanno tra loro); oppure si cerca da un caso singolo di inventare o scoprire una regola che possa, come caso particolare, dare un senso ad un singolo evento. Ovviemente, come ogni cosa umana, entrambe le strade hanno i suoi pregi, ma anche i difetti: errori di valutazione od eccessiva generalizzazione.

    Se mi passate un termine un po’ troppo matematico, ho trovato, questi appunti di Massimo, eccessivamente assiomatici. L’aspetto che meno mi convince è proprio il cercare di spiegare la realtà politica italiana, con un’assunzione implicita, che in questo caso manca proprio il bersaglio: ogni forma di politica nazionale, è direttamente influenzata dalla (o dalla mancanza della) politica europea. Detto questo poi viene ben spiegato e motivato come tutto diventi più chiaro alla luce di questa ipotesi fondamentale. Seppur questa opinione sia molto corretta in certe situazioni, forse questa non è la più adatta per fare un’affermazione di questo genere: «un altro governo nazionale è caduto per colpa dell’impotenza europea». Anzi. Secondo me è proprio il contrario. Non dobbiamo dimenticarci che non avremo mai una vera politica europea finchè non ci sarà (anche) una volontà politica. E questa è una volontà politica nazionale. Si può discutere sul merito, se il mezzo democratico dei refrenda e l’entrata in scena del demos europeo e l’apertura del vaso di Pandora della consultazione pubblica e del no francese, possano ormai superare la sola volontà dei singoli stati, ma ora come ora (non per pessimismo, è un dato di fatto), senza una forte volontà nazionale non si andrà molto lontano.

    E’ concettualmente sbagliato e politicamente controproducente, utiltizzare un argomento così importante e forte, per chi crede nell’Europa (ne auspica il risveglio e critica le debolezze). Il condizionamento della politica nazionale da parte della politica europea non può motivare la caduta del governo italiano. Se mai è proprio il contrario. Vi è in Italia grande amore per l’Europa, a parole, ma i fatti non sempre seguono le intenzioni. Dobbiamo aspettare Diliberto, che non è uno stinco di europeo, per sostenere che le basi militari sul suolo italiano dovrebbero essere di una forza euroepa e non americana? Il procedimento logico dovrebbe essere proprio il contrario: induttivo e non deduttivo. Vista la debolezza politica del governo italiano e non solo (in Germania vi è una grossa coalizione, l’Inghilterra ha un premier sempre più solo, la Francia è in un momento di transizione) è semplice capire come, per ora, purtroppo, non si riesca ad avere una politica estera europea; e quando se ne ha una parvenza è frutto, come la situazione libanese, dell’iniziativa di solo un governo.

  • su 23 febbraio 2007 a 18:02, di Massimo In risposta a: Re:Senza un governo forte non si fa l’Europa

    Caro Giorgio,

    ti ringrazio per la risposta all’articolo. La tua analisi mette in luce un fatto essenziale: tutti i governi europei soffrono di debolezza. A mio parere questa debolezza deriva proprio dal fatto che essi non sono più adeguati ai problemi che devono affrontare. La guerra fredda aveva imposto ai paesi europei alcuni punti fermi alla loro politica estera. Oggi, questi punti fermi non esistono più. L’URSS si è disgregata. I cittadini americani stanno prendendo atto che la politica di Bush di esportare la democrazia con la forza sta fallendo. La globalizzazione, la crisi ecologica incombente e le continue minacce alla pace mostrano che le vecchie nazioni europee, disunite, non hanno alcuna possibilità di affrontare con successo queste sfide. Il governo europeo non può essere la somma delle debolezze dei governi nazionali esso dev’essere qualcosa di diverso e di nuovo, legato al voto dei cittadini per il Parlamento europeo. Non credo quindi che dovremmo aspettare che i governi nazionali riprendano forza per fare l’Europa, ma al contrario, che dalla consapevolezza di questa debolezza nascano le condizioni per la nascita di un governo federale europeo.

  • su 26 febbraio 2007 a 14:33, di Pietro In risposta a: Re:Senza un governo forte non si fa l’Europa

    E’ indubbio che servano poteri forti per risolvere le problematiche che Massimo ha precedentemente citato. Nei fatti l’Europa ha dimostrato che nel campo della politica estera è incapace di fare qualsiasi azione pragmatica, combattuta come è dagli interessi dei singoli Stati che la compongono (si raggiunge l’assurdo che tende a demandare ai singoli stati quello che dovrebbe fare con l’appoggio dei singoli stati). Una politica esetera forte sembrerebbe necessaria. Ma a qusto punto cosa accadrebbe? Azzardiamo una previsione. Nel mondo si verrebbero a trovare per lo meno 3 poli: quello americano (ormai contraddittorio ed inefficace), quello europeo (che potrebbe contare su un prestigio e una diplomazia promettente ed inoltre sull’appoggio non trascurabile del Vaticano...) e magari quello cinese (ipotesi probabile vista la crescita dell’importanza economica della Cina e degli interessi che ha in tutto il mondo). Tutte e 3 le potenze dovrebbero quindi scontrarsi su problematiche comuni, ma con interessi particolari: dubito che riusciranno a non interferire sulle attività delle altre e a cercare di non prevaricarle. Questa situazione può portare ad una situazione di stallo, in primis alle Nazioni Unite (come in realtà avviene da tempo), ma poi anche negli altri teatri della diplomazia. Si corre quindi il rischio di non riuscire a risolvere alcuna problematica seria e di comune interesse. Quindi il ruolo dell’Europa quale dovrebbe essere? Quello di diventare una potenza in grado di intervenire tempestivamente e di imporsi nelle questioni internazionali? Le situazioni contingenti lasciano prevedere che ciò sarà difficile. Semmai, ma è solo un’idea, deve ritagliarsi il ruolo di punto di unione fra i vari interessi mondiali, evitando di contrapporsi caparbiamente. Ciò richiede una politica semmai remissiva, ma seriamente diplomatica; serve comunque il pieno appoggio degli Stati che la costituiscono. Le tesi di Massimo hanno quindi anche una validità futura, sempre che l’Europa capisca il suo ruolo nel mondo. Le potenzialità ci sono, i rischi anche (per assurdo di una nuova guerra fredda o di un empasse più in concreto). Ma queste sono solo idée... ma anche l’Europa è fatta di idée...

  • su 6 marzo 2007 a 12:17, di Marta In risposta a: La politica estera europea parte dall’Italia

    Ciao Pietro,

    io non dipingerei le relazioni tra un’Europa unita in politica estera e gli altri soggetti internazionali con delle tinte così fosche. Ipotizzando che Stati Uniti, Cina ed Unione europea siano i tre soggetti principali, quello che avverrebbe non sarebbe necessariamente uno scontro ma potrebbe tradursi nella maggior parte dei casi in un confronto. Il confronto c’è quando tutti condividono degli interessi, in particolare quelli economici (volti alla crescita e alle esportazioni), e tutti si devono confrontare a delle minacce comuni, per esempio alla sicurezza. Ora, le vastissime e diversissime questioni che si affrontano in sede internazionale fanno sì che tra i piccoli e i grandi Paesi vi siano diverse convergenze, diversi interessi e priorità a seconda della questione e non sempre e solo uno scontro frontale. Ricordandoci che la fine della guerra fredda ha sepolto il vecchio bipolarismo, l’ordine o il disordine internazionale oggi mostra una accresciuta complessità dei problemi proprio perché questi si trovano a dover essere affrontati a livello mondiale e da una molteplicità di attori: non più solo gli Stati, ma anche attori privati e organizzazioni internazionali.

    Ecco che ci accorgiamo quanto un’organizzazione come quella delle Nazioni Unite sia oggi totalmente inadatta a gestire le nuove sfide e le sue responsabilità vecchie e nuove. Le Nazioni Unite si trovano già in una situazione di stallo, specialmente negli ultimi anni con gli Usa che dicono esplicitamente di voler far da soli. Quale miglior legittimazione per l’Onu, allora, se al suo interno avvenisse un confronto tra le varie regioni del mondo?! Non solo legittimazione, questo significherebbe il compimento stesso dell’idea di multilateralismo. Chiedere un seggio unico per l’Unione Europea sembra in questo contesto una proposta meno folle, soprattutto quando diventa la battaglia politica dell’Italia dopo essere stata eletta membro semipermanente al Consiglio di Sicurezza. Disporre di un’unica voce in politica estera ed essere rappresentati in sede Onu come Unione Europea sarebbe il modo per non essere costretti a portar avanti una politica remissiva, perché la voce dell’Europa porta con sé un peso economico enorme e la popolazione più numerosa al mondo dopo Cina e India, ed avrebbe come marchio distintivo la via del multilateralismo.

    E’ vero, hai ragione, occorre la volontà degli Stati. Forse però anche la consapevolezza dei cittadini che la politica estera italiana ha senso in Europa e per l’Europa e non ne ha quando diventa un mero atto di fede verso gli Stati Uniti o quando tende a tradursi in un pacifismo senza contenuti e senza prospettive.

    Marta

  • su 15 marzo 2007 a 10:21, di Pietro In risposta a: La politica estera europea parte dall’Italia

    Ciao Marta, grazie della risposta. Non è che io sia pessimista, semplicemente ci sono sempre tante opzioni per interpretare la realtà e li ho cercato di immaginarne una. In sostanza tu confidi che gli obiettivi comuni delle varie entità a livello internazionale siano una condizione sufficiente per arrivare a soluzioni condivise per la risoluzione delle problematiche a livello internazionale. Sicuramente gli obiettivi sono gli stessi (terrorismo, aumento delle esportazioni, etc…), ma è anche vero che i metodi per ottenerli sono spesso differenti. C’è chi vuole impegnarsi direttamente, chi tende alla neutralità (evidentemente giustificato da interessi economici particolari), etc… Tipicamente i primi sono gli americani e i secondi gli europei, però i ruoli si possono benissimo invertire, come ad esempio nel caso dei provvedimenti da adottare per arginare i mutamenti climatici. Tutto questo è dovuto, come dici tu, alla presenza di una molteplicità di attori istituzionali e privati che hanno interessi differenti: culturali, religiosi, economici, etc…

    A questo punto da una parte sottolinei l’inadeguatezza delle Nazioni Unite (che permane in una situazione di stallo per l’atteggiamento degli Stati Uniti), dall’altro lo vedi come l’unico teatro per la risoluzione delle problematiche internazionali e auspichi che l’Unione Europea abbia un seggio permanente. C’è da domandarsi quali vantaggi possa portare l’ingresso di un attore importante come l’Unione Europea, senza una ripensamento globale delle Nazioni Unite. Si potrebbe correre il rischio di avere un’entità in più in stallo e di continuare a lasciar fare liberamente agli Stati Uniti e alla NATO. Si potrebbe cominciare con l’eliminazione del diritto di veto, dopodiché si potrebbero fare altre soluzioni efficaci. Chissà, sarebbe anche interessante un coinvolgimento dei rappresentati delle varie religioni, infondo rappresentano l’etica di gran parte dell’umanità e quindi sono forse i migliori rappresentati degli interessi sovranazionali (ma qui bisognerebbe rifletterci bene). Comunque che siano da ripensare le Nazioni Unite non è un discorso nuovo (e l’anzianità ormai è una questione anagrafica), ma è meglio ribadirlo.

    Fra l’altro è interessante notare un parallelismo. Abbiamo 2 entità sovranazionali, l’ONU e l’EU, che condividono lo stesso obiettivo: aumentare il benessere comune eliminando le possibili controversie inter-stati e raggiungendo soluzioni condivise. Entrambe sono però costituite da stati che non vogliono assolutamente rinunciare alla loro sovranità. Gli obiettivi e le intenzioni sono di certo nobili, però si è giunti in entrambi i casi a situazioni di stallo. Capita infatti di frequente che gli interessi di un singolo stato blocchino l’attività di tutta l’organizzazione, a causa sia di interessi privati, che di un attaccamento prettamente utilitaristico ai valori delle organizzazioni sovranazionali (tutti sono pronti a godere i privilegi, ma sono pronti a voltare le spalle quando bisogna prendere decisioni coraggiose ed impopolari). Questo è dimostrato sia dal percorso ad ostacoli della costituzione europea, che dall’impossibilità di giungere ad una politica sul clima condivisa. Forse è il concetto di entità sovranazionali che mostra le sue debolezze e si finisce per rendersi conto come l’unico che funzioni sia forse il modello americano. C’è da domandarsi se per realizzare delle Nazioni Unite autorevoli o una Unione Europea forte bisogna che gli stati che li compongano debbano rinunciare a delle loro sovranità. Ma queste sono solo altre idee :-)

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