Il brevetto della discordia

, di Jacopo Barbati

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Il brevetto della discordia

Le proposte sul nuovo brevetto europeo stanno infiammando gli animi. È interessante vedere come, per una questione relativamente marginale, si stiano verificando delle dinamiche degne di nota.

Multilinguismo

Il problema nasce dall’ipotesi di riforma dei brevetti europei, che faciliterebbero la registrazione di brevetti all’interno dell’Unione, ma che comporterebbe dei problemi linguistici: secondo l’attuale proposta, la documentazione relativa alla richiesta di brevetto deve essere prodotta in inglese, francese o tedesco. L’Italia, in un primo tempo favorevole alla proposta monolingue (che avrebbe premiato l’inglese), si è unita alla Spagna nell’opposizione a tale proposta, che penalizzerebbe soprattutto le piccole e medie imprese che potrebbero non disporre delle risorse finanziarie necessarie per tradurre brevetti da/in francese e tedesco. È una delle infinite prove che l’Unione necessita assolutamente di risolvere il problema del multilinguismo: si parlano tante lingue, e ciò costituisce una delle manifestazioni più potenti della meravigliosa e variegata cultura europea. Favorire certe lingue a discapito di altre scontenterà sempre qualcuno, poiché

... l’UE necessita di risolvere il problema del multilinguismo ...

non esistono e non possono esistere lingue più o meno meritevoli. È anche vero che gestire 27 lingue (o più) ufficiali potrebbe risultare problematico; e finché si considereranno gli esperantisti come dei settari utopisti la soluzione al problema sarà incomprensibilmente lontana.

Cooperazione rafforzata

Francia e Germania, principali promotori del brevetto trilingue, dal canto loro non hanno intenzione di mollare: hanno addirittura invocato l’utilizzo della “cooperazione rafforzata” (opzione introdotta dal Trattato di Lisbona, e che prevede l’introduzione di accordi legalmente vincolanti solo per una parte degli Stati membri che decidono di far parte di quell’accordo, a patto che siano almeno un terzo del totale), e possono già contare su almeno 10 firmatari (Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Slovenia e Svezia). Addirittura. Non sarebbe meglio usare la cooperazione rafforzata per rendere un po’ più solida l’Eurozona, ad esempio, o per istituire una politica estera comune realmente funzionante (non me ne voglia Mrs. Ashton)?

Illegale

A proposito di britannici, il Regno Unito entra di diritto in questa storia in quanto, pur essendo fondamentalmente fuori dalle polemiche (nessuno ha mai messo in dubbio l’utilizzo dell’inglese negli eurobrevetti), si è recentemente chiamato fuori dai giochi: a quanto pare, ci sarebbe qualche problema legale per la giurisdizione britannica nell’affidare alla Corte di Giustizia europea la gestione dei brevetti. Ulteriore dimostrazione che molte leggi di molti Stati nazionali europei, disegnate dopo la Seconda Guerra Mondiale per prevenire eventuali dominazioni e dittature, debbano essere profondamente riformate per accogliere al meglio il processo di integrazione europea. Il punto è: esiste qualcuno che le voglia fare, queste riforme?

Foto dell’immagine: World Wide Web

Tuoi commenti
  • su 11 dicembre 2010 a 16:41, di Renzino l’Europeo In risposta a: Il brevetto della discordia

    Avanti tutta con la cooperazione rafforzata!

  • su 13 dicembre 2010 a 22:17, di Massimo In risposta a: Il brevetto della discordia

    Ciao Jak, l’articolo tocca un tema sì marginale ma importante per le imprese europee. Mi sembra che la discussione abbia portato a tutto e di più ma non abbia considerato il punto essenziale: alle aziende europee (e suprattutto alle PMI che non hanno una struttura «buocratica») serve il brevetto europeo perchè semplifica enormente la procedura di richiesta e registrazione in 27 paesi. Che sia in qualsiasi lungua la traduzione non è nulla rispetto ad un procedura unificata, chiara e snella. In qualsiasi città ci sono studi di avvocati che non hanno alcun problema a lavorare in inglese/francese e tedesco. Dietro tutto ciò c’è una battaglia «nazionalista», la salvaguardia della lingua, alla quale credo le imprese siano ben poco interessate. Non fare il brevetto europeo per una questione di lingua nel momento in cui chiediamo alle imprese di agganciare la ripresa delle aree emergenti del mondo mi sembra proprio il delirio della politica.

  • su 14 dicembre 2010 a 06:14, di Potere Europeo In risposta a: Il brevetto della discordia

    No, no, no.

    Sono un convinto Europeista dei più assetati ma la questione linguistica è sempre stata per me motivo di patimenti.

    Io l’Europa unita la farei pure con la forza, figurarsi.

    Ma non mi sta bene di subire il dominio linguistico altrui.

    O si sceglie una sola lingua o si usano tutte.

    Sono combattuto fra ostilità alla supremazia lingustica inglese e la rassegnazione alla sua forzata presenza ormai necessaria.

    Ma se ci devono essere più lingue a scapito di altre non ci sto.

    Ne va della dignità della lingua Italiana che amo, al di là di ogni nazionalismo che combatto.

    La lingua definisce chi sono, chi siamo, non ci rinuncio.

    Potrei farlo solo se tutti gli europei facessero lo stesso e si decidesse per UNA, dico UNA soltanto, lingua comune.

    Cioè una lingua da affiancare sin da piccoli alla lingua d’origine.

    Ovvio che questa seconda lingua sarà, mio malgrado, necessariamente l’Inglese.

    Amen, ma almeno le altre lingue avranno pari dignità le une con le altre.

    Se poi qualche rivoluzionario europeista conquista l’Europa e impone l’Italiano tanto meglio, io mi unisco alla lotta.

    Son pazzo??? Si, e orgoglioso di esserlo, viva la pazzia!

  • su 14 dicembre 2010 a 10:22, di Jacopo Barbati In risposta a: Il brevetto della discordia

    Ciao Massimo, grazie per il commento. Sono il primo a sostenere la necessità di procedure unificate, ma unificare le lingue non porterà a nulla. La salvaguardia delle lingue, che sono al contempo massima espressione culturale e storica di un popolo, non è una «battaglia nazionalista», ma una doverosissima (a mio parere) opera di difesa della democrazia. Privilegiare delle lingue rispetto ad altre (secondo quali criteri poi?) significa privilegiare i cittadini che ne sono parlanti nativi; e ciò è una forma di discriminazione. La federazione non deve distruggere o umiliare le culture di alcuni Stati membri per privilegiarne altre, deve garantire benessere e pari diritti per tutti. Che poi 23 lingue ufficiali siano difficili da gestire, che non è possibile che tutti le imparino tutte, etc, questo è verissimo; sono un convinto sostenitore dell’adozione di una lingua franca europea. Ma questa non deve essere una lingua di cui esistono parlanti nativi; perché questi sarebbero inevitabilmente privilegiati rispetto agli altri. La soluzione per mettere tutti allo stesso livello, senza privilegiare alcuno, a mio avviso è semplice e si chiama esperanto. E sinceramente, faccio ancora tanta fatica a capire perché così tanti si oppongono.

    Saluti

  • su 14 dicembre 2010 a 10:47, di Jacopo Barbati In risposta a: Il brevetto della discordia

    Leggo adesso il commento di Potere Europeo. Sono perfettamente d’accordo.

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