La Turchia non trova pace

Il caso Dink e la riflessione europeista

, di Mauro Mondino

Il caso Dink e la riflessione europeista

L’omicidio del direttore di Agos impone una nuova, profonda riconsiderazione delle relazioni euro-turche in vista di un possibile, ulteriore allargamento dei confini dell’Unione europea e fornisce utili spunti per una riflessione sull’assetto istituzionale della nostra Europa

Un tragico assassinio

Il buco nero della memoria ha inghiottito un altro martire della verità, direbbe Taner Akcam, uno dei primi storici turchi - seppur esule - che abbia riconosciuto il Genocidio Armeno. L’amnesia collettiva - sempre Akcam - che affligge l’intera Turchia ha richiesto, sabato mattina, un nuovo tributo di sangue, forse per ricacciare indietro, ancora una volta, lo spettro dell’Olocausto consumato in terra ittita.

Il tragico assassinio di Hrant Dink appare la risultante di una pericolosa sinergia tra fondamentalismo islamico (si ricordi che il killer, un giovane cittadino di Trebisonda, ha urlato, subito aver freddato il giornalista, «Ho ucciso il miscredente!») ed estremismo nazionalista: dove ha fallito la censura dello Stato, ha trionfato la mano di un assassino.

...assassinio di Hrant Dink la risultante di una pericolosa sinergia tra fondamentalismo islamico...ed estremismo nazionalista

Il caso del direttore di Agos, una volta in più, testimonia la crudeltà messa in atto da ristretti gruppi integralisti (che siano finanziati dallo Stato o appartenenti a sette religiose, non fa differenza) che hanno l’esecrabile fine di muovere le masse di opinione e limitare le libertà individuali. Non sarà l’ultimo episodio, è chiaro: solo tra il 2005 e il 2006, infatti, si possono registrare almeno tre casi eclatanti di repressione politica esercitata su intellettuali di caratura internazionale; Elif Shafak (un personaggio del suo ultimo libro definisce «macellai» i turchi che hanno preso parte al genocidio del popolo armeno), Ipek Calishar (inquisita per aver scritto un libro sull’ex-moglie di Ataturk -altro tabù per il popolo anatolico) e, il Premio Nobel per la letteratura 2006, Orhan Pamuk rappresentano vittime eccellenti, al pari di Dink, dei processi-farsa istruiti sulla base di una presunta «violazione» di alcuni tra i più illiberali articoli del «nuovo ed innovativo» codice penale turco (artt. 299, 301, 305, 318 ecc. riformulato nella vicina primavera 2005).

Condanne ideologiche

In particolare, il fondatore della rivista bilingue turco-armena fu condannato nell’ottobre 2005 a sei mesi di reclusione - poi sospesi a causa delle crescenti pressioni UE - per aver recato «oltraggio al governo turco, agli organi giurisdizionali, alle istituzioni militari e di sicurezza», cioè per aver violato l’art. 301 del sopracitato codice che tutela l’«identità turca» in un articolo apparso sul periodico Agos nel 2004, nel quale denunciava -per l’ennesima volta- il silenzio delle autorità sul Genocidio Armeno (1890-1923).

La naturalezza con cui la giustizia turca emette sentenze così ideologicamente connotate è sconcertante

La naturalezza con cui la giustizia turca emette sentenze così ideologicamente connotate è doppiamente sconcertante: non solo le autorità di Ankara negano la possibilità di esprimersi ad un libero cittadino della Repubblica turca, ma oltretutto impediscono alla verità storica la sua necessaria manifestazione davanti al popolo anatolico, per troppo tempo accecato dai fumi di un nazionalismo ormai anacronistico e disperatamente aggrappato ad una visione obsoleta della res publica; l’ amnesia collettiva, che da più di un secolo ammorba la «nazione della mezza luna», inoltre, offre un prezioso assist a coloro i quali -in Europa come in Medio Oriente- osano negare la conclamata verità storica e pretendono di riscrivere il corso stesso degli eventi.

Non stupisce quindi che, particolarmente dove la battaglia anti-revisionista è più sentita, vengano adottati duri provvedimenti contro l’inveterato negazionismo che aleggia sulla tragedia del popolo armeno: è questo il caso della Francia, la cui Assemblée Nationale, nella seduta di giovedì 12 ottobre 2006, ha approvato, a larghissima maggioranza, un «progetto di legge» che equipara la negazione del Genocidio Armeno a quella dell’Olocausto degli Ebrei, estendendo così la precedente giurisdizione, che consiste nella pena ad un anno di reclusione e una ammenda di 45.000 € , anche a colui il quale neghi la diaspora armena.

Il grande risvolto mediatico che la decisione francese ha destato in ottobre in molti osservatori internazionali riprende così nuovo vigore alla luce dei misfatti di sabato 19 gennaio, riproponendo nuovi e ancor più profondi dubbi circa l’effettività della democrazia turca, ma anche riguardo le numerose e discordanti strategie adottate da singoli Stati europei nelle campagne per la protezione dei diritti umani: se è innegabile che la magistratura turca faccia un uso chiaramente strumentale e politicamente parziale del mezzo giuridico, è altrettanto difficile stabilire se, effettivamente, l’iniziativa transalpina possa giungere a dei risultati anche solo diplomaticamente apprezzabili; l’approvazione del sopracitato «projet de loi», pur costituendo più un’abile mossa politica che un serio tentativo di premere sul governo Erdogan, rischia, soprattutto alla luce delle recenti frizioni tra Turchia e UE, di esacerbare il già difficile confronto e, malauguratamente, di riaccendere la violenza nei confronti di cittadini europei sul suolo anatolico (cfr. l’assassinio del sacerdote italiano Andrea Santoro nel febbraio 2006 a Trebisonda per mano di un giovanissimo fondamentalista islamico).

profonda la spaccatura che segna la politica estera europea sul tema dell’allargamento verso la Repubblica turca

Turchia sì, Turchia no: i governi europei non sanno decidersi

Dopo aver brevemente analizzato la posizione francese risulterà ora particolarmente interessante evidenziare la profonda spaccatura che segna la politica estera europea sul tema dell’allargamento verso la Repubblica turca: se da una parte la Francia lancia il suo «j’accuse» contro le numerose violazioni dei diritti civili e politici e si dichiara apertamente ostile all’ingresso della Turchia in Europa, questa volta per bocca del candidato dell’UMP all’Eliseo (tuttora partito di maggioranza sia all’Assemblée che al Senat) Nicolas Sarkozy, dall’altra Italia, Germania e Gran Bretagna formano da tempo un blocco compatto a favore dell’accelerazione dei negoziati pro-Turchia; e benché abbiano espresso profonda riprovazione e condannato l’esecuzione di Dink, i premier dei tre Paesi prima citati si sono affrettati a rimarcare l’importanza dei contatti turco-europei in vista di un ulteriore allargamento a est, quasi che volessero ignorare tutti i più che fondati dubbi circa l’opportunità di accogliere nella già ampia euro-famiglia un nuovo membro che non sembra presentare -a oggi- né le affinità politiche né tanto meno i più fondamentali prerequisiti politici, sociali ed economici.

La profonda disomogeneità delle posizioni rispetto ad una futuribile membership turca nell’Unione ripropone tragicamente una delle tematiche più controverse che animano il dibattito europeo da almeno un decennio (e non solo riguardo le politiche di allargamento, ma anche il rapporto con gli USA, l’impegno nella lotta contro il terrorismo, le politiche energetiche e ambientali): la necessità di dotare l’Unione di un sistema governativo-parlamentare forte, autorevole e legittimato democraticamente non è più rimandabile, rappresenta una delle più impegnative sfide che il nostro sistema comunitario dovrà inevitabilmente affrontare e che i rappresentanti dei singoli Paesi non potranno più ignorare con vuote dichiarazioni accomodanti; la stessa affidabilità dell’UE, sia a livello interno che in campo internazionale, passa dal rafforzamento in direzione federale dell’intero assetto esecutivo e legislativo; la citata compattezza decisionale costituirebbe, inoltre, un importante elemento rassicurante per gli Stati - come la Turchia - che intendono partecipare al «progetto-Europa» i quali, senza dubbio, vedrebbero nell’Unione un soggetto politico competitivo e affidabile.

Ritorna quindi a noi, cittadini europei, la responsabilità di rendere effettive le potenzialità ancora inespresse dei popoli del nostro continente, di sostenere il processo di mutamento istituzionale in atto e, soprattutto, di dimostrare che gli sforzi profusi per entrare nell’UE saranno adeguatamente ricompensati.

Fonte immagine Flickr

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