Il discreto colonialismo cinese sulla via dell’occidente

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

Il discreto colonialismo cinese sulla via dell'occidente

I cinesi hanno appena festeggiato l’inizio dell’Anno del Serpente. Proprio come un serpente, la Cina ha intanto iniziato a ritirarsi discretamente a occidente. Gli USA decidono di lanciarsi nel Pacifico? Pechino risponde arretrando sul continente, come avrebbe insegnato Sun Tzu, e con soddisfazione. Dopo tutto, si tratta di andare a prendere risorse, procurarsi energia, costruire infrastrutture, firmare accordi strategici, anche con tempi di 20-30 anni; ed in aree chiave come il Medio oriente, l’Asia meridionale, l’Asia centrale… secondo la dottrina ‘Look West’, chiarita dall’esperto Wang Jisi all’inizio di quest’inverno.

Prendiamo degli esempi, alcuni molto chiacciherati nei media, altri meno. Il Burma (o Myanmar) è molto corteggiato dagli USA, che stanno cercando di favorirne la democratizzazione e vi hanno spinto il ritorno di Lady Aung San Suu Kyi, affettuosamente salutata da Obama nella visita dello scorso novembre. La Cina però risponde con i fatti, e ha appena annunciato il prossimo completamento dell’oleodotto Sittwe-Yunnan. Si tratta di una grandiosa infrastruttura, che taglia l’Indocina a Nord e permette alla Cina di bypassare lo Stretto di Malacca, dove transita l’80% del greggio diretto a Pechino. Il Burma stesso acquisterebbe ben maggiore centralità strategica.

Mentre tentavano di riguadagnare terreno in Burma, gli Americani sono stati però colpiti alle spalle sul terreno di un alleato storico, il Pakistan. La collaborazione tra Islamabad e Pechino era stata avviata dal generale Musharraf, che intendeva ‘smarcare’ il Pakistan dal condizionamento americano. A lui non è andata molto bene, anche a causa di questa scelta, ma l’amicizia ‘per tutte le stagioni’ tra Cina e Pakistan è continuata. Pechino è il secondo partner commerciale del paese e ha appena acquistato l’importantissimo porto di Gwadar, che anni fa fu costruito da una compagnia cinese ed in seguito è stato gestito dall’Autorità Portuale di Singapore. Gwadar è situata allo sbocco del Golfo Persico ed è il porto più vicino ai paesi ricchi di energia dell’Asia centrale. Una posizione invidiabile, e per questo i cinesi non se lo sono lasciati scappare. Meglio ancora sarebbe collegarlo con Cina e Asia centrale tramite gasdotti, oleodotti, autostrade e ferrovie, tutte cose che il governo cinese sa fare assai bene, e anche con la giusta dose di pazienza (quest’anno ad esempio in Pakistan ci saranno elezioni).

Se ci spostiamo ancora più a Ovest, vediamo che la Cina è ormai un attore cruciale anche in Medio oriente, dove storicamente l’ateismo di Pechino si è spesso scontrato con l’Islamismo delle monarchie del Golfo. Dopo l’11 settembre e soprattutto dopo la ‘primavera araba’, i signori del petrolio non si sentono più pienamente garantiti da Washington ed hanno iniziato a stringere accordi con Pechino. Dopo tutto, si tratta di regimi autoritari che collaborano con la più grande autocrazia del mondo. L’Arabia Saudita è’ oggi il principale fornitore di petrolio della Cina, e la collaborazione tra i due paesi, promossa dalle visite di re Abdallah in Cina (2005) e di Hu Jintao a Ryadh (2006 e 2009), si è estesa alla difesa ed agli armamenti. Forse Ryadh non si fida più degli USA? La Cina è inoltre divenuta un partner cruciale degli Emirati Arabi Uniti, con cui ha concluso accordi per energia e costruzioni. Un annuncio del 6 febbraio recita poi che la principale banca di Dubai, NBD, ha deciso di offrire conti in Yuan Renmimbi. È l’inizio della fine del sistema dei petrodollari?

Il serpente non si è solo infilato in pipeline birmani, porti pakistani e banche di Dubai. È andato ancora più a occidente, molto vicino agli USA. Lo scorso 23 luglio la compagnia petrolifera cinese CNOOC ha acquistato i canadesi di Nexen per circa 15 miliardi di dollari. E il Canada, oltre ad essere vicino di casa degli USA, è anche un membro del NAFTA, l’area di libero scambio del Nord America. Infine, persino in Groenlandia, ricchissima di ‘terre rare’, attualmente estratte da canadesi ed australiani, il governo cinese intende proporre un accordo per oltre 2 miliardi di dollari. Le ‘terre rare’ hanno grande importanza nelle produzioni ad alto contenuto tecnologico.

Mentre gli investimenti cinesi si moltiplicano, soprattutto nel settore energetico, l’Europa e gli stessi Stati Uniti continuano a rimanere al palo. Gli USA da mesi insistono con il ‘pivot to Asia’, ma non sembrano avere né idee chiare sul da farsi né una reale iniziativa politica, che sembra limitarsi a spese militari sempre più elevate; con il rischio di una nuova ‘guerra fredda’. Tra l’altro gli Americani hanno già sbagliato in Medio oriente, dove anche uno dei paesi solitamente più stabili, la Tunisia, sta ora vivendo il dramma di una transizione alla democrazia affrettata ed intempestiva.

L’Unione europea, per parte sua, è un attore sempre più periferico ed ora ‘obiettivamente’ più debole. L’ultimo Consiglio, di cui Monti si è detto soddisfatto, ha in realtà sanzionato uno storico taglio del bilancio, che infatti ha avuto l’approvazione del Regno Unito di Cameron. Proprio nell’anno in cui la crisi dell’Euro dovrebbe essere risolta, in altre parole, l’UE si taglia le munizioni. E se a giovarsene fosse proprio lo Yuan cinese? Borse asiatiche come quelle di Thailandia e Filippine stanno vivendo una fase di boom, più o meno come nel 1997/98, quando pero’ l’Euro pareva l’alternativa più credibile al dollaro. Oggi tutti si chiedono se e quando lo Yuan può giocarsela con il biglietto verde, e a scapito dell’Euro. Dopo tutto, già ora si parla di area valutaria in fieri in Asia orientale; e come si è visto, nell’Anno del Serpente, lo Yuan è già silenziosamente arrivato a Dubai…

1. Fonte immagine Flickr

2. L’articolo è stato inizialmente pubblicato su Giovine Europa Now - Linkiesta

Tuoi commenti
  • su 11 marzo 2013 a 21:49, di francesco In risposta a: Il discreto colonialismo cinese sulla via dell’occidente

    Articolo magistrale complimenti!

    In effetti ci sarebbe una possibile via d’uscita: un repentino rafforzamento del dollaro usa con un rialzo imporvviso dei tassi che farebbe rientrare in usa tutti i dolari in giro per il mondo che hanno alimentato la crescita dei Brics dal 2002 facendo crollare le materie prime e il petrolio!!!!!

    Purtroppo l’europa latita in tutto ciò! staremo a vedere

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