Come ben sappiamo il primo tentativo di dare vita ad una politica di difesa comune è stato fatto nel lontano 1954 con la proposta, capitanata da Altiero Spinelli, per una Comunità Europea di Difesa, votata a larga maggioranza dal Parlamento Europeo, ma rifiutata dall’Assemblea Nazionale della Francia di De Gaulle. Con il Trattato di Lisbona molte cose stanno cambiando.
La difesa
Per cominciare, il Trattato di Lisbona riconferma e amplia le prerogative dell’Agenzia Europea di Difesa, creata nel 2004, permettendole di rimpiazzare a poco a poco i corpi intergovernativi nel campo degli armamenti. Questa agenzia ha il compito di unire la ricerca industriale e tecnologica degli Stati membri per creare una piattaforma comune a livello europeo ed un maggiore progresso nel campo della difesa. Anche se gli Stati membri non sono tenuti a far parte di questa agenzia, si tratta comunque di un passo avanti verso una futura politica di difesa comune, soprattutto considerando che l’Agenzia Europea di Difesa non è l’unico strumento a disposizione dell’UE in questo senso: il Trattato di Lisbona, infatti, prevede le cooperazioni rafforzate permanenti tra gli Stati membri anche nel campo della difesa. Un gruppo di Stati, sostenuti dalla struttura istituzionale dell’Unione Europea, può decidere di riunire le proprie risorse tecnologiche e militari, creando un sistema di coordinamento centrale per gli apparati militari degli Stati che ne fanno parte. Anche se l’obiettivo ultimo non è quello di creare un esercito europeo,
... agli stati membri gli strumenti ...
questo può essere considerato come un primo passo verso un’unificazione delle risorse militari dell’UE, che porterebbe ad un miglior coordinamento, una maggiore efficienza e una linea d’azione, se non unitaria, almeno coerente con gli obiettivi comuni. Sempre nel campo della difesa, non bisogna dimenticare che un ulteriore elemento di integrazione introdotto dal Trattato di Lisbona è rappresentato dall’obbligatorietà per gli Stati membri di intervenire in aiuto di un altro Stato membro nel caso fosse sottoposto ad aggressione militare, attacchi terroristici o calamità naturali, indipendentemente dal fatto che si sia neutrali o meno (gli Stati neutrali possono intervenire con assistenza logistica, medica e tecnologica).
La politica estera
Per quanto riguarda la politica estera, il Trattato di Lisbona ha fornito all’UE gli strumenti per dare vita ad un vero e proprio corpo diplomatico europeo: si tratta del Servizio Europeo di Azione Esterna (EEAS) facente capo all’Alto Rappresentante
... e l’iniziativa ...
per gli affari esteri, nonché vicepresidente della Commissione Europea. Il SEAE presenta diversi punti di forza, anche se non mancano quelli di debolezza. Prima di tutto esso avrà un diritto di iniziativa in affari esteri paragonabile a quello di cui gode la Commissione in politica interna. Inoltre esso raggrupperà il know-how dei 27 Stati membri e avrà una linea politica unitaria, mettendo fine (forse) alle dichiarazioni spesso contrastanti dei singoli capi di Stato e di governo europei. Da non sottovalutare è inoltre la possibilità, prevista dal Trattato di Lisbona, di nominare l’Alto Rappresentante come rappresentante unico per l’Unione Europea in sede ONU. È da tempo che i federalisti richiamano l’attenzione sulla necessità di avere una voce singola e unitaria nelle istituzioni internazionali e, in particolare, nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove per il momento prevale ancora l’interesse nazionale su quello comunitario. D’altronde è certo che a fronte di molti aspetti positivi se ne impongono alcuni negativi di non scarsa rilevanza: sebbene sia positivo che il budget del SEAE dipenda dal bilancio europeo e, quindi, sia controllato dal Parlamento Europeo, non è altrettanto positivo che l’azione del SEAE e dell’Alto Rappresentante dipenda dall’approvazione di un’altra istituzione, il Consiglio Europeo. Ancora una volta la politica estera europea è posta nelle mani degli Stati membri, anche se l’iniziativa, come detto prima, può partire dall’Alto Rappresentante. L’appoggio alle iniziative del SEAE da parte del Consiglio Europeo, infatti, rende più fluido il processo di approvazione in Consiglio dei Ministri, dove esso implica la votazione a maggioranza qualificata, mentre, diversamente, si voterebbe all’unanimità (con la conseguenza che gli Stati membri potrebbero bloccare il processo legislativo).
L’UE di Lisbona e il federalismo
Tirando le somme di quanto detto finora, quindi, possiamo dire che l’Unione Europea sta facendo passi avanti verso la federazione? Forse. O forse no.
Ancora una volta si forniscono agli Stati membri gli strumenti, ma l’iniziativa politica spetta a loro, perché una classe politica non lungimirante potrebbe bloccare il processo di integrazione europea. Con o senza Lisbona. D’altro canto, il Trattato di Lisbona apre molte porte e, si sa, è molto più semplice decidere di varcare una porta aperta che decidere di abbattere un muro. E i sessant’anni di storia comunitaria ci insegnano che, finora, le opportunità sotto sempre state sfruttate per arrivare, «a piccoli passi» – come disse il Ministro Schumann – fino all’Europa che abbiamo oggi. Non resta che perseverare.
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