Nobel alla UE. Riflessioni a freddo

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

Nobel alla UE. Riflessioni a freddo

Nobel per la Pace all’Unione europea: ce lo meritiamo o no? È un ‘vero’ premio o un ‘contentino’ ad un’Europa senescente e in difficoltà? Occorre dirlo: rispetto agli anni di Spinelli e dei padri fondatori, l’Europa ha perso colpi. Si può giustamente obiettare che l’UE di oggi è troppo sottomessa agli USA, incide poco o nulla negli affari internazionali e con politiche sbagliate ha contribuito a disoccupazione, povertà e malcontento al suo interno. Per tacere del ritorno di partiti neonazisti, come in Grecia. Aveva ragione Cattaneo: per una pace vera occorrono gli Stati Uniti d’Europa. Che il premio ci serva da sprone!

Il Premio Nobel per la Pace ha una storia lunga e controversa. L’hanno spesso vinto personaggi assai discussi, dal bellicoso presidente USA Theodore Roosevelt (1906) a Henry Kissinger (1973) a Barack Obama (2009), i cui ‘extraordinary efforts to strengthen international diplomacy and cooperation between peoples’ (così nella motivazione) furono (chissà come?) riconosciuti e premiati dai giurati di Oslo dopo neanche un anno alla Casa Bianca. Figure più nobili come Gandhi o il Presidente ceco Havel sono invece rimasti a mani vuote. L’Unione europea, da poche settimane, non è più in loro compagnia.

È innegabile che, come hanno scritto i membri del Comitato, l’Unione europea abbia contribuito alla pace ed alla riconciliazione in Europa, soprattutto tra Francia e Germania, alla diffusione della democrazia, in particolare a Sud e a Est, e dei diritti umani. Ciò corrisponde alle intenzioni dei ‘padri fondatori’, Adenauer, Schuman, Monnet, De Gasperi, e altri ancora. I fondatori però condividevano con Altiero Spinelli una visione federalista, che finora non si è realizzata e non sembra affatto sull’agenda di alcun leader politico contemporaneo. Come scriveva Kant, una pace duratura, se non perpetua, è fondata tanto sull’ordinamento democratico degli Stati (‘repubblicano’, all’epoca del filosofo) quanto su una federazione tra essi. Mentre il primo aspetto è stato realizzato e consolidato, il secondo è ancora rimasto lettera morta. ‘Avremo pace quando avremo gli Stati Uniti d’Europa’, scrisse Carlo Cattaneo. Siamo ancora fermi lì.

Oltre all’assenza di una cornice politica federale, diverse altre obiezioni possono essere mosse alla natura pienamente ‘pacifica’ dell’attuale Unione europea.

In primo luogo, la pace europea è anche un risultato della pace ‘imperiale’, ossia dell’egemonia americana sul nostro continente e su una larga parte del pianeta. In altre parole, abbiamo combattuto di meno tra europei anche perché siamo stati ‘guardati a vista’ dal potente gendarme d’oltre oceano. Durante la Guerra fredda, la vicinanza e la minaccia dell’avversario sovietico consentivano agli europei un maggiore margine di indipendenza e manovra; dopo il 1989 l’influenza americana è diventata più oppressiva e ha spesso alimentato divisioni e tensioni, come in occasione dell’intervento in Kosovo del 1999 o della successiva guerra in Iraq. È vero che Washington teme l’ascesa di potenziali ‘Stati Uniti d’Europa’, che sarebbero un concorrente economico e politico formidabile; ed è vero che la grande finanza di Wall Street e della City ha ripetutamente attaccato (e continuerà ad attaccare) l’Euro e l’economia europea. È anche vero però che gli europei non hanno fatto nulla per ‘emanciparsi’, e per assumere un ruolo autonomo sulla scena internazionale. Un’UE dotata di modesto peso politico fatica ad evitare conflitti al suo interno; come può dunque pensare di contribuire alla pace all’esterno? Si prenda ad esempio il conflitto in Siria. È una tragedia sulla porta di casa, a cui stanno contribuendo, su fronti diversi, attori quali gli USA, la Russia, la Cina, la Turchia, e naturalmente numerosi paesi arabi. L’Europa, che dipende da quella parte del mondo anche per ragioni energetiche, sta a guardare. Lo stesso vale per gli sviluppi nell’ex Unione Sovietica: le recenti elezioni in Georgia ed Ucraina hanno dimostrato ancora una volta il potente riflusso della Russia di Putin verso occidente.

Un secondo aspetto, e ancora più grave, è poi il fatto che istituzioni finanziarie e governi europei (soprattutto quelli che credono di poter ancora giocare ruoli da ‘Grande Potenza’, come Gran Bretagna e Francia) continuino ad interferire nella politica internazionale con finanziamenti a gruppi armati, supporto a dittatori e signori della guerra, ed altre pratiche che ben poco hanno a che vedere con pace e democrazia. L’iniziativa bellica in Libia di Parigi e Londra ha da un lato diviso l’Unione (con la Germania a favore dell’astensione) e dall’altro contribuito ad una situazione politica, quella libica, che pare assai lontana dall’incarnare stabilità democratica e rispetto dei diritti. Un’Unione europea più forte rappresenterebbe qualcosa di nuovo e non sarebbe macchiata da un passato coloniale che ancora condiziona le relazioni tra molti paesi asiatici ed africani e le loro ex potenze coloniali. Ciò è vero in specie se essa fosse il risultato di uno sforzo visibile e credibile a costruire un’unione di pace; sforzo che fu tentato negli anni Cinquanta da personaggi quali Adenauer e Schuman, ma che è poi rimasto senza seguito, anche per lo scadimento di qualità di classi dirigenti sempre più lontane dalle tensioni dell’esperienza bellica e dal fervore degli anni seguenti.

Esiste poi un terzo ed ulteriore aspetto che ha minato la credibilità dell’UE come attore di pace. L’attuale ‘crisi dell’Eurozona’ è anche dovuta (tra numerosi altri fattori, sia chiaro) all’incompetenza, debolezza e connivenza con le grandi istituzioni della finanza internazionale che hanno caratterizzato l’Unione in questi anni. All’inizio del 2013, il Pil greco dovrebbe essere diminuito del 25% rispetto a inizio 2008; una caduta paragonabile a quella del Pil USA durante la Grande depressione. La disoccupazione è salita dal 7,5% (settembre 2008) all’attuale 25% – ed è destinata a salire ancora. In Spagna, la cifra attuale è persino peggiore. Mentre a Barcellona si agitano i venti della secessione, in Grecia preoccupa l’ascesa di ‘Alba Dorata’, un partito neonazista che ha raccolto il 7% dei voti (e 18 seggi) nelle elezioni di giugno e sta raccogliendo consensi anche grazie a presunte connivenze con la polizia greca. Il simbolo di ‘Alba Dorata’, un meandro, ricorda da vicino una svastica; e il suo leader ha apertamente espresso apprezzamento per Hitler, in un articolo, per quanto lontano, del 1987. E cco: l’Unione europea ha ricevuto il Nobel per la Pace nell’anno in cui un partito nazista o nazistoide ha messo piede in un parlamento, e con un certo seguito. È una storia tristissima, della quale Bruxelles è in parte consistente responsabile. Che cosa ha dunque motivato i giurati norvegesi? Forse un certo grado di paura, perché un collasso dell’Europa non giova a nessuno, neanche a loro che credono di starsene tranquillamente al di fuori.

Forse hanno voluto dare all’Europa un contentino, un supporto morale, o anche un premio. Un premio alla carriera però, quale si dà ad una starmatura, magari sulla via del tramonto. Una carriera che l’Europa non ha in realtà neppure cominciato. Come può l’UE essere un attore di pace se non è pienamente credibile e riconosciuta? Come può portare pace all’esterno se non la coltiva neppure al proprio interno, restando silente di fronte a chi si inventa di un’Europa ‘virtuosa’ ed un’Europa ‘dei PIGS’? E’ difficile dire se l’UE abbia meritato questo premio. Intanto però l’ha vinto, e ora deve provare a meritarselo. È bene che i nostri leader politici se ne rendano conto, ed agiscano, perché è tardi.

Alla luce della odierna rielezione di Barack Obama, manca solamente la scelta della nuova leadership cinese al diciottesimo Congresso del Partito Comunista per mettere in chiaro chi guiderà le due massime potenze mondiali nei prossimi anni. La sospensione, il limbo, della politica mondiale di questi ultimi mesi sono destinati a terminare. Cerchiamo almeno noi, come cittadini, di meritarci un premio che, più che gratificarci, dovrebbe essere di sprone!

Questo articolo è stato inizialmente pubblicato su iMille

Fonte immagine Flickr

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