Nell’età del marketing, delle telegrafiche espressioni twitteriane, nelle impulsive catene di trasmissione delle notizie tramite facebook, ci accorgiamo di essere tutti ossessionati dagli slogan, urlati, sussurrati, pensati, pesati, gettati, creati o riciclati che siano.
Slogan. La mia mente torna ad un vecchio numero di Topolino e al Professor Pico de Paperis che spiega l’etimologia della parola, individuando le origini dal gaelico antico, per meglio dire nella parola sluagh-ghairm che secondo le parole del tuttologo dovrebbe significare «urlo di guerra».
L’idea è senza dubbio affascinante ma vorrei capire fino a che punto possa fidarmi di un fumetto: così cerco su una fonte più autorevole (De Paperis non me abbia a male!) le origini della parola. E scopro che De Paperis era sostanzialmente nel giusto.
Cito dal Lessico della Treccani: “s.m [dall’inglese slogan
Ovviamente in politica non si tratta (non si tratterebbe…) di vendere, in senso stretto del termine, un prodotto, un brand, un’applicazione commerciale: si tratta piuttosto di diffondere visioni, paradigmi esistenti e/o possibili di funzionamento della società, alzare stendardi incorporei attorno ad aree di influenza e di esistenza. In soldoni si tratta di usare bene le parole. O almeno con il giusto grado di consapevolezza.
Tutti coloro che si muovono in politica, intendendo essa nel significato più ampio del termine, capiscono presto il potere delle parole. E anche le forze federaliste, coinvolte in un periodo piuttosto delicato per i destini del continente europeo, devono muoversi con la dovuta consapevolezza in questo mare di dichiarazioni, affermazioni, smentite, critiche più o meno realiste. In mezzo a questi slogan. Vorrei cercare di capire quali di questi sono ancora nostri, quali sarebbe opportuno combattere con vigore, quali adottare. Non si tratta di necessità normative, perché tali necessità dipendono dal contesto specifico (spazio-temporale, politico-istituzionale) nei quali vengono adottati, nonché, ancora più importante, dalle sensibilità personali di ognuno. Spunti di riflessione.
Molti spettri si aggirano per l’Europa, gli spettri degli slogans
“Federazione europea subito!” È il nostro grido di battaglia preferito, antico quanto il MFE, attualmente molto in voga nelle manifestazioni GFE/JEF. È molto efficiente in quanto indica obiettivo (federazione europea, con tutte le implicazioni squisitamente politiche che il termine comporta) e tempistiche (subito, ossia non un graduale lavorio di azioni diplomatiche di natura governativa verso un lento processo di integrazione europea, ma un processo più radicale. Si fa implicito riferimento a Costituenti di cittadini o simili meccanismi di federalizzazione, di natura democratica, da parte del famigerato demos europeo). Presenta un insieme non indifferente di problematiche: innanzitutto non sempre il comune cittadino è a conoscenza del reale significato del termine «federazione» (in termini socio-politici, istituzionali, economici, culturali, etc…), disorientato anche da un dibattito interno ai comuni circuiti politici nazionali (italiani) responsabile di aver legato (spesso) il termine federalismo a una particolare forza politica (Lega Nord) invece che al MFE e a forze ad esso affini. Negli ultimi tempi inoltre la parola è diventata di uso comune (mainstream direbbe qualcuno) e anche le istituzioni europee sono sempre meno restie a farne uso: “fantastico!”si potrebbe pensare in prima battuta. Dipende. Il fatto meraviglioso e di assoluta positività è che finalmente la parola appartiene all’attuale dibattito politico. È di dominio pubblico. Ma questo significa anche che tale slogan può essere facilmente strumentalizzato (se mi si concede una parola anch’essa da tempo abusata) e deviare dalla sua origine primigenia, piegato a interessi che potrebbero essere anche contrari a quelli della cittadinanza. Continuiamo ad usarlo, ma vigiliamo.
“L’Europa ce lo chiede” È stato usato troppo a lungo da troppi politici (soprattutto nostrani). Va evitato e combattuto con forza. Sì può (e spesso si deve) essere critici verso le istituzioni europee. Ma costruttivamente. Non cedendo alle false armi della demagogia e della mistificazione.
“Dobbiamo continuare a cedere maggiore sovranità verso l’Europa” Qui si intacca secoli di dibattito della scienza politica sul concetto di sovranità e di legittimità della stessa. Esistono diversi pensatori (ricordo qui uno scritto di diffusione del pensiero federalista del 1945, Anatomia della pace, di Emery Reeves) per i quali la sovranità appartiene al popolo. Ma anche accettando definizioni più “classiche” e di convinzione fortemente nazionalista, come quella di Carl Schmitt (“La sovranità è il potere di decidere in ultima istanza”) l’obiezione pare essere sempre la stessa: volere un potere più democratico ed efficiente a livello europeo non è parlare di cessione di sovranità, ma è invece una riappropriazione della stessa. Se le nazioni non sono più sovrane, non pare ovvio il passaggio logico? Indichiamolo quando possibile.
“Il problema è il signoraggio delle banche” Qualunque studente di economia, anche di scarsa (ma onesta) preparazione, conosce l’inconsistenza di tali affermazioni. Non che il tema della moneta, degli strumenti operativi delle banche centrali e meccanismi di trasmissione siano bazzecole. Ma è quasi sufficiente una attenta e critica lettura di wikipedia per rendersi edotto sui termini “base monetaria”, “moltiplicatore della base monetaria”, “meccanismo diretto e indiretto di trasmissione monetaria”. Replichiamo con proposte operative serie a queste favole, perché queste tematiche presentano ancora notevoli problemi (e storture) ed è possibile approntare soluzioni migliorative notevoli. Ma non perdiamo troppo tempo nel convincere questi novellatori a studiare un po’. Sarebbe faticoso. Per noi e per loro.
“Lanciamo un piano di investimento europeo” Ovviamente questo può rimanere solo uno slogan. Rimanere pensiero e parola, perdute nell’immensità. Ed è un passaggio strategico che può essere preso solo come movimento nel complesso. Però, a livello locale, abbiamo avuto esperienza della sua forza: è uno slogan pragmatico (parla al portafoglio delle persone), permette l’appoggio di forze apparentemente distanti, è di facile comprensione, ha le potenzialità per una forte mobilitazione, è efficace anche sul piano strategico per federazione europea. Pensiamoci.
Si può aggiungere molto altro. Ma lascio questo cantiere di dibattito aperto a tutti quanti. Citerò ancora solo Wittgenstein e una celebre espressione contenuta nel suo testo Tractatus logico-philosophicus: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. A tutti noi il compito di allargare gli orizzonti dei nostri Universi, personali e collettivi.
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