Per la “democrazia europea”

, di Antonio Longo

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Per la “democrazia europea”

Dopo quattro anni di crisi finanziaria, economica, sociale in Europa siamo ora alle prese con un nuovo passaggio: quello della crisi della rappresentanza politica a livello nazionale, espressione più immediata di ciò che viene chiamata “crisi della democrazia”.

Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare del ‘vulnus’ della democrazia operato dalle decisioni e/o dalle pressioni della BCE, della UE sulle scelte operate dai governi nazionali in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo in tema di welfare, mercato del lavoro, tagli alla spesa pubblica e via di seguito. Alcuni opinionisti (in Italia, in Germania e, quasi da sempre, in Francia) sostengono apertamente che “al di là della nazione non c’è democrazia” e che pertanto le decisioni europee sarebbero inficiate da una carenza di legittimità democratica.

All’opposto, comincia ad emergere anche l’idea che, proprio grazie alla crisi, sia necessario porre il tema della “democrazia europea”, come forma necessaria a legittimare le decisioni europee. E che essa si aggiunge a quella nazionale, senza ovviamente escluderla.

Un dibattito sulla democrazia europea è di importanza cruciale per orientare sia la gestione della crisi economica sia lo sviluppo stesso del processo di unificazione..

Il concetto di democrazia mette in evidenza due cose, il popolo (demos) ed il governo (kratos) e sta dunque ad indicare “il governo del popolo”.

L’aggiunta della qualificazione ‘europea’ sta ad indicare che, con lo sviluppo del processo di unificazione, siamo arrivati al punto in cui si pone il problema di portare le regole della democrazia anche sul piano europeo. E che a quel livello deve realizzarsi la congiunzione tra ‘demos’ e ‘kratos’, cosa che è possibile se il popolo europeo interviene nel processo di creazione del ‘governo europeo’.

Nelle indicazioni del federalismo organizzato, da Spinelli in poi, si è sempre sostenuto che, per giungere alla federazione europea, ci vuole anche la partecipazione del popolo. E le ‘campagne federaliste’ hanno sempre cercato, con petizioni e raccolte di firme, di stimolare la partecipazione popolare.

L’elezione diretta del Parlamento europeo rappresenta certamente un passo in avanti, ma il ‘demos’ non si è finora coniugato con il ‘kratos’, perchè l’elezione europea non fa ancora nascere il governo dell’Europa.

Con la crisi finanziaria, economica, sociale e politica dell’eurozona siamo entrati in una fase politica che presenta una caratteristica assolutamente nuova: la necessità di controllare, a livello europeo, i bilanci nazionali e, di conseguenza, la spesa pubblica nazionale. Il controllo e la gestione delle risorse costituisce un elemento qualificante della sovranità. Nella misura in cui queste risorse devono essere controllate sul piano europeo, siamo in presenza dell’inizio della fine della separazione tra politica nazionale ed europea, nel senso che la politica nazionale comincia a diventare un’articolazione di quella europea. Ma anche la gestione delle risorse sul piano nazionale, almeno in termini di macro-aggregati, deve essere concordata a livello europeo. Ciò ha conseguenze sul piano politico (i governi nazionali devono seguire le indicazioni di Bruxelles) e sul consenso elettorale (si formano governi ‘di larghe intese’ o tecnici per fare le ‘riforme’ proprio per evitare di dover pagare un prezzo troppo alto in termini di consenso).

Il problema nasce allora dal fatto che la politica di bilancio e di supervisione europea della spesa pubblica nazionale viene effettuata con il metodo intergovernativo, perché i governi (a cominciare da quelli più forti) vogliono mantenere il feticcio della sovranità nazionale sulla finanza e sul debito pubblico. E’ proprio questo che accentua la crisi della democrazia (nazionale).

Ma questa crisi va letta anche come possibile ‘passaggio’ per l’affermazione di una storia nuova: quella del sorgere di una ‘democrazia europea’, come risposta alla crisi profonda della vecchia democrazia nazionale .

Questa affermazione – allo stato potenziale – va rivendicata già da oggi, ogniqualvolta si parla di mancata crescita, di crisi occupazionale, di riduzione dei diritti legati al welfare, ecc. E’ la mancanza di una democrazia europea, cioè di un governo europeo, che determina in ultima istanza politiche restrittive su di un piano, quello nazionale, privo degli strumenti per agire diversamente.

E l’affermazione della democrazia europea potrà cominciare a dispiegarsi se nelle prossime elezioni europee del 2014 si svilupperà una competizione reale tra le formazioni politiche per la leadership della Commissione europea, con programmi europei e candidati-leader e la nascita di una prima vera “agorà europea”.

Sotto questo aspetto, la democrazia europea non sarà solo una risposta alla crisi della democrazia nazionale, ma anche il mezzo attraverso il quale completare la costruzione europea. Grazie ad essa e con essa si potrà costruire il ‘governo federale’, cioè fare la ‘federazione europea’.

Fonte immagine: Wikimedia.org

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