ECONOMIA INTERNAZIONALE/Europa, Russia e Usa scaldano i motori

Si anima la corsa al FMI

, di Nives Costa

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Si anima la corsa al FMI

Mentre si spengono i clamori della crisi dei mutui subprimeamericani, si profila una battaglia diplomatica per la nomina di una delle posizioni cruciali nella scacchiera finanziaria internazionale. L’attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale, Rodrigo Rato, ha annunciato di voler lasciare anticipatamente la carica, aprendo le speculazioni sull’identità del suo successore. Il nuovo direttore dovrà gestire il processo di riforma del Fondo, che già si profila segnato dalle rivendicazioni delle nuove economie emergenti.

Quel mondo non esiste più

Sin dalla creazione dell’organizzazione nel 1945, in questo «super-guardiano» del sistema finanziario mondiale è valsa una regola non scritta: la nomina alla carica di managing director spetta sempre agli Europei, mentre è sempre di nomina americana il direttore della Banca Mondiale, l’altro pilastro del sistema economico internazionale uscito dalla Conferenza di Bretton Woods. Fino ad oggi non è stato difficile mantenere la direzione europea a capo del FMI, per la semplice ragione che i paesi che contribuiscono maggiormente a finanziare il Fondo detengono anche un maggior potere di voto: un dollaro, un voto, si potrebbe semplificare. Le considerazioni riguardo al Fondo sono le stesse che valgono per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: si tratta di sistema nato per riflettere un mondo che non esiste più. Basti pensare che gli Stati Uniti detengono da soli il 16,79% dei voti nell’organo direzionale del Fondo, che se sommato ai voti europei crea di fatto un controllo assoluto.

una regola non scritta: il FMI agli europei, la Banca mondiale agli americani

È innegabile che questo sistema necessiti di una riforma - non si può pensare di continuare a ignorare la crescita dei paesi emergenti come Cina, India, Brasile e probabilmente molti altri nel prossimo futuro. Si può dunque capire perché il ruolo del prossimo direttore sia quanto mai cruciale - avrà l’onore e l’onere di sovrintendere a questa delicatissima riforma.

I paesi emergenti spingono per cambiare

La candidatura europea è stata come sempre unanime, nella figura di Dominique Strauss-Kahn. Ma questa volta le carte sono state mescolate dalla improvvisa quanto inaspettata candidatura russa del ceco Josef Tosovsky. Nemo propheta in patria, si suol dire: fonti ufficiali ceche hanno fatto presente che Tosovsky, già primo ministro della Repubblica, non è il candidato nazionale e che la Repubblica Ceca supporta il candidato scelto in accordo con i partners europei.

i paesi che contribuiscono maggiormente a finanziare il Fondo detengono anche un maggior potere di voto

La provocazione russa si inserisce nella lunga serie di schermaglie diplomatiche che hanno segnato le relazioni con Europa e Stati Uniti negli ultimi mesi. Tuttavia coglie nel segno, perché colpendo la regola non scritta nelle nomine alternate tocca un simbolo della dominanza di Europa e Stati Uniti sul sistema monetario internazionale, un controllo che va sempre più stretto a economie più giovani e in rapida ascesa. I paesi europei si oppongono infatti a un ridimensionamento della loro influenza nel FMI; la quota degli Stati Uniti rimarrebbe invece sostanzialmente invariata, quindi questi vedono con favore l’opportunità di rafforzare la loro intesa politica con paesi quali Turchia, Messico e Sud Corea. Di fonte alla mala parata, Jean-Claude Juncker si è affrettato a dichiarare che il successore di Strauss-Kahn proverrà probabilmente da un paese in via di sviluppo. Questo non basta però a sopire il dibattito sulla rappresentatività del Fondo, poiché la vera leva di potere rimane salda nel sistema di votazione del Consiglio e quindi nelle mani dei paesi di vecchia industrializzazione.

Serve più rappresentatività nel Fondo

Il FMI sta infatti attraversando una crisi di credibilità, non solo per via delle voci critiche (una per tutte, quella di Joseph Stiglitz, già capo economista della Banca Mondiale) che lo accusano di aver messo in atto politiche ideologiche che hanno causato danni più che risolvere problemi: serpeggia infatti il malumore riguardo all’iniquità intrinseca al sistema di voto interno, tanto che nei primi mesi di quest’anno sia l’Ecuador che il Venezuela hanno minacciato di volersi ritirare dal Fondo, e i sempre più paesi guardano altrove per ottenere credito.

Ecuador e Venezuela hanno minacciato di volersi ritirare dal Fondo

La riforma del Fondo è dunque urgente, e probabilmente includerà un compromesso su una riduzione quantomeno parziale della posizione di privilegio di alcuni paesi europei. Non sarà la rivoluzione in cui sperano i critici del Fondo, ma perlomeno dovrà ovviare ai suoi squilibri più palesi. Ovviamente il negoziato potrebbe impantanarsi e la riforma essere rimandata: la conseguenza sarebbe un ulteriore deterioramento prestigio del Fondo, perché un’istituzione che non riflette i rapporti di forza esistenti è destinata a scivolare in secondo piano. È una conseguenza che nemmeno i maggiori critici dell’operato del Fondo dovrebbero augurarsi: le crisi finanziarie degli ultimi anni mostrano che le economie sono sempre più interdipendenti, e che le crisi rimbalzano da un continente all’altro come palloncini. Gli obiettivi del Fondo, compresi quelli di garantire la cooperazione finanziaria internazionale e finanziare i paesi membri in difficoltà, saranno garantiti meglio che in passato con una maggiore rappresentatività.

Sul web:

Russia eyes Czech for top IMF job, BBC News

European control of IMF ’to end’, Financial Times

Nella foto la sede del Fondo Monetario Internazionale a Washington D.C.

Fonte IMF

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