Stati Uniti ed Europa: mai così vicini o mai così lontani? (III)

Intervista a Umberto Morelli

, di Marta Semplici

Stati Uniti ed Europa: mai così vicini o mai così lontani? (III)

L’operazione «Iraqi Freedom» ha diviso Stati Uniti ed Europa. Le recenti elezioni americane sono state interpretate come la sconfitta delle scelte dell’amministrazione Bush in Iraq. Secondo lei questo intervento è stato solo una breve parentesi imperialista o significa che in futuro gli Stati Uniti continueranno a sentirsi svincolati dal rispetto del diritto internazionale?

...non c’è nessun motivo per cui gli Stati Uniti debbano cambiare politica...non trovano nessun limite al loro superpotere militare

Le elezioni americane hanno sicuramente rappresentato la bocciatura della politica dell’attuale amministrazione e, in particolare, della politica in Iraq. Per quel che riguarda eventuali inversioni di tendenza o ciò che potrà accadere in futuro, è difficile fare delle previsioni. Attualmente, è stato istituito un gruppo presieduto dall’ex segretario di Stato del padre del Presidente Bush, James Baker, che sta studiando la strategia di uscita dall’Iraq. Qualunque sia l’esito, non penso che ci si debba aspettare a breve termine un cambiamento della politica estera americana, nel senso di un maggior rispetto del diritto internazionale o di eventuali risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, perché non c’è nessun motivo per cui gli Stati Uniti debbano cambiare politica. Nelle relazioni internazionali, uno Stato si comporta in base a ciò che i rapporti di forza ed il meccanismo delle relazioni internazionali stesse permette di fare. Gli Stati Uniti non trovano nessun limite al loro superpotere militare e quindi provano, coerentemente dal loro punto di vista, a realizzare il disegno egemonico della Pax americana. Ai tempi della guerra fredda, c’era l’URSS; oggi, non c’è nessuno in grado di contrastare gli Stati Uniti sul piano militare. Finché gli USA non troveranno altre potenze che possano limitare il loro unilateralismo, non riesco ad immaginare un cambiamento nella conduzione della loro politica estera, che vi sia una maggioranza democratica o repubblicana. Tra questi ultimi, possono esserci sì delle differenze nella forma, ma non nella sostanza.

Quindi lei crede che nemmeno la maggioranza democratica appena eletta né un futuro Presidente americano democratico potrebbero essere più vicini alle pretese dell’Europa di essere considerata un alleato importante, pur essendo per alcune scelte una voce discordante?

...decisioni strategiche, gli americani non lasciano in alcun modo il controllo di queste scelte

L’atteggiamento degli USA nei confronti dell’Europa e nei confronti di un aumento della presenza politica e militare europea sulla scena internazionale non dipende, a mio avviso, tanto dal fatto che l’amministrazione americana sia repubblicana o democratica, ma dalle circostanze che si creano nel sistema internazionale. Nel passato, ci sono stati presidenti sia repubblicani che democratici che hanno favorito l’integrazione europea, come sia democratici che repubblicani sono stati altri presidenti che non hanno fatto nulla per favorirla. Si possono fare molti esempi: come Eisenhower favorevolissimo all’esercito europeo, come Truman all’avvio dell’integrazione economica, come Nixon e Kissinger molto preoccupati di una crescente autonomia europea. Incoerente fu l’amministrazione Clinton, favorevole ad un impegno europeo nei Balcani, contraria quando l’Europa nel 1999 prende la risoluzione di creare la Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) ed il Segretario di Stato, Madeleine Albright, impose subito le famose tre “D” per limitare l’autonomia militare dell’Europa. In linea generale, si può dire che gli Stati Uniti sono favorevoli ad un appoggio europeo in termini militari, ma senza un’autonomia europea a livello decisionale. Gli europei sono appoggiati nel caso in cui aggiornino i loro armamenti che, come sappiamo, presentano un ritardo spaventoso nei confronti di quelli americani, tanto che in certi casi gli americani preferiscono fare da soli per problemi di interoperabilità. Quando, però, si tratta di prendere le decisioni strategiche, gli americani non lasciano in alcun modo il controllo di queste scelte. Per il futuro, tanto dipenderà dalle evoluzioni in Medio Oriente, dalla Cina e, soprattutto, da cosa capiterà in Europa. In altre parole, se l’Europa saprà imporre la sua presenza sia economica che politica e militare, forzando un po’ la mano agli Stati Uniti perché accettino la presenza europea. Teniamo anche conto che, dalla fine della Guerra fredda, le priorità strategiche per gli USA non sono più in Europa, ma sono in Medio Oriente e in Asia centrale.

Si potrebbe dire che è proprio per questa perdita di interesse strategico che l’Unione europea ha da allora aumentato la cooperazione tra Stati membri in materia di politica estera e di sicurezza comune…

Sì, l’UE ha creato la Politica estera di sicurezza comune(PESC), che è entrata in vigore nel 1993, dopo le esperienze deludenti nella prevenzione della guerra nell’ex-Yuogoslavia. A seguito degli ulteriori fallimenti della presenza europea nell’ex Yugoslavia negli anni ’90, ci fu il Summit franco britannico di St.Malo tra Blair e Chirac, che ha stabilito di fare dell’Europa, un’Europa potenza. Il riferimento è chiaro: un’Europa militare, non un Europa Stato. In quel momento, l’obiettivo era di dare capacità militari alla PESC che, pur riformata rispetto alla Cooperazione Politica Europea(CPE) precedente, continuava ad essere insufficiente. La guerra del Kosovo del 1999 e i problemi emersi nelle relazioni tra Europa e Stati Uniti, anche all’interno della stessa NATO, hanno portato la dichiarazione di St.Malo, prima nel vertice di Colonia e poi nel Consiglio europeo di Helsinki a creare la PESD. Dopo la guerra in Iraq, l’Europa ha reagito elaborando la Strategia europea di sicurezza, conosciuta anche come «Dottrina Solana». Come dimostra la storia dell’integrazione europea, gli Stati membri reagiscono dal momento in cui la mancanza dell’Europa è percepita come negativa. A quel punto, si compiono dei passi avanti nell’integrazione, più lunghi nel campo economico, molto più ridotti in ambito militare. Tra i motivi di questa lentezza, bisogna ricordare la spinosa questione del rapporto tra NATO e Unione Europea. Oltre al disaccordo creatosi con gli Stati Uniti, vi sono poi i difficili rapporti con quei Paesi europei membri della NATO, ma non dell’UE. Come, dunque, associare eventuali iniziative militari decise in sede PESD, che utilizzano per altro le capacità di pianificazione della NATO, senza discriminare i Paesi non membri, il caso più evidente oggi, la Turchia?

Tornando all’Europa come attore delle relazioni internazionali, uno studioso americano Robert Kagan, a proposito dei rapporti tra Stati uniti ed Europa, ha scritto che gli Europei provengono da Venere e gli Americani da Marte. Secondo lei, l’Unione europea può davvero ambire ad essere una forza militare o è veramente destinata ad assumere il ruolo di sola forza di pace?

La metafora di R. Kagan ha avuto molto successo, ma è in realtà molto superficiale. La Strategia europea di sicurezza non esclude il ricorso alla guerra; allo stesso tempo, l’Europa non ha dichiarato guerra a nessuno. L’Europa sembra essere simile a Venere perché la storia del continente europeo ci ha vaccinati dal dichiarare guerra in modo superficiale. Detto questo, c’è qualcuno che teorizza l’Europa come potenza civile, cioè come una grande Scandinavia. L’Unione europea, però, non è affatto comparabile ad uno Stato come la Svezia, né come la Svizzera. L’Unione europea ha 450 milioni di abitanti, produce un quarto del Prodotto nazionale lordo mondiale, è il maggior importatore di petrolio ed è la zona del mondo che garantisce più aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Dietro a queste cifre penso ci sia la necessità per l’UE di dotarsi di strumenti militari.

la struttura militare di cui ha bisogno l’Europa non è l’esercito di un tempo

Ma dotarsi di un esercito europeo non tradirebbe uno dei valori fondanti dell’UE che è la pace e non preoccuperebbe i cittadini europei?

No, perché gli europei si trovano di fronte a delle sfide da affrontare. Dopo di che, la struttura militare di cui ha bisogno l’Europa non è l’esercito di un tempo. La difesa non coincide più con il territorio dello Stato, ma si fa all’estero per prevenire e reagire alle crisi con azioni di peace-keeping e di peace-enforcing, uniformandosi ai principi delle Nazioni Unite. La Costituzione europea addirittura richiama la Carta delle Nazioni Unite come fondamento della sua azione esterna, cosa che non è presente in altre costituzioni nazionali. L’Europa è diversa perché di fronte alle tante minacce internazionali non prescrive solo la risposta militare come gli Stati Uniti. Essa ha elaborato una molteplicità di risposte oltre a quella militare: in termini economici con gli aiuti allo sviluppo, in termini diplomatici per la stabilizzazione delle aree, attraverso una gestione civile delle crisi, cioè delle operazioni con forze di polizia, con dei giudici, dei magistrati per ricostruire in queste aree un sistema giudiziario e penitenziario, con delle operazioni umanitarie di fronte a delle catastrofi naturali, e così via.

Umberto Morelli è Professore associato in Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino, direttore didattico del Corso Pluritematico del Master in Scienze Strategiche di Torino, direttore del Centro Studi sul Federalismo.

Fonte immagine: Flickr

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