Sull’omicidio di Anna Politkovskaia

, di Michela Costa

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Sull'omicidio di Anna Politkovskaia

Il pomeriggio del 7 ottobre la giornalista russa Anna Politkovskaia (1958-2006) è stata assassinata. Il suo corpo è stato ritrovato da una vicina nell’ascensore del suo appartamento di Mosca, crivellato di colpi. Aveva 48 anni e dal 1999 scriveva per il quotidiano indipendente Novaja Gazeta, dedicandosi ad un’incalzante attività di denuncia degli orrori e delle continue violazioni dei diritti umani nel conflitto ceceno; per le sue numerose inchieste era ormai da tempo considerata una fastidiosa spina nel fianco dell’amministrazione di Vladimir Putin.

Nel libro “Cecenia: il disonore russo” del 2003, pubblicato in Italia da Fandango, la Politkovskaia ha denunciato tutto quanto ha potuto vedere, ascoltare e conoscere nel corso dei suoi oltre quaranta viaggi in territorio di guerra, additando senza esitazioni colpevoli e responsabilità politiche. Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, nel silenzio dei media occidentali, l’esercito russo in Cecenia si è reso responsabile di intimidazioni, rapimenti, sequestri a scopo di estorsione, tortura sistematica, stupro ed esecuzioni arbitrarie a danno della popolazione civile. Anna Politkovskaia era cosciente di correre dei rischi e già in passato aveva subito minacce, tra cui diversi arresti ed infinite intimidazioni, ma accettava di esporsi con coraggio e fermezza.

Nel 2002, nel corso dell’assedio al teatro Dubrovka di Mosca, aveva accettato di svolgere il ruolo di mediatrice con i terroristi per negoziare la liberazione degli ostaggi, tentativo vanificato dall’irruzione delle truppe speciali per mezzo del gas paralizzante. Nel 2004, mentre gli attentati alla scuola di Beslan sconcertavano l’opinione pubblica internazionale aprendo temporaneamente uno spiraglio di informazione sulla guerra russo-cecena, all’interno della Federazione Russa la copertura mediatica dell’evento era estremamente scarsa; i giornalisti venivano tenuti accuratamente lontani dai luoghi dei fatti, ed Anna Politkovskaia veniva misteriosamente avvelenata, a suo parere per opera dei servizi segreti, mentre si recava in aereo a Beslan.

La morte della Politkovskaia si inserisce in uno scenario quantomeno inquietante di deterioramento dei diritti civili e politici nel paese, dove aumentano le restrizioni alla libertà di stampa e i casi di persecuzione nei confronti di giornalisti ed editori indipendenti. Negli ultimi anni, mentre l’occidente corteggiava l’ex-potenza sovietica per il controllo su risorse strategiche come petrolio e gas naturali, nonché per il suo seggio fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, il governo russo ha adottato misure restrittive della libertà e dell’indipendenza dei mezzi di informazione; nel suo rapporto del 2006 sulla situazione della democrazia nel mondo, l’ONG statunitense Freedom House ha inserito la Russia nel gruppo dei paesi “not free”. I boicottaggi, le intimidazioni, gli omicidi di giornalisti sembrano costituire il leit motiv del conflitto ceceno.

Il caso della Politkovskaya purtroppo non è isolato: nel 2005 Stanislav Dmitriyevsky, direttore del mensile Pravo-Zaschchita, è stato indagato dalla Procura per aver diffuso alcune dichiarazioni di esponenti della ribellione, mentre il quotidiano moscovita Kommersant è stato “calorosamente invitato” a non pubblicare un’intervista al leader indipendentista Aslan Maskhadov. Anche alcune agenzie straniere hanno subito intimidazioni per i loro contatti con i ribelli: nello stesso anno tre giornalisti polacchi della rete televisiva pubblica TVP sono stati detenuti per alcuni giorni dalla polizia mentre lavoravano ad un documentario sulla guerra, ed in seguito incoraggiati ad abbandonare il paese, mentre un’agenzia svedese è stata apertamente criticata dal Ministero degli Esteri russo per aver pubblicato un’intervista al guerrigliero Shamil Basayev. A fine 2005 l’emittente privata Ren-TV è stata oscurata per aver criticato il Ministero della Difesa nel corso di una trasmissione della conduttrice Olga Romanova, mentre le indagini sugli omicidi dei giornalisti Magomedzarid Varisov e Alexei Sidorov sono tutt’ora irrisolte.

Anna Politkovskaia non rappresentava quindi un’eccezione, al limite un personaggio più scomodo di altri per la sua visibilità internazionale. La sua fama aveva valicato le frontiere del paese, valendole riconoscimenti prestigiosi come il Global Award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani, o il premio dell’OSCE per il giornalismo e la democrazia. È questo il lato più preoccupante della vicenda: nonostante la sua fama internazionale, è stata assassinata in pieno giorno, con un’esecuzione esemplare, in spregio a ogni pudore e senza nemmeno un vago intento di dissimulazione. I mandanti, siano essi membri della classe politica russa, dell’amministrazione cecena di Ramzan Kadyrov o di chissà quale altro gruppo o affiliazione, probabilmente non saranno mai identificati: di chiunque si tratti, è evidente che non teme le reazioni della comunità internazionale più di quanto non lo spaventi l’azione della giustizia interna. D’altronde, come ricorda un portavoce di Reporters sans frontières, "la giustizia russa ha già dimostrato la sua incapacità di far luce sulla morte di molti giornalisti critici con il potere”. Inoltre, nonostante la Corte Europea dei Diritti Umani abbia condannato per ben due volte la Russia per i crimini commessi dall’esercito in Cecenia [1], Vladimir Putin non sembra essere particolarmente preoccupato.

Lo studioso di relazioni internazionali Joseph Nye descrive il soft power come l’abilità di persuadere e convincere tramite risorse intangibili quali cultura, valori e istituzioni della politica. Se l’Europa esercitasse minimamente questo potere, forse tanta impunità non sarebbe consentita; adeguate pressioni diplomatiche potrebbero addirittura scoraggiare un così tracotante atteggiamento di quotidiana umiliazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Non siamo ingenui: è evidente che la Russia gode di quella “immunità energetica” assicurata ai paesi che detengono il controllo di risorse strategiche come petrolio o gas naturale, soprattutto se da sole coprono circa la metà del fabbisogno europeo. Ma è altrettanto vero che ogni possibilità di manovra sullo scacchiere internazionale si perde nel vuoto politico che paralizza oggi l’azione esterna dell’Unione. Quanto dovremo ancora attendere prima che l’Europa, il gigante dai piedi di argilla, ottenga finalmente autorevolezza e rispetto e sia in grado di promuovere anche al di là dei nostri confini quei valori di democrazia e diritto su cui da sempre dichiara di fondarsi? Assistere impotenti non è più un’opzione accettabile.

Fonte immagine: Flickr

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Note

[1Si veda ancora il sito di Human Rights Watch

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