Attacco in Somalia

USA contro tutti: quali soluzioni?

, di Stefano Rossi

USA contro tutti: quali soluzioni?

Gli ultimi avvenimenti in Somalia mostrano come gli Stati Uniti ritengano ormai proprio il diritto di risolvere le crisi internazionali e agire con le armi sul territorio di qualsiasi Paese. Il processo che ci ha portato oggi a dover convivere con uno Stato che decide unilateralmente di uccidere cittadini di altri Paesi, di processarli e condannarli a morte, di bombardare il loro territorio, è stato veloce e deciso, ma graduale, senza un’apparente soluzione di continuità tra i vari livelli.

L’inizio del conflitto afgano ha trovato gli Stati Uniti con un casus belli ben preparato, fondato sul regime religioso e sulle azioni violente dei talebani, nonché sulla presunzione della permanenza dei capi di Al Qaeda su territorio dello Stato in questione.

Se per fare guerra all’Iraq e quindi invaderlo, gli Stati Uniti hanno sentito il dovere di dichiarare il possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Saddam, questa “necessità politica”, ossia quella di cercare una giustificazione per la violazione dello status quo, oggi viene totalmente a mancare.

L’annuncio dell’avvenuto bombardamento è stato dato solo due giorni dopo il fatto compiuto

L’attacco aereo su territorio somalo è un’azione unilaterale, e tale caratteristica non è solo determinata dal fatto che l’attuazione del piano di bombardamento è stata decisa solo dagli USA, senza previa consultazione dell’ONU, ma anche da una totale mancanza di giustificazioni e di dichiarazioni precedenti l’intervento somalo. L’annuncio dell’avvenuto bombardamento è stato dato solo due giorni dopo (martedì 9 gennaio) il fatto compiuto (sabato 7 gennaio). Questo sicuramente per preservare la natura di “attacco a sorpresa”, ma resta la sensazione di una totale noncuranza verso la comunità internazionale da parte degli Stati Uniti.

Si potrebbe ribattere che l’azione americana ha trovato la piena legittimazione e giustificazione da parte del governo federale transitorio somalo, che anzi sembra aver autorizzato azioni che vanno oltre i raid aerei. Ma tutto ciò non può sottrarre il tema in questione al giudizio della comunità internazionale e al controllo degli organismi a ciò predisposti. Ogni azione militare che si svolge all’esterno deve essere posta sotto l’egida di un organo internazionale, per il solo fatto dell’uso delle armi, a prescindere da argomenti politici, quali appunto la giustificazione da parte del paese aggredito.

Ogni azione militare che si svolge all’esterno deve essere posta sotto l’egida di un organo internazionale

L’argomento in questione non è riducibile a un mero accordo tra due Paesi, ma si pone a un livello superiore, inerendo ad esso un’azione militare che ha comportato l’uccisione di cittadini somali. Né il presidente somalo, né tanto meno quello americano, possono disporre della vita di liberi cittadini. Tale principio va rispettato e solo un terzo super partes può garantirne l’applicazione.

In aggiunta va ricordato che pochi giorni prima (27 dicembre) del raid aereo, l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’UE Javier Solana aveva lanciato un appello alla massima moderazione, in un comunicatoin cui sosteneva che una soluzione duratura alla crisi in Somalia potrà essere ottenuta solo attraverso il dialogo politico.

L’indifferenza che gli USA mostrano verso la comunità internazionale non può che portare a conseguenze negative

L’indifferenza che gli USA mostrano verso la comunità internazionale non può che portare a conseguenze negative. In primo luogo perché così facendo si attirano spesso critiche e dissensi, come dimostrano le dichiarazioni dei ministri degli esteri di molti Stati membri dell’UE. In secondo luogo perché una struttura unipolare è per natura instabile e nel lungo periodo la chiusura sulle proprie posizioni non può che far implodere il sistema.

In questa prospettiva è sempre più urgente l’istituzione di un Ministro degli esteri europeo che, come ha auspicato Angela Merkel, dovrà essere uno degli obiettivi principali del nuovo progetto di Trattato costituzionale europeo. Una forza politica che limiti (e non necessariamente “si opponga a”) il potere americano è necessaria e desiderabile dagli stessi Stati Uniti. Sia per una più efficiente gestione delle crisi internazionali, sia per il migliore funzionamento delle istituzioni internazionali oggi esistenti.

Sicuro è che se non si troverà al più presto una soluzione, potremmo essere davanti a un nuovo fronte di guerra al terrorismo.

...è sempre più urgente l’istituzione di un Ministro degli esteri europeo...una forza politica che limiti il potere americano

Ma quale soluzione allora per questo problema? Senza dubbio il primo passo è quello di creare un soggetto capace di dialogare alla pari con gli Stati Uniti, come appunto un Ministro degli esteri europeo, senza cadere in un’inutile competizione che potrebbe solo aumentare la tensione internazionale; primo passo necessario ma non sufficiente.

In un secondo momento l’equilibrio politico tra forze dovrebbe mutare la sua natura in un equilibrio giuridico di forze, concependo un organismo internazionale che, partendo dal presupposto di un bilanciamento tra i diversi soggetti che lo compongono, possa funzionare e garantire una stabilità internazionale e il rispetto delle regole che si sarà dato. Oggi è l’ONU ad avere questa responsabilità, ma ormai è chiaro che non può funzionare un organismo in cui i diversi membri hanno pesi politici troppo diversi e diverse prerogative giuridiche (come il diritto di veto).

I due momenti prospettati non hanno senso se non composti insieme. Un bilanciamento politico senza un complesso normativo che lo sostenga è destinato a fallire, come la storia del nostro continente ci insegna. D’altra parte un organismo giuridico sovranazionale che non poggi su un preventivo equilibrio tra le forze che lo compongono diventa uno strumento per far valere sempre le ragioni di un singolo Stato, cosa forse ancora più pericolosa.

Fonte immagine Flickr

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