Un servizio civile per rilanciare la costruzione europea

, di Francesco Ferrero

Un servizio civile per rilanciare la costruzione europea

Nonostante l’enfasi con la quale la Convenzione europea ha insistito sul ruolo dei giovani nell’Europa del futuro, arrivando a convocare un’apposita Convenzione dei giovani, nonostante il fatto che il progetto di Costituzione europea si soffermi a più riprese sulla necessità di promuovere con opportune azioni di sostegno la mobilità degli studenti (art. 282) e dei giovani che si avviano alle professioni (art. 283), e si spinga fino a prevedere la creazione un Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, costituito da giovani (art. 321.5), si è di fatto perduta un’occasione storica per inquadrare in un progetto innovativo ed evocativo le politiche europee per i giovani. Ciò si deve attribuire in primis alle forti resistenze politiche opposte da alcuni governi (in particolare quelli inglese e danese).

È a tutti evidente che l’idea di trascorrere un periodo della propria vita in un paese europeo diverso dal proprio costituisce per molti giovani una prospettiva affascinante. Basti, vedere, a questo proposito, la popolarità del programma Erasmus (dal 2000 al 2004, ogni anno, oltre 130.000 studenti coinvolti), e il successo del progetto di Servizio volontario europeo (EVS), avviato dalla Commissione europea nel 1996.

Entrambi i progetti sono però affetti da limiti strutturali. Il programma Erasmus è riservato agli studenti universitari. Per carenza di risorse, inoltre, esso ha potuto sinora raggiungere solamente l’1% della popolazione universitaria europea, rispetto all’obiettivo del 10%. Anche l’EVS prevede la partecipazione di un numero molto limitato di giovani (attualmente appena 3.500 giovani l’anno ) e non è compatibile con gli obblighi di leva nazionali (dove essi persistono). Secondo la stessa Commissione , inoltre, «persistono vari problemi relativi alla tutela giuridica, fiscale e sociale dei volontari, alla questione dei visti, al riconoscimento dell’apprendimento non formale ecc.». Come se non bastasse, entrambi i programmi richiedono di fatto a coloro che vi aderiscono di avere sufficienti disponibilità economiche per potersi mantenere in un paese diverso dal proprio.

Manca un progetto che consenta di estendere i benefici della mobilità a tutti quei giovani che non hanno la formazione culturale o le risorse economiche necessarie per accedere ai programmi oggi esistenti. Un Servizio civile europeo, aperto a tutte le ragazze ed i ragazzi europei di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, potrebbe rispondere nel migliore dei modi a questa esigenza

Manca, in sostanza, un progetto che consenta di estendere i benefici della mobilità a tutti quei giovani che non hanno la formazione culturale o le risorse economiche necessarie per accedere ai programmi oggi esistenti, e che pure avrebbero una necessità ancora maggiore di aprire la propria vita alla dimensione sovrannazionale. Credo che la proposta di un Servizio civile europeo, aperto a tutte le ragazze ed i ragazzi europei di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, potrebbe rispondere nel migliore dei modi a questa esigenza.

Si tratterebbe di trascorrere 10-12 mesi in un paese di propria scelta, dentro o fuori l’Unione, purché diverso dal proprio paese d’origine, partecipando ad un progetto che miri a realizzare gli obiettivi elencati nella Costituzione europea, come il rispetto dei diritti umani, la pace, lo sviluppo sostenibile, ecc. Per diventare un vero programma di massa, il Servizio civile europeo dovrebbe indubbiamente essere obbligatorio. A questo proposito occorre però sviluppare qualche riflessione aggiuntiva.

Fino ad anni piuttosto recenti, la minaccia dell’aggressione militare da parte degli Stati confinanti giustificava il mantenimento di grandi apparati militari, rendendo indispensabile la coscrizione obbligatoria. Il successo dell’integrazione europea ha mutato radicalmente questo quadro.

Negli ultimi anni l’opinione pubblica europea si è convinta che le funzioni di difesa possono essere affidate ad un nucleo di soldati di professione, e la leva militare obbligatoria ha progressivamente perduto ogni giustificazione. Inizialmente, si è verificato un progressivo incremento dei giovani che praticavano l’obiezione di coscienza, scegliendo il servizio civile come strumento alternativo per servire la comunità. Oggi stiamo assistendo alla progressiva abolizione della leva obbligatoria in tutti gli Stati dell’Unione.

Purtroppo, insieme all’obbligo del servizio militare, si è deciso di abolire anche quello del servizio civile. Questa scelta è l’espressione di una resa dello Stato nazionale, che non si sente più capace di rispettare il contratto sociale con i propri cittadini. Uno Stato che non riesce più a garantire la sicurezza economica e sociale, infatti, non può più pretendere che i suoi giovani dedichino alcuni mesi della propria vita a servire gratuitamente la propria comunità.

Questo processo, tuttavia, rischia di privare la società di energie preziosissime per adempiere a quei bisogni che né lo Stato né il mercato riescono più da soli a soddisfare. Come se ciò non bastasse, con la scomparsa del servizio civile (e, limitatamente a certi aspetti, anche di quello militare) è venuto meno uno strumento ineguagliabile di educazione civica dei giovani.

Di fronte a questo fallimento, sta tornando d’attualità la proposta di reintrodurre il servizio civile nazionale obbligatorio. In Italia, ad esempio, essa rappresenta un punto centrale del progetto di governo di Romano Prodi. Vi è però, in questa proposta, un grave limite. Essa non coglie che la vera comunità di destino nella quale si trovano a vivere i giovani d’oggi è l’Unione europea, e che soltanto l’Europa, dotata degli opportuni strumenti di governo, potrà riguadagnare la capacità di onorare un nuovo contratto sociale, garantendo la sicurezza fisica ed economica dei propri cittadini, mentre gli Stati nazionali hanno perduto tale capacità in modo irreversibile.

Bisogna però essere coscienti del fatto che l’Unione europea di oggi, proprio perché priva degli strumenti istituzionali necessari a sviluppare una propria capacità di governo, e quindi ad offrire soluzioni ai problemi concreti dei giovani (l’insicurezza economica, la paura della concorrenza al ribasso portata dai lavoratori dei nuovi paesi membri, la minaccia del terrorismo e dell’instabilità globale, il deterioramento dell’ambiente, ecc.) non gode ancora della legittimità necessaria per imporre un servizio civile obbligatorio. L’esame dei risultati del voto francese e olandese sulla Costituzione europea dovrebbe essere istruttivo in tal senso: la stragrande maggioranza dei giovani di questi due paesi fondatori ha votato “No”.

Una via d’uscita da questa impasse potrebbe essere rappresentata dall’introduzione di alcuni incentivi per i giovani che scelgano di prestare il servizio civile in Europa. Questa scelta potrebbe ad esempio consentire l’accesso ad un prestito d’onore, necessario per finanziare il proprio inserimento nel mondo del lavoro, ovviando così ad una delle più gravi difficoltà che incontrano oggi i giovani europei, o essere annoverata tra i requisiti obbligatori per accedere ai concorsi della pubblica amministrazione europea. Queste forme di incentivazione, che rappresentano un’alternativa all’obbligatorietà, servirebbero a promuovere, in una prima fase, una massiccia adesione al progetto, collegando l’idea del servizio alla propria comunità a quella di un «giusto ritorno» per il giovane.

La partecipazione al Servizio civile europeo potrebbe rappresentare un formidabile strumento per veicolare il contributo attivo dei giovani al perseguimento degli obiettivi che stanno alla base della costruzione europea. Esso permetterebbe di erogare servizi sociali sempre più difficili da finanziare, fornendo nuova linfa al lavoro delle migliaia di organizzazioni europee della società civile.

Al tempo stesso, laddove fosse svolto in luoghi come l’ex-Jugoslavia, il Medio Oriente o l’Africa, il Servizio civile europeo testimonierebbe in modo inequivocabile la volontà dell’Europa di nascere come «forza gentile» [1], per usare una felice espressione di Tommaso Padoa Schioppa. Il rapporto di Barcellona [2], commissionato da Javier Solana per studiare le possibilità di attuazione degli obiettivi delineati nella European Security Strategy, mette bene in luce l’importanza di creare in Europa una nuova dottrina di sicurezza, basata sulla protezione degli individui, in tutto il mondo, e sulla progressiva integrazione di funzioni militari e civili. Questo è, del resto, lo scopo ultimo della creazione di quel Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, costituito da giovani volontari, previsto dall’art. 321.5 del progetto di Costituzione.

L’esempio dell’Europa contribuirebbe così ad affermare nel mondo un modello sociale e culturale alternativo a quello predominante. Al dilagare dell’individualismo si contrapporrebbe un rinnovato senso della comunità, al rafforzamento degli eserciti si contrapporrebbe la realizzazione di un vero e proprio «corpo di pace». In tempi come i nostri, nei quali la distanza tra cittadini e istituzioni, sia nazionali che europee, non è mai stata tanto grande, l’introduzione di un siffatto servizio civile contribuirebbe a ricreare il circuito della partecipazione alla vita pubblica, formando la base di un nuovo contratto sociale, che restituirebbe alle istituzioni la necessaria legittimità.

Non bisogna infine dimenticare il beneficio che ne deriverebbe per i giovani europei. Essi potrebbero usufruire di un’esperienza di vita all’estero, dove apprenderebbero una lingua, e quella cultura della mobilità così richiesta dall’odierno mercato del lavoro. Nel giro di pochi anni le barriere del pregiudizio nazionale sarebbero superate e sostituite da una coscienza civile sovrannazionale, che darebbe sostanza effettiva a quelle tre parole, «Unita nella diversità», opportunamente scelte come motto della nuova Europa.

Fonte immagine: Flickr

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Note

[1Tommaso Padoa Schioppa, Europa, forza gentile, Il Mulino, Bologna, 2001

[2Mary Kaldor (ed.), A Human Security Doctrine for Europe, The Barcelona Report of the Study Group on Europe’s Security Capabilities, London, 2004

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