Abituarsi alla fine: la disumanità delle politiche migratorie

, di Diletta Alese

Abituarsi alla fine: la disumanità delle politiche migratorie
Matthias Süßen, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Il decreto ONG del Governo Meloni, presentato a metà gennaio e aspramente criticato dal Consiglio d’Europa per non conformità agli obblighi del Paese in materia di diritti umani, è solo l’ultima istituzionalizzazione della logica esternalizzante italiana e non solo sul tema migratorio. Una politica estera europea e una riforma del Regolamento di Dublino restano soluzioni che - in favore di un bieco nazionalismo - non vengono prese in considerazione.

Criminalizzazione, esternalizzazione e securitizzazione sono ormai le risposte strutturali della politica, su tutti i livelli, al fenomeno migratorio. L’ultimo decreto del governo Meloni continua una tradizione che non conosce destra e sinistra. Da trent’anni l’Italia insegna la peggiore delle lezioni: dall’istituzionalizzazione della parola “clandestino” fino ai decreti sicurezza dell’ex Ministro Minniti corredati dagli accordi con la Libia, poi rinnovati di anno in anno da Governi di ogni colore. Un continuum che oscilla tra la criminalizzazione delle persone, rendendole a tutti gli effetti illegali, e la securitizzazione del fenomeno migratorio, per cui ad una domanda umanitaria e sociale si risponde in termini di sicurezza civile. A completamento di un quadro già problematico, si aggiunge la scelta di esternalizzare i confini allontanandoli dal nostro sguardo. Poco importa se il prezzo da pagare ricade tutto sulla pelle delle persone torturate nelle prigioni libiche o respinte nei campi turchi o balcanici. La disumanizzazione, la trasformazione delle persone in “carichi residuali” di cui è legittimo non curarsi, è la conseguenza trasversale e inevitabile di questi processi. Il problema che dobbiamo porci è di riuscire ad allontanare il nostro tempo dalle contraddizioni del Novecento, ma la strada è ancora lunga.

Il Governo Meloni nell’ultimo “decreto ONG” si scaglia contro le organizzazioni internazionali che operano i salvataggi nel mar Mediterraneo. Un Governo nazionale, da una parte, e le ONG, dall’altra, che agiscono oltre e tra i confini. Un chiaro posizionamento del Governo che fa della frontiera nazionale un suo baluardo prioritario rispetto alla tutela dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Poco importa se solo l’11% delle persone tratte in salvo arriva in Italia grazie alle navi umanitarie mentre gli altri e le altre migranti giungono con mezzi propri, soccorsi da navi mercantili, o con i salvataggi della Marina militare e della Guardia Costiera. Ma se la percentuale fosse più alta, la sostanza e la gravità dell’approccio non cambierebbe. La retorica del decreto si scaglierebbe comunque contro le ONG come attori non trasparenti o fautori di meccanismi oscuri, in continuità con la narrazione dei cosiddetti “scafisti del mare” smentita da qualsiasi analisi eppure così presente nel dibattito pubblico.

La commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, ha chiesto al Governo di «ritirare il decreto legge sulle Ong, o adottare le modifiche necessarie per assicurare la piena conformità del testo agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e diritto internazionale». L’Italia, di tutta risposta, afferma che le preoccupazioni sono infondate e che non farà alcun passo indietro. Palla al centro nello spettacolo tetro dei diritti umani condivisi solo sulla carta.

Poco prima della votazione del decreto, il Paese era stato protagonista di uno scontro non troppo velato con la Francia per aver rifiutato di accogliere la nave Ocean Viking, per poi concludere il tafferuglio con una telefonata amichevole tra Meloni e Macron in cui ci si accordava su un maggiore controllo congiunto delle frontiere esterne. Tutto e niente: il solito siparietto, piccolo e miope in termini politici, degli Stati che puntano il dito gli uni contro gli altri, senza aver mai sostenuto o concesso una vera politica europea per l’asilo e le migrazioni. Il caso più eclatante è quello del 2017, quando il Consiglio europeo smise da un giorno all’altro di discutere la riforma del Regolamento di Dublino. Un punto non più pervenuto all’ordine del giorno dei Capi di Stato e di Governo mentre si ingrossavano le voci della retorica anti-migrazione. Un capro espiatorio perfetto, una merce di scambio elettorale, un tema che fa gola per creare una fittizia guerra tra poveri e gonfiare il consenso su un grande imbroglio.

Tra gli elementi più problematici del decreto troviamo l’obbligo di raggiungere senza ritardi il porto assegnato dalle autorità italiane. Ma cosa accade se la nave in questione riceve un’altra richiesta di aiuto? E come è possibile rispettare il numero massimo consentito di persone da soccorrere se i naufraghi e le naufraghe non corrispondono alle caratteristiche di idoneità tecnico-nautiche? Aspetti del tutto paradossali, che rivelano l’impianto strumentale del testo di legge.

L’accanimento è ai limiti del sadico. I porti vengono assegnati arbitrariamente con il pretesto di alleggerire gli scali meridionali. Ma da sempre le persone salvate, una volta fatta domanda, vengono comunque redistribuite in altre regioni! Questo meccanismo comporta ore e ore di ulteriore navigazione, anche con condizioni meteo avverse, amplificando tra le altre cose il trauma e il terrore del viaggio in mare, infierendo sulle condizioni fisiche e psicologiche di chi ha affrontato il Mediterraneo. Quel mare che rimane sempre il confine più mortale al mondo se attraversato tentando di migrare. L’allontanamento delle navi riduce di fatto il loro margine di azione, le distanzia da un cimitero sempre più silenzioso.

C’è poi il tema delle multe. Con le nuove norme le sanzioni sono irrogate dai Prefetti, quindi tramite loro direttamente dal governo, evitando il ricorso alla magistratura e procedendo con tempi molto più rapidi. Un ulteriore modo di criminalizzare la solidarietà. Al comandante della nave che non rispetti le prescrizioni del decreto sono applicate sanzioni amministrative da 10 a 50 mila euro. Ne rispondono anche l’armatore e il proprietario. Alla multa si aggiunge il fermo per due mesi mentre la confisca del mezzo scatta in caso di “recidiva”.

È soffocante parlare ancora e ancora di migrazioni in questi termini. Da anni avremmo dovuto prevedere una nuova azione di salvataggio continentale sul modello di Mare Nostrum; smantellare l’impianto esternalizzante in favore di una politica estera europea mirata alla salvaguardia dei diritti umani e alla stabilizzazione delle aree di vicinato; riformare il regolamento di Dublino con la sua stupida regola del primo Paese di arrivo e rivedere l’impianto della politica di immigrazione europea anche per chi arriva in Europa per scappare dalla povertà (che in un modo o nell’altro uccide al pari delle guerre). Ma anche per dare l’opportunità di ritrovare un posto nel mondo, quel posto da cui tante e tanti cittadini sono privati strutturalmente. Dovremmo aver capito da tempo che il continuum rifugiato-migrante andrebbe riaggiornato in un mondo che continua a cambiare mentre la politica rimane ferma ai vecchi schemi, alle vecchie risposte e alle aberrazioni di un nazionalismo che avremmo voluto aver superato da tanto e che invece ancora definisce le nostre società in modo così violento.

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