Al di fuori dell’area Schengen

, di Mirko Giuggiolini

Al di fuori dell'area Schengen
Da Wikimedia Commons, di Idobi

Se la gioventù contemporanea europea non ha più la percezione di cosa sia una frontiera, il merito si deve alla convenzione di Schengen, istituita e migliorata nel corso degli anni ’90 per permettere libera circolazione all’interno di un dato spazio europeo. In altre zone del mondo, al di là di questo spazio, l’area Schengen, le frontiere esistono ancora e continuano a opprimere chi ci si trova a scontrarsi.

Nel 1995 entrò in vigore lo spazio europeo di circolazione senza frontiere a noi noto come «area Schengen», espressione che trova la sua origine nel nome della cittadina lussemburghese in cui furono siglati gli omonimi e relativi accordi. Con i suoi successivi miglioramenti, in particolare quelli avvenuti nel 1999 (anno in cui l’acquis di Schengen venne integrato nel diritto eurounitario e in cui le competenze UE in materia di giustizia e affari interni vennero estese con riguardo anche alle frontiere esterne), questa assunse la forma a noi oggi nota.

Contemporaneamente, con il collasso del sistema a blocchi e la caduta del muro di Berlino prima e dell’URSS tutta poi, il disegno di un mondo libero e sottratto all’orrore e alla brutalità dei confini e di tutto ciò che inevitabilmente deriva da questi - dall’intolleranza per il diverso e l’estraneo alle guerre, dal protezionismo economico al nazionalismo - cessò di essere uno slogan e iniziò ad assumere una dimensione e una forma più vicine alla materialità.

Le persone presero dunque l’abitudine di muoversi da uno Stato Schengen a un altro con maggiore frequenza, con più flessibilità e per motivi anche convenzionalmente ritenuti più futili rispetto a quelli per cui si era solitз intraprendere un viaggio internazionale. La dimensione strettamente fisica - in termini concettuali il discorso assume sfumature diverse - del confine nazionale cadde del tutto e spostarsi da uno Stato ad un altro diventò come spostarsi da una regione (o simili) a un’altra. Le trasferte potevano essere organizzate e predisposte anche con poche ore di anticipo e il fenomeno del lavoro transfrontaliero - per cui si lavora in un Paese diverso da quello in cui si vive, e dove ci si reca ogni giorno attraverso mezzi di trasporto pubblici o privati per poi, al termine della giornata lavorativa, ritornare a casa - crebbe in maniera notevole. In particolare in Lussemburgo, ma non solo.

Nelle generazioni già adulte al momento dell’istituzione dell’area Schengen si accese un bagliore di luce e un lume di speranza per il futuro. Seppur destassero alcune preoccupazioni la competizione sul mercato del lavoro per quanto riguarda il lavoro transfrontaliero. l’immigrazione illegale e la sicurezza interna, chi come in Germania era statǝ costretto da un muro ad essere separatǝ dai propri parenti solo fino a pochi anni prima, o chi come nei vari regimi totalitari del nostro continente aveva vissuto tutta la sua vita fino ad allora con l’impossibilità di muoversi liberamente perfino nella propria nazione, si approcciava all’Europa senza più confini con un forte spirito di entusiasmo.

Tranne per alcune eccezioni, dunque, lз giovani e lз adultз del tempo erano pervasз da un forte spirito di ottimismo e globalismo. Le generazioni successive agli accordi Schengen, ossia la gioventù contemporanea, per la gran parte non hanno ricevuto in eredità dai loro genitori la sensazione di meraviglia appena descritta derivante dal vivere in un mondo libero e senza frontiere. Sono cadute in uno stato di assuefazione, dove o non si è a conoscenza del miraggio fatto realtà rappresentato dall’area Schengen - nel senso che non si è consapevoli dell’esistenza della libertà di circolazione tra Paesi Schengen, per cui si ignora totalmente ciò che (non) accade quando si oltrepassa il confine geografico - o non ci si interroga sul perché non ci siano frontiere, oppure si viaggia con frequenza incessante e sfruttando coscientemente e al meglio tutti i vantaggi della libertà di circolazione, senza tuttavia mai andare al di fuori dell’Area Schengen, senza entrare mai in contatto diretto con una frontiera, se non in pochissime occasioni.

Ecco, lo stato di assuefazione della gioventù contemporanea provoca proprio questo: la mancanza in noi di una percezione concreta di cosa rappresenta una frontiera.

Un passo indietro. Nel momento in cui si oltrepassa un confine nazionale all’interno dell’Area Schengen - dove dunque la separazione dei territori assume una dimensione meramente ed esclusivamente concettuale e ideologico-culturale - non si viene sottoposti a controlli frontalieri di alcun tipo.

Se il viaggio è svolto attraverso un volo aereo di una compagnia di linea, si verrà sottoposti a un controllo che potremmo definire di tipo aeroportuale - effettuato nell’istante in cui si entra in aeroporto e consistente nel solo accertamento della conformità alla regolamentazione sulla sicurezza aeroportuale e aerea degli oggetti portati con sé - e, successivamente, a un controllo all’imbarco che trova la sua realizzazione pratica nel semplice controllo della validità del biglietto aereo che si ha con sé e della corrispondenza della persona intestataria del titolo di viaggio con quella che si è effettivamente presentata al gate. È solo ed esclusivamente per tale fine che quando si viaggia in aereo permanendo all’interno dell’area Schengen (come anche, in forma più ristretta, nei limiti del proprio territorio nazionale) viene richiesto di esibire un proprio documento d’identità (fatti salvi alcuni casi eccezionali in cui le forze dell’ordine potrebbero attuare controlli a campione).

Questo concetto, apparentemente di un grado di semplicità elevato, rappresenta un punto cruciale dell’analisi che si vuole proporre in questo scritto; quando si viaggia in aereo recandosi al di fuori dell’area Schengen, oltre alle due tipologie di controllo già descritte, si è obbligatз a sottoporsi anche al controllo frontaliero sia all’aeroporto di partenza che a quello di arrivo. Ciò consiste nel recarsi ai varchi della polizia di frontiera - in alcuni aeroporti presenti anche in forma automatizzata grazie ai nuovi passaporti (o equivalenti) dotati di chip elettronico - e, esibendo la documentazione richiesta (dal documento d’identità al passaporto corredato con l’eventuale visto) per l’uscita dal Paese di provenienza (nei controlli in uscita) o l’ingresso in quello di arrivo (nei controlli in entrata), domandare allǝ funzionariǝ di polizia (o al sistema nel caso dei varchi automatizzati) l’autorizzazione per svolgere lo spostamento che si ha intenzione di compiere.

Il controllo frontaliero avviene ogni volta che si esce o si entra dall’area Schengen per le vie legali, sia per aria, come appena descritto, che per terra o per mare. Nella maggior parte dei casi il ruolo dellǝ funzionariǝ di polizia nel controllo consiste solamente nell’accertamento del possesso, da parte di chi si presenta di fronte al varco, dei documenti necessari all’uscita o all’ingresso nel Paese, della loro validità e della corrispondenza fra la persona che si sta sottoponendo ai controlli e che dunque reclama i documenti e colei a cui effettivamente questi documenti sono intestati. Nei Paesi dell’Unione europea al di fuori dell’Area Schengen (Bulgaria, Cipro, Irlanda, Romania) e nella maggior parte (ma non in tutti) degli Stati democratici occidentali i casi in cui si possono riscontrare problemi ai controlli di frontiera sono pochi e rari; può accadere che non si sia in possesso del visto e che dunque si venga respinti (anche se molto spesso è concessa la possibilità di fare il visto direttamente ai varchi della polizia di frontiera dopo l’arrivo, sono pochi i Paesi che non prevedono alternative al reperimento del visto per tramite di ambasciate e consolati e dunque prima dell’arrivo di fronte alla frontiera), che il passaporto o la carta d’identità che si sta utilizzando per il viaggio sia scaduto o non abbia sufficiente validità residua, o ancora che il viaggio di unǝ eventuale minore non accompagnatǝ vada in contrasto con la regolamentazione prevista per tale materia da parte dello Stato d’uscita o di quello d’entrata. Tutte eventualità, a ogni modo, generalmente compatibili con la tutela dei diritti individuali e che possono essere prevenute con le adeguate accortezze.

Ciò che è caratteristico della frontiera, che nella maggior parte dei Paesi occidentali si avverte in forma minore e che la gioventù attuale - riprendendo l’incipit - non percepisce per via dello stato di assuefazione in cui giace, è che essa rappresenta a tutti gli effetti un muro contro cui ci si può ritrovare a sbattere violentemente e facendosi male senza che ci sia alcuna ragione per ciò. Quando ci si presenta di fronte a una frontiera si sottopone l’esercizio della propria libertà di movimento al vaglio di un’autorità che non necessariamente agisce su basi democratiche o nel rispetto dei diritti umani, e che dunque può anche negare in modo totalmente arbitrario l’esercizio di tale libertà.

Al di là di ciò che riguarda il respingimento dellз migranti che non accedono al Paese attraverso le vie ritenute legali, in diversi Stati del mondo l’ingresso o l’uscita dal territorio nazionale vengono negate anche - e in particolare - di fronte alle frontiere legali. È il caso delle donne in Arabia Saudita, le quali, fino al 2019, per ottenere un passaporto e viaggiare all’estero necessitavano dell’autorizzazione del proprio tutore maschio (padre, marito o fratello). La donna che tentava di uscire dal Paese senza l’autorizzazione del tutore poteva essere bloccata alla frontiera in uscita o, prima ancora di arrivare a questo passaggio, poteva esserle negata direttamente l’emissione del passaporto. Inoltre, sempre fino al 2019, le donne saudite avevano l’obbligo di indossare l’abaya - un abito lungo e scuro tipico dei Paesi del Golfo persico che a tratti, pur essendo molto meno restrittivo, ricorda il burqa - anche all’estero oltre che all’interno del proprio territorio nazionale. A seguito di una riforma varata proprio nel 2019, l’obbligo dell’autorizzazione del tutore maschio per l’ottenimento del passaporto tanto quanto quello di indossare l’abaya anche all’estero decaddero, ma le donne saudite riscontrano ancora oggi, di fronte all’intenzione di intraprendere un viaggio all’estero fintanto che di emigrare, difficoltà e impedimenti burocratici maggiori rispetto agli uomini, in particolare a causa della forte pressione sociale e familiare che, per via di un’ancora assente effettività solida della riforma del 2019 e nonostante l’apparente (e discutibile) apertura del Governo saudita riguardo ai diritti civili, continua a persistere.

Anche lз palestinesi, a causa delle politiche restrittive applicate dallo Stato d’Israele con lo scopo - complesso, forse non opinabile a priori e che si inserisce in un quadro geopolitico ben più articolato e che dunque necessita di un’analisi altrettanto articolata - di garantire la sicurezza nazionale, riscontrano limitazioni alla propria libertà di circolazione: i controlli alle frontiere tra Israele e i territori palestinesi possono essere estremamente lunghi ed invasivi, come nel caso del checkpoint di Qalandiya, che separa la Cisgiordania occidentale, dove si trova anche Ramallah, da Gerusalemme Est, e che costituisce tappa obbligatoria per chiunque, dai territori palestinesi, debba andare a lavoro, all’università o a visitare i parenti a Gerusalemme. Qui la fila necessaria per ottenere il permesso per attraversare il valico può durare per diverse ore o, nei casi più estremi, anche per diversi giorni. Inoltre, lз palestinesi che hanno intenzione di recarsi all’estero devono necessariamente passare per il valico di Rafah fra la striscia di Gaza e l’Egitto, dal 2008 quasi sempre chiuso e dunque inaccessibile, o per l’aeroporto israeliano di Ben Gurion a Tel Aviv, dove possono essere sottopostз a discriminazioni e disparità di trattamento e a cui non è possibile accedere senza file estremamente lunghe e disagianti, ancora una volta per via dei valichi di frontiera fra la Palestina e Israele.

Continuando a esaminare la questione delle frontiere ma da un punto di vista più ampio, in molti Paesi del mondo individui con cittadinanza di determinati Stati, con un determinato orientamento sessuale o una determinata identità di genere, o con un determinato credo religioso possono incontrare discriminazioni e ostacoli nel tentativo di ingresso o uscita dal territorio nazionale e vedere la propria libertà di circolazione limitata solo per via delle proprie caratteristiche personali. Ciò riguarda in particolare, nel caso delle discriminazioni sulla base della cittadinanza, la concessione di visti lavorativi. Negli Stati Uniti - come anche in altri Paesi - lз cittadinз sirianз, venezuelanз e iranianз sono soggettз a restrizioni per quanto riguarda l’ottenimento di visti di studio o di lavoro, solo e sostanzialmente in ragione dell’attuale stato dei rapporti internazionali che intercorrono tra il Governo statunitense e quelli della Siria, dell’Iran e del Venezuela.

In aggiunta, oltre agli arbitri ai controlli come quelli elencati nelle righe antecedenti, il concetto stesso di frontiera, come quello più generale di confine, rafforza implicitamente e inevitabilmente l’odio per il diverso e il nazionalismo: il fatto che esistano dei divisori territoriali (fisici e semplici come una rete o elaborati fintanto che virtuali che siano) ci forza ad esaltare elementi di diversità che non dovremmo evidenziare in modo tale da usarli come criterio discriminatorio ma che dovremmo, di contro, avvertire nella nostra quotidianità con indifferenza e passività, come il risultato della comune propensione umana a differenziarsi e a divergere. Per di più, le frontiere e i confini rafforzano il concetto discutibile ed opinabile di nazione, la cui pressione annienta le individualità, omologa, reprime le specificità territoriali e alimenta aggressività e ostilità nel nome di un costrutto umano voluto da pochз potenti e - per riprendere Albertini - nella concretezza inesistente.

Ricongiungendosi con l’incipit, è quest’analisi complessiva, ovvero la tragicità rappresentata dalle frontiere ma, soprattutto, la loro persistenza al di fuori dell’area Schengen, che sfugge alla gioventù contemporanea. L’area Schengen ci impedisce di percepire le mostruosità nascenti da un artificio per sua natura bellicista, razzista e classista quale quello della frontiera, e in ciò ci rende indifferenti - forse non sempre da un punto di vista cognitivo, ma da un punto di vista emotivo-empatico (vista, appunto, l’assenza di frontiere nella nostra quotidianità) certamente sì - verso le condizioni inumane di coloro lз quali non stanno ancora sperimentando quel sogno chiamato Europa che noi stessз, in virtù dello stato di assuefazione in cui giaciamo e di cui finora si è parlato, svalutiamo.

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom