Alla ricerca del merito, che ha un Ministero ma non una definizione

, di Cesare Ceccato

Alla ricerca del merito, che ha un Ministero ma non una definizione
Quirinale.it, Attribution, via Wikimedia Commons

Le scorse elezioni politiche hanno regalato tante novità all’Italia. La più bassa affluenza nella storia repubblicana, il primo Presidente del Consiglio donna e una serie di Ministeri dal nome particolare che hanno destato parecchie domande. Il Ministero dell’istruzione e del merito è uno di questi. Di che merito si parla? Si possono trovare paragoni che lo spieghino in Italia e in UE? La ricerca di una definizione inizia con questo articolo.

“L’istruzione è il più formidabile strumento per aumentare la ricchezza della nazione, perché il capitale materiale non è niente se non c’è anche il capitale umano. Scuola e università sono una risorsa strategica fondamentale per l’Italia, per il suo futuro e per i suoi giovani. In un sistema scolastico appiattito al ribasso le lacune sono più facilmente recuperabili da chi vive in una famiglia agiata rispetto a chi è dotato di minori risorse, ecco perché serve un insegnamento che premi il merito.” È con queste parole che, nel discorso di insediamento a Presidente del Consiglio pronunciato alla Camera dei Deputati il 25 ottobre 2022, Giorgia Meloni ha difeso la scelta di dotare di un nuovo nome il Ministero guidato da Giuseppe Valditara. Quel Ministero che fu della pubblica istruzione, poi anche dell’università e della ricerca e nuovamente della pubblica istruzione, che oggi è chiamato dell’istruzione e del merito.

Giustificare il nome di un Ministero - specie quando non davanti ai giornalisti ma agli stessi rappresentanti del popolo - è qualcosa di fuori dal comune, ma il forte dibattito attivatosi attorno alla scelta del neo Presidente ha reso necessaria tale parentesi. Tutto risolto, quindi? Non proprio. Rileggendo le parole di Meloni, ci si trova in quella zona d’ombra tra la supercazzola, l’ovvio e il disturbante. Certo è che anni di soluzioni semplicistiche hanno creato una disuguaglianza tra le classi più e meno agiate della popolazione italiana già nel periodo della scuola dell’obbligo. Certo è che tutti devono partire dalle stesse basi e avere gli stessi strumenti per istruirsi. Meno certo è cosa significhi “sistema scolastico appiattito al ribasso” e praticamente impossibile da capire è dove si recupererebbe il merito in questo sistema. Servirebbe un esempio concreto per cogliere dove il Governo voglia andare a parare, e forse un assaggio ci è già stato dato con la radicale modifica a 18app.

Lo strumento, in vigore dal 2016, prevedeva un bonus di 500 euro spendibile da qualsiasi diciottenne italiano - senza distinzione alcuna - nell’arco di dodici mesi in libri, quotidiani, periodici, prodotti dell’editoria musicale o audiovisiva, concerti, cinema, teatri, musei, monumenti e occasioni di formazione. Dal prossimo anno, questo strumento non esisterà più. I fondi ad esso destinati verranno tagliati e ridistribuiti in due nuove misure: la Carta Cultura Giovani, praticamente un copia-incolla di 18app ma sfruttabile solo dai diciottenni le cui famiglie abbiano un Isee non superiore a 35.000 euro, e la Carta del Merito, un imprecisato bonus di 500 euro per chi consegua il diploma di istruzione secondaria superiore a pieni voti.

Riguardo la prima Carta, tale riforma stravolge il senso con cui 18app era nata, ossia assicurare a qualunque neomaggiorenne la possibilità di godere per un anno di arte e cultura, indicati come beni primari ai quali non si può concedere l’accesso gratuito per ragioni di mercato. Arte e cultura tornano a essere dei lussi, dunque, chi “già può permetterseli” viene estromesso dal bonus. Secondo quanto si può leggere dal Rapporto Isee del 2020, l’ultimo disponibile, a rimanere fuori sono i diciottenni di una famiglia su dieci. A conti fatti, gli effettivi abbienti. Non c’è un granché da segnalare insomma, se non quanto misero sia l’annunciato taglio di fondi e quanto paradossale sia che proprio la fanbase della flat tax, opposta a qualsiasi ripartizione delle tasse si avvicini alla patrimoniale, abbia preso questa decisione. Sulla seconda Carta, c’è qualcosa in più da dire. Il merito viene qui associato alla valutazione, come accade per le borse di studio, e non tiene in considerazione l’eterogeneità del sistema scolastico italiano, definita da diversi mezzi, strutture, percorsi storici e zone geografiche. Un collegamento limitato, che mal si sposa sia con il termine “meritevoli” fornito dall’articolo 34 della Costituzione, che segue un necessario preambolo dedicato all’uguaglianza, principio fondamentale, e la cui applicazione è sempre avvenuta in queste vesti, sia con la definizione di “merito” fornita dal vocabolario Treccani, cioé “il diritto che, con le proprie opere o le proprie qualità, si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa”.

Oltre alla questione dell’eterogeneità del sistema, ci sono ulteriori motivi per cui sarebbe drammatico qualora il Governo rispecchiasse le opere e qualità meritevoli unicamente nella valutazione scolastica. Un po’ per via di favoritismi e raccomandazioni, che, per quanto si usi spergiurare l’assenza, in piccola o in larga parte, per compassione, simpatie o per motivazioni ancor meno nobili, esistono. Un po’ per l’epoca che stiamo vivendo, quella che ha portato i giovani a realizzare di non dover per forza essere un numero, di non dover essere “just another brick in the wall”. Se il valore degli esiti fosse tanto premiato, verrebbe meno l’importanza delle attività extrascolastiche, dello sport, degli interessi, e soprattutto comporterebbe un passo indietro nella capacità di costruire una società sana. Con ciò non si intende affermare che l’apprendimento debba essere sottovalutato, anzi, è evidente come di tale società sia fondamenta, ma che creatività e altre capacità non vanno messe da parte in favore dello studio matto e disperatissimo. Il benessere mentale batte la pagella perfetta, e i testi scolastici sono pieni di esempi: poeti che non riuscirono a finire l’università, matematici che dovettero ripetere un anno di liceo, politici bisognosi di ore e ore di ripetizioni per evitare la bocciatura. Esempi, si può dire, profondamente meritevoli nel loro campo.

L’istituzionalizzazione del merito in Italia, tuttavia, non è detto si rifaccia al parametro adottato con la citata nuova Carta. Come accade spesso quando tra Alpi e Sicilia non si riescono a trovare spiegazioni ad alcune politiche, il posto migliore in cui cercare comparazioni è l’Unione europea. Per quanto - è giusto ricordarlo - l’istruzione rientri, ai sensi dell’articolo 6 TFUE, nelle competenze di sostegno, coordinamento o completamento dell’Unione europea, quelle per cui insomma l’ente sovranazionale svolge un ruolo estremamente residuale rispetto a quello degli Stati membri, almeno due volte l’anno si riunisce la formazione “istruzione, gioventù, cultura e sport” del Consiglio dell’Unione europea, l’Istituzione composta dai Ministri per materia dei ventisette Stati membri.

Ebbene, l’unicità del titolo del Ministero italiano qui non trova alcun paragone, neppure nei Ministeri dei Governi più ideologicamente affini a quello di Meloni. La Polonia di Moriawiecki vede nelle mani di Przemysław Czarnek il Ministero dell’istruzione e della scienza, la Repubblica Ceca di Fiala quello di istruzione, gioventù e sport affidato al popolare Vladimír Balaš, l’Ungheria non prevede un Ministero, ma un sottosegretariato, quello alla pubblica istruzione, assegnato a Zoltán Maruzsa. Il Governo svedese di Ulf Kristersson, la cui sopravvivenza è retta dal sostegno esterno del partito di ECR Sverigedemokraterna, vede il semplice Ministero dell’istruzione, con a capo il liberale Mats Persson. A proposito di Svezia, proprio a questa spetta la presidenza di turno del Consiglio nel primo semestre del 2023. In virtù di tale ruolo, ha predisposto le linee guida su ogni carattere di cui l’Istituzione si occupa, compresa l’istruzione. Nessuna sorpresa, l’istruzione non trova collegamenti al merito, piuttosto allo sviluppo di nuove competenze, in coerenza con l’Anno europeo delle competenze che è il 2023, specialmente riguardo la transizione verde e quella digitale.

Insomma, dichiarazioni approssimative, ipotesi non accertate e impossibilità di paragoni rendono a oggi a dir poco misterioso il significato del merito che accompagna il Ministero dell’istruzione italiano. Quando si arriva a un tale punto morto, in politica, sorge sempre spontaneo porsi la domanda: che si sia voluta fare solo della demagogia?

Il tempo lo dirà. E forse, per una volta, considerando che le valutazioni che è stato possibile fare sinora non suonano ottimamente per il futuro, la speranza è quella.

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