Storiella cinese, per iniziare. Un contadino corre a casa disperato: «Padre, è scappata la cavalla! Come faremo ora?» Il vecchio si limita ad osservare. «Chi ti dice che sia una disgrazia?» Pochi giorni dopo la giumenta torna seguita da alcuni stalloni ed il giovane si affretta a complimentarsi col padre per la sua saggezza. Ma questi, imperturbabile: «Chi ti dice che sia una fortuna?» Quel giorno stesso, mentre tenta di domare uno di quei focosi destrieri, il ragazzo viene sbalzato di sella e si rompe una gamba. Con la testa bassa ammette: «Avevi ragione, padre: ora abbiamo i cavalli, ma più nessuno che li guida.» Di nuovo il vecchio: «E chi ti dice che sia una rovina?» Scoppiata la guerra, lo sciancato è esonerato dal servizio militare e può starsene a casa col vecchio padre. In attesa dei prossimi eventi, lieti o tristi. Così la vita, così la storia, in cui s’intrecciano fattori ancor più numerosi ed imponderabili. Eterogenesi dei fini, la chiamano i filosofi.
Ad essa pensava sicuramente Jean Monnet quando affermò: «L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate alle crisi». A ben guardare, gli incidenti di percorso di cui è stato costellato il processo di unificazione europea sono, in effetti, divenuti non di rado occasioni per un rilancio dell’integrazione. Nulla giustifica però un rigido determinismo a senso unico, come del resto lascia intendere l’apologo cinese. In particolare, se si esaminano le conseguenze del cataclisma economico-finanziario che nell’ultimo decennio ha investito prima gli Stati Uniti e poi, con effetti ancora più gravi, l’Europa, si deve amaramente concludere che esso non ha certo prodotto una ripresa del cammino europeo. Si può anzi sostenere che vi è stato un rafforzamento delle procedure e delle istituzioni intergovernative a scapito di quelle più genuinamente sovranazionali.
Se poi si guarda alle crescenti divisioni tra gli Stati ed alla nascita ed all’affermazione di partiti nazionalisti e populisti, il panorama diventa ancora più desolante. La partita è irrimediabilmente persa? No. Anceps proelium la definiva fin dall’inizio Altiero Spinelli. Anceps proelium E incerta battaglia resta anche oggi. Proviamo allora a cogliere qualche effetto positivo di vicende recenti. La telenovela dell’uscita del Regno Unito dall’UE non è ancora giunta alle ultime puntate, ma offre già degli spunti di riflessione. I brexiters, oltre ad aver infestato la campagna referendaria con le più inverosimili fandonie, hanno sbagliato tutte le previsioni sulla futura trattativa. Pensavano che sarebbero riusciti a rompere il fronte degli altri 27 Paesi e ad ottenere così le migliori concessioni. Si è verificato l’esatto contrario: l’UE ha fatto fronte comune e si sono spaccati invece i partiti e la stessa società britannica, tanto che la Camera dei Comuni ha respinto per ben tre volte l’accordo negoziato dal governo di Sua Maestà, senza essere in grado di approvare un piano alternativo. Per i federalisti, organizzatori di tante manifestazioni a favore dell’unità europea, non può che risultare poi una gradita sorpresa vedere svolgersi proprio a Londra le più imponenti manifestazioni europeiste della storia, accompagnate dalla raccolta di molti milioni di firme in calce ad una petizione per la permanenza nell’Unione. Senza dire, infine, che le contorsioni del Regno Unito hanno provocato anche al di qua della Manica atteggiamenti più cauti da parte dei corifei del nazionalismo. Dopo Brexit si era parlato di Italexit, Frexit, ecc. Neologismi messi per intanto nel cassetto, tra le felpe con la scritta “No euro” che in Italia campeggiavano nella campagna elettorale di appena un anno fa. Marine Le Pen è andata oltre, escludendo l’uscita della Francia dall’Unione monetaria in caso di vittoria dei suoi. Ciò non toglie che nella gestione della crisi del debito sovrano siano stati compiuti degli errori, dei gravi errori. Soprattutto nei confronti della Grecia, come ammesso anche da Juncker. Detto questo, bisogna riconoscere che le misure draconiane, spesso eccessive, sicuramente impopolari, allora imposte, stanno producendo dei risultati per molti aspetti insperati. Per citare i casi più eclatanti, il Portogallo già da molti mesi si finanzia sui mercati ad un tasso inferiore a quello italiano e la Grecia è addirittura in grado di restituire anticipatamente i prestiti ricevuti dal FMI. Senza nascondere nulla dei difetti congeniti ad una gestione intergovernativa di tali vicende, anche per i federalisti è venuto il tempo di dire che in ogni caso l’uscita dall’Eurozona avrebbe avuto per tali Paesi effetti ben più pesanti e di lunga durata.
È un dato di fatto ormai acclarato che tutte le principali potenze – segnatamente Russia, USA e Cina – puntano sulla disintegrazione dell’Europa per spartirsene le spoglie. L’armamentario è ben noto: finanziamenti a forze euroscettiche, interventi nelle campagne elettorali per influenzarne l’esito, accordi separati con i singoli Paesi, spesso accompagnati da minacce o blandizie. Naturalmente il fatto più clamoroso è il voltafaccia dell’Amministrazione Trump, con la messa in discussione della stessa Alleanza atlantica, su cui gran parte dei Paesi europei ha confidato e continua a confidare per la propria sicurezza. Difficile non vedere un nesso tra questo contesto internazionale e la riapertura del cantiere sulla difesa europea, chiuso dai tempi della CED, e con l’avvio della Cooperazione strutturata permanente. Segnali ancora nettamente insufficienti in un mondo sempre più dominato dall’anarchia e dalle prove muscolari, ma prime prove della consapevolezza che la partita della difesa e della politica estera si gioca a livello europeo.
Questi elementi e molti altri stanno influenzando la campagna elettorale, che già si rivela più europea e transnazionale rispetto alle precedenti. Non a caso perfino in questa Italia con un governo ed una maggioranza dalla forte caratterizzazione euroscettica sorgono e si affermano reazioni, iniziative, movimenti che riprendono le tesi dei federalisti. Tra i più significativi e recenti vi è sicuramente l’appello lanciato congiuntamente dai sindacati confederali e da Confindustria.
I nostri militanti possono essere finanche frastornati dai tanti inviti che giungono in questo periodo e che chiedono il nostro coinvolgimento. Questi riconoscimenti sono il frutto del lavoro capillare e spesso nascosto compiuto dalle sezioni nella nostra ormai non breve storia. Sarebbe però imperdonabile se dimenticassimo la condizione che ha permesso al Movimento di sopravvivere anche nei momenti più duri per trovarci pronti ad affrontare nuove sfide dopo più o meno lunghe traversate del deserto: la nostra autonomia. Senza autonomia politica, organizzativa, finanziaria tutto si riduce a quella che Georg Simmel definiva “sterile agitazione” e che Max Weber così descriveva: «Infatti la semplice passione, per quanto autenticamente vissuta, non è ancora sufficiente. Essa non crea l’uomo politico se, in quanto servizio per una causa, non fa anche della responsabilità nei confronti per l’appunto di questa causa la stella polare decisiva dell’agire.»
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