La Bosnia-Erzegovina è uno dei sette Stati in cui si è divisa la ex-Jugoslavia dopo la caduta del comunismo e dopo le tre guerre che hanno insanguinato la regione tra il 1991 e il 1999 (Guerra tra Croazia e Serbia in Vojvodina, la guerra di Bosnia con l’assedio di Sarajevo, la guerra del Kosovo con l’intervento NATO).
Il 2 ottobre si sono svolte le elezioni parlamentari e presidenziali in Bosnia-Erzegovina. Giornali, blog e televisioni non ne hanno parlato, forse perché non è cambiato molto negli equilibri politici locali, non ci sono state sorprese, e quindi non rappresentavano una “notizia”. Penso invece che possano essere l’occasione per riflettere sulla situazione nei Balcani occidentali, a cominciare dalla conoscenza del sistema istituzionale e della conseguente complicatissima legge elettorale.
La Bosnia-Erzegovina è una federazione composta da due entità statali: una Repubblica Serba (Republika Srpska ) (in rosso sulla cartina) e una “Federazione di Bosnia e Erzegovina” (Federacija BiH) in azzurro. Tali entità istituzionali sono disegnate dagli accordi di Dayton del 1995 su base etnico-religiosa.
La Repubblica Serba è abitata prevalentemente da Serbi di religione cristiana ortodossa, la Federazione BiH è abitata sia da Croati di religione cristiana cattolica, sia dai cosiddetti “bosgnacchi” di religione musulmana.
Le due entità statali hanno larga autonomia e sistemi istituzionali ed elettorali differenti. Il 2 ottobre si è votato sia per presidenza e Parlamento dell’intera Federazione, sia per i Parlamenti delle due entità, sia, nella sola Repubblica serba, per il Presidente della parte serba.
La divisione amministrativa stabilita a Dayton non coincide con la varietà e la complessità della distribuzione della popolazione. La Presidenza della Federazione è collegiale composta da tre Presidenti: uno per la componente Croata, uno Bosgnacco ed uno Serbo. Ognuno dei tre Presidenti ha potere di veto sulle decisioni che potrebbero rappresentare una discriminazione etnica. Ogni componente etnico-religiosa presenta alle elezioni i suoi candidati alla presidenza e ogni elettore sceglie di prendere una sola delle tre schede dichiarando così in pratica la propria appartenenza ad una delle etnie. Il sistema parlamentare è bicamerale con un Parlamento eletto e con una Camera dei popoli eletta in secondo grado dalle assemblee dei due Stati.
A ottobre si è eletta l’Assemblea parlamentare della Federazione; vi era un’unica scheda per eleggerne i 42 membri, nella quale erano presenti ben 33 liste, delle quali 14 hanno ottenuto almeno un seggio. Tutti i partiti che hanno ottenuto seggi li hanno ottenuti o nella Repubblica serba o nella Federazione BiH, non esistono quindi partiti “federali” forti presenti in tutte le regioni, ma solo partiti che rappresentano un’entità etnico-religiosa.
Il partito più rappresentato in parlamento è il Partito di Azione Democratica (sigla SDA) che rappresenta i musulmani bosgnacchi, aderente in Europa al PPE, che ha ottenuto 9 seggi su 42. Il secondo partito è l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (sigla SNSD) che rappresenta i serbi con 6 deputati. L’SNSD è euroscettico, filorusso e propugna l’indipendenza della parte serba. Il terzo è il Partito Socialdemocratico di BiH con 5 seggi, aderente al PSE e in cui sono confluiti gli ex-comunisti. Il quarto partito è l’Unione Democratica (sigla HDZ) con 4 seggi, aderisce anch’esso al PPE, è nazionalista croato. Il quinto partito, Fronte Democratico (DF) con 3 seggi è socialdemocratico, croato, e propugna il superamento delle divisioni istituzionali su base etnica. Gli altri 15 seggi sono divisi fra 10 formazioni minori, sia serbe che croate, quasi tutte con forte ideologia etno-nazionalista, filo-europee e non filo-russe.
Le elezioni dei tre Presidenti della Federazione hanno visto il prevalere fra i bosgnacchi del candidato dello SDA, per i croati del candidato socialdemocratico del Fronte Democratico (DF) votato anche da parte di musulmani, e per i serbi della candidata del SNSD. Sempre a suffragio universale diretto sono stati eletti i 98 membri del Parlamento della Federazione BiH e gli 83 membri del Parlamento della Repubblica serba. Inoltre all’interno della Federazione BiH, divisa in 10 cantoni dagli accordi di Dayton, sono stati eletti i 10 parlamenti cantonali. Mentre nella Federazione BiH il Presidente sarà eletto con elezioni di secondo grado, nella Repubblica serba si sono svolte le elezioni presidenziali, che hanno visto prevalere, anche se di stretta misura, Milorad Dodik, leader del SNSD indipendentista sulla candidata moderata del Partito Democratico Serbo (SDS).
Appena insediati i tre Presidenti si procederà a nominare la “Camera dei popoli” della Federazione attraverso l’elezione di secondo grado da parte delle assemblee delle due entità.
Da mesi sia il Presidente della Repubblica serba Milorad Dodik, sia la Presidente di parte serba della Federazione, Zeljka Cvijanovic, dichiarano che sono decisi a ottenere per la Repubblica serba un esercito proprio, una magistratura propria e un fisco propri: in pratica la totale indipendenza, cosa che evidentemente è inaccettabile da parte degli altri due Presidenti che, ripeto, hanno diritto di veto. Dodik ha il pieno sostegno della Serbia e della Russia, che in questa fase della guerra ucraina ha tutto l’interesse a creare divisioni nel campo occidentale a costo di allargare il conflitto.
Gli accordi di Dayton hanno garantito una tregua per 25 anni anche per la presenza in Bosnia del contingente EUFOR-Althea, composto oggi da 1.100 uomini, la cui missione è stata prorogata fino a novembre 2023. Oggi la tregua sembra fragile e sappiamo che non basta la presenza di un contingente militare internazionale per garantire la tregua (Srebrenica insegna). Il maggior rischio che si profila nella Bosnia è il vuoto di potere nell’area. Finita la tutela NATO, in mancanza di una forte presenza europea, le tendenze separatiste stanno riemergendo; abbiamo già detto delle intenzioni indipendentiste della attuale classe dirigente della Repubblica serba di Bosnia, ma ricordiamoci che, anche se minoritarie, ci sono analoghe spinte separatiste da parte dei partiti croati bosniaci.
Cosa accadrà se i serbi di Bosnia autoproclameranno la loro indipendenza, cui inevitabilmente seguirebbe la annessione alla Serbia? Cosa farà l’esercito bosniaco che è composto da unità miste delle tre etnie? Come reagirà la Croazia nel caso di conflitti in cui fossero coinvolti bosniaci di etnia croata? Come reagiranno i bosgnacchi musulmani che vedrebbero i numerosi cittadini musulmani presenti nei territori serbi potenzialmente a rischio discriminazione? Sono tutte domande inquietanti e senza una risposta. Le ferite e i rancori delle guerre del 1991-95 sono ancora aperte.
Da tempo gli USA si sono ritirati da un impegno diretto nei Balcani e hanno lasciato alla UE la gestioni degli impegni ONU successivi agli accordi di Dayton. Spetta quindi all’Europa prendere una iniziativa di stabilizzazione nei Balcani occidentali e la UE, priva di politica estera e priva di un esercito, ha un solo strumento di intervento: la politica di allargamento.
L’adesione alla UE degli Stati dei Balcani occidentali, con la prospettiva di pace e sviluppo che l’adesione alla UE rappresenterebbe, è lo strumento che ha l’Europa per pacificare definitivamente l’area e per affermare il suo ruolo di “leader pacifico”.
La Commissione europea e l’Alto rappresentante Borrell sono convinti che questa sia la strada da percorrere e recentemente con l’avvio dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord lo hanno dimostrato. Ma la Commissione non ha il potere di guidare la politica estera dell’Unione senza il consenso unanime dei paesi membri. Tale consenso oggi non c’è, molti Stati europei ostacolano l’allargamento perché temono le reazioni dell’elettorato che è spaventato dal possibile aumento dell’immigrazione nei loro paesi ed è preoccupato di perdere fondi regionali e strutturali europei a favore di quelle regioni relativamente povere. Devo anche constatare che fra i contrari all’allargamento ai Balcani non ci sono solo le forze nazionaliste e razziste, ma purtroppo anche molti federalisti, che continuano a ripetere lo slogan “prima rafforziamo l’Europa e dopo allarghiamo”, slogan che ci ha fatto perdere almeno 10 anni e rafforzato le tendenze nazionaliste e filorusse da sempre presenti nei Balcani.
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