In questa fase, in cui i vari nazionalismi europei e i loro alleati internazionali continuano a minacciare le fondamenta istituzionali e valoriali dell’Unione, il Parlamento e la Commissione europea diventano attori centrali per poter finalmente dare corpo ad un fronte politico in grado di controbilanciare le tendenze intergovernative degli Stati.
L’Europa è una “aspiration”, afferma nell’introduzione alle sue political guidelines la nuova Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen. Nella traduzione italiana “aspiration”, presente in inglese e francese, diventa un “sogno inestimabile”; in tedesco ci si accontenta di una molto più pragmatica “Versprechen”, una lettera di intenti. Per Juncker, nel 2014, si doveva “rafforzare la legittimità democratica facendo leva sul metodo comunitario”, la Von der Leyen parla oggi di un’Europa proiettata al futuro, in quanto incompleta, affermando di fatto, anche a livello istituzionale, il profondo cambio di paradigma, anticipato dalle opinioni pubbliche europee e confermato dalle elezioni del maggio scorso. L’Unione Europea riconosce allora, ad ogni livello, la sua crisi strutturale e prova a rilanciarsi come simbolo di cambiamento.
Il punto su cui ruota tutto il programma è il rilancio del ruolo dell’Europa nel mondo, non tanto e non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto in quanto modello culturale. I passaggi centrali, come la lotta ai cambiamenti climatici, l’implementazione del pilastro sociale, la difesa dello stato di diritto e, naturalmente, la difesa del multilateralismo, sono dunque considerati le fondamenta identificative che caratterizzano l’Europa rispetto agli altri attori internazionali; sono l’applicazione politica di quegli “antichi valori” su cui fondarsi nell’affrontare “le grandi sfide del nostro tempo”.
L’obbiettivo che la nuova Commissione si pone consiste dunque nel fare un passo avanti, superando il pressapochista “serve un’Europa diversa”, per affermare anche in che modo debba manifestarsi tale discontinuità, quale Europa si immagini nel futuro.
Nel programma, la Presidente, fa promesse chiare e non solo a lunga scadenza. Sono infatti definiti alcuni provvedimenti da avviare già nei primi cento giorni di legislatura, a partire dal Green New Deal, a cui si accodano la proposta di un salario minimo europeo, quella relativa alla trasparenza retributiva tra uomini e donne, e l’istituzione di un gruppo di lavori per definire un approccio europeo per le implicazioni umane ed etiche dell’Intelligenza Artificiale.
Le priorità della Von der Leyen sono fondamentali, ma il punto debole del programma è certamente relativo al “come”. I limiti politici ed istituzionali dell’attuale assetto europeo sono infatti lampanti e rischiano di rendere estremamente difficile, se non impossibile, l’implementazione delle necessarie politiche individuate nelle Guidelines. Proprio tali politiche rappresentano, per il federalismo organizzato, il terreno strategico di incontro con istituzioni europee e nazionali e con la variegata società civile europea.
In questa fase, in cui il nemico politico, rappresentato dai vari nazionalismi europei e dai loro alleati internazionali, continua a minacciare le fondamenta istituzionali e valoriali dell’Unione, il Parlamento e la Commissione europea diventano attori centrali per poter finalmente dare corpo ad un fronte politico in grado di controbilanciare le tendenze intergovernative degli Stati.
Fino al Trattato di Lisbona, il processo di unificazione europea si è mosso su un binario univoco secondo il ricorrente meccanismo della crisi-iniziativa-leadership. La crisi sistemica dell’ultimo decennio, accompagnata da eventi traumatici come la Brexit, ha dimostrato come l’integrazione non sia affatto irreversibile. Questi anni di profonda difficoltà hanno poi mostrato tutti i limiti politici ed istituzionali degli Stati e dei meccanismi intergovernativi, aprendo le porte ad una crisi di consenso senza precedenti nei confronti della stessa UE.
Ursula Von der Leyen si trova dunque davanti ad una sfida inedita: riconquistare la fiducia del popolo europeo, non solo e non tanto nelle istituzioni continentali, ma nel progetto europeo, in quella “aspirazione” che l’Europa rappresenta. La diffusa volontà di cambiamento espressa a più riprese dall’opinione pubblica non è però consapevole e coerente richiesta di riforma strutturale. Compito di chi vuole rilanciare il progetto europeo è allora dare organicità a tale necessità; ciò vale tanto per le istituzioni, che per la società civile e, a maggior ragione, per il federalismo organizzato.
La Presidente della Commissione ha allora la responsabilità di portare avanti i suoi punti programmatici per dare ai cittadini una concreta dimostrazione di quale percorso si debba intraprendere. In questo senso le politiche ambientali, la riforma degli accordi di Dublino, l’implementazione del pilastro sociale rappresentano anche degli ottimi strumenti politici per coinvolgere attivamente la società civile europea.
Le parti che la compongono saranno infatti, a seconda delle propensioni, più inclini ad avere un ruolo attivo nei processi politici che riguardano le aree di policy vicine alle proprie sensibilità settoriali. Una spinta coordinata tra società civile europea ed istituzioni europee potrà dunque rendere i governi nazionali, o almeno una parte di essi, meno ostacolo e più strumento nei processi politici che verranno.
Se non esiste dunque un’unica battaglia settoriale in grado di far scattare l’interruttore della riforma dell’UE, un insieme di concrete iniziative politiche ne rilancerebbero l’immagine, verso l’interno e verso l’esterno, agli occhi della società civile e dell’opinione pubblica.
Ciò vale in particolare per le materie in cui la nuova Commissione prevederà proposte di investimento, come per il “Green New Deal”, per l’aumento dei fondi dedicati alla politica estera o al programma Erasmus+ o, ancora, per gli investimenti nelle tecnologie di nuova generazione. Su questi temi sarebbe infatti possibile, ad esempio, rilanciare il tema delle risorse proprie e della fiscalità europea.
Le reti di stakeholders che agiscono su specifiche politiche già esistono e se ne formeranno delle altre; il compito del federalismo organizzato non consisterà nel crearne di nuove, ma nell’entrare a far parte dei networks esistenti per dare concretezza settoriale e di scopo a tali iniziative.
Ogni proposta tematica si scontra infatti con i palesi limiti istituzionali dell’attuale assetto comunitario e sarà dunque sempre opportuno rilevare che ciascun progetto politico rischia di essere velleitario se non affronta il cruciale tema della governance.
Una costellazione di iniziative rischia però un’atomizzazione se non si è in grado di porre a tutti un chiaro obbiettivo politico e strategico, definito nel tempo. In questo senso la proposta di una “Conferenza sul futuro dell’Europa”, avanzata anche nelle Political Guidelines, rappresenta un perfetto punto di caduta per coordinare le iniziative settoriali.
Per evitare un mero esercizio di stile, questo appuntamento istituzionale dovrà essere accompagnato e rafforzato dalla società civile e portare ad un momento di discontinuità. Sarà allora compito fondamentale dei federalisti assicurarsi che le principali iniziative politiche su cui lavorerà la prossima Commissione siano inserite nel processo di proposta che ci avvicinerà alla Conferenza sul futuro dell’Europa e, soprattutto, che tali proposte, concordate con i diversi attori della società civile, includano una proposta di riforma dei trattati che miri all’apertura di un processo costituzionale capace di definire i tratti valoriali ed istituzionali che definiranno l’Europa del futuro.
Le reti settoriali formatesi, avranno anche però necessità di rivedersi in un’iniziativa comune che supporti simbolicamente e mediaticamente l’iniziativa politica. I federalisti hanno già sperimentato tale metodo in occasione della March for Europe 2017. Una grande manifestazione in occasione dell’apertura della Conferenza sul Futuro dell’Europa sarebbe allora un’occasione perfetta per radunare la società civile e per dare indirizzo e forza politica alle istanze federaliste nella Conferenza stessa.
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