Dipendenza digitale in Europa: croce e delizia del XXI secolo

, di Trad. di Stefania Ledda

Dipendenza digitale in Europa: croce e delizia del XXI secolo
Fonte: European Documentation Centre (EDC) of the University of Almeria Lo smartphone è il simbolo della dipendenza digitale moderna.

Il braccio di ferro tra TikTok e il Presidente americano Donald Trump ha rischiato di cambiare la vita quotidiana di più di 1 miliardo di utenti. Ha dimostrato ancora una volta - anche alle organizzazioni internazionali - quanto spesso si dimentichi di alzare gli occhi dagli schermi e di rendersi conto dell’impatto della dipendenza da internet sulla salute mentale.

La promessa infranta

La dipendenza da internet fa la sua entrata in scena in punta di piedi. L’indifferenza ai contenuti online diventa curiosità, che diventa necessità e poi abuso. Spinge a trascorrere minuti - se non ore - di fronte agli schermi, invogliando la crescita costante di questa attività, che a tratti sembra occasionale, poi inevitabile, essenziale e infine insaziabile.

Che si tratti di dipendenza da shopping online, videogiochi, da relazioni o sesso virtuali, o dipendenza da ricerca di informazioni, le conseguenze sono disparate. Ansia, depressione, facile irritabilità, mancanza di concentrazione e di sonno, comportamenti ossessivi-compulsivi, limitata attività fisica, oltre a una certa dose di isolamento sociale. Quello stesso isolamento che i fondatori dei social network promettevano avrebbero evitato ai gruppi più emarginati, ma che troviamo in qualsiasi silenziosa sala d’attesa o affollato mezzo pubblico: il contatto visivo tra persone non esiste più. Il tempo per consultare le informazioni sul web o curiosare sul profilo social di qualcuno sembra non bastare mai, mentre i bambini seduti al ristorante sono rapiti - e rabboniti - dai cartoni ammalianti che brillano sullo schermo dei tablet posizionati dai loro genitori. Eppure, la verità è semplice.

Gli adolescenti sono tra i preferiti delle big tech

In uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - realizzato nel 2022 su adolescenti di 11, 13 e 15 anni in 44 Paesi europei, dell’Asia centrale e del Canada - gli e le adolescenti che mostravano una dipendenza da Internet eccessiva sono aumentati dal 7% del 2018 all’11% del 2022, con un riscontro più intenso del fenomeno in Romania, Malta e Bulgaria. Se il 36% degli adolescenti restava in contatto con gli amici online durante il giorno, la percentuale è più alta per le ragazze di 15 anni. E se, da una parte, la precaria salute mentale di minori appartenenti a famiglie meno abbienti dovuta a tale dipendenza restava alta, dall’altra, coloro che appartenevano a condizioni socio-economiche più avvantaggiate dichiaravano di restare connessi per un periodo di tempo maggiore rispetto ai primi.

I dati di Statista dell’ultimo quadrimestre del 2024 dicono che il tempo trascorso online dalle utenti donne tra i 16 e 24 anni è di circa 7 ore e 35 minuti al giorno, più del gruppo maschile, che si limita a 7 ore e 11 minuti, e molto di più rispetto a un’utenza di 65 anni e oltre con un massimo di 4 ore al giorno sullo schermo.

Tristan Harris: etica e segreti del design digitale

Per chi non lo conoscesse, l’americano Tristan Harris è stato esperto in etica del design per Google dal 2013 al 2016. Affascinato da ciò che non si vede a occhio nudo - come dalla magia, sin da bambino - ha realizzato attraverso il suo lavoro come le maggiori piattaforme riescano a sabotare comportamenti, attitudini e persino le credenze delle persone, tanto da voler fondare nel 2018 il Center for Humane Technology, un’organizzazione non profit la cui missione è reimmaginare l’infrastruttura digitale e mettere la tecnologia al servizio dell’uomo nel pieno rispetto dell’etica. Per chi non lo ricordasse - appunto - Harris appare nel documentario Netflix e vincitore di 2 Emmy The Social Dilemma tra coloro che svelano come i social media stiano lentamente ricalibrando negativamente le facoltà cognitive di milioni di utenti.

In un articolo pubblicato da Harris agli albori della sua missione, egli spiega come i designer di prodotto sfruttino le vulnerabilità psicologiche del cervello umano per attirare la sua attenzione. Eccone alcune:

  • Credi davvero di poter scegliere? Le applicazioni vengono in nostro aiuto, trovando soluzioni in modo facile e veloce. Eppure, ciò che fanno non è altro che presentare solamente le migliori scelte, non tutte le scelte possibili. Il loro layout grafico - e quindi la percezione visiva - è tale da indurre a prendere le decisioni volute proprio da chi quelle piattaforme ha contribuito a crearle. Non abbiamo diritto alla libera scelta;
  • Ritenta e avrai più fortuna. Ogni app di messaggistica, di incontri, di email, feed di notizie è concepita per spingere l’utente a: continuare a parlare con le ultime persone contattate - come nel caso delle chat più recenti in cima alla lista -, contattare chi ha foto più attraenti, far sentire in debito per una mancata risposta a un’email - si pensi al promemoria di risposta - e percepire la necessità non esattamente essenziale di sapere in qualsiasi momento che cosa accada nel mondo;
  • La tua debolezza è il loro potere. La dipendenza dai social si rafforza attraverso delle ricompense - o meglio, le scariche di dopamina - intermittenti e variabili nel tempo offerte ad esempio da i “Mi piace”, ovvero il mezzo attraverso cui crediamo di ottenere l’approvazione di chi siamo da parte degli altri. Il bisogno di essere apprezzati e appartenere a un gruppo è ciò che motiva l’applicazione e l’utilizzo di queste interazioni. A questo si aggiunge anche il bisogno di reciprocare gli altri: l’istinto irrefrenabile di rispondere a un commento o apprezzarlo, il sentire di dover replicare a un’email o di accettare la richiesta di amicizia di una persona che abbiamo forse intravista quando andavamo ancora a gattoni;
  • Non sai quante cose ti stai perdendo. Un altro elemento in gioco è la leva sulla paura dell’utente di perdersi qualcosa di importante: scrolliamo sullo schermo per aggiornare il feed o le email, leggere newsletter che potrebbero essere non esattamente allineate con i nostri interessi e tutto ciò che è - almeno apparentemente - importante da vedere o leggere. Harris scrive: “Non abbiamo bisogno di ciò che non vediamo”;
  • L’autoplay dei video tenta chiunque. Chi non conosce l’auto-play dei video di piattaforme streaming o video online? Tutto parte in automatico senza dare possibilità di scelta all’utente. Si è invogliati a guardare il prossimo video perché - secondo alcuni studi - la tecnica funziona e induce chi la subisce a fare nella maggior parte dei casi ciò che gli viene suggerito.

Insomma, queste tecnologie rendono sempre connessi, e non sempre per semplificare le attività quotidiane o renderle utili. L’obiettivo di tali piattaforme è conciliare le necessità degli utenti con gli interessi economici delle società: stimolare bisogni prima inesistenti, aumentando il tempo di utilizzo e quindi il guadagno. Il tempo libero e le facoltà cognitive si riducono a scapito di informazioni o video che non sono poi così preziosi quanto il tempo che passa e la salute mentale.

Gli sforzi dell’Unione Europea

In un comunicato stampa del dicembre del 2023, il Parlamento Europeo aveva fatto appello allo sviluppo di servizi digitali privi di design “da dipendenza”, ideati per catturare e mantenere l’attenzione degli utenti e processare i loro stessi dati. Aveva individuato alcuni esempi di design non etici quali la possibilità dello scrolling, l’avvio automatico delle pubblicità e le notifiche push.

I Ministri del Parlamento dichiaravano quindi l’urgenza di concepire prodotti e servizi digitali maggiormente orientati verso la salute delle persone, invitando la Commissione Europea a formulare il ‘diritto a non essere rintracciabili’ e una lista di buone pratiche come la conferma di condivisione, l’azzeramento delle notifiche come impostazione di base, pagine degli aggiornamenti in ordine cronologico, schermi in scala di grigio e riassunti più facilmente accessibili del tempo impiegato sullo schermo. Inoltre, il comunicato accennava allo sforzo della Commissione di modificare eventuali leggi a protezione dei consumatori per assicurare una più elevata protezione digitale, i cui risultati sarebbero stati attesi nel 2024.

Poi, nel maggio del 2024, la stessa Commissione ha avviato un’investigazione formale su come la società Meta abbia violato alcune misure di protezione del Digital Services Act a favore di minori sulle sue piattaforme quali Facebook e Instagram. Tutto è cominciato con la richiesta da parte della Commissione Europea di avere dalla società i dati sulla valutazione del rischio all’interno della piattaforma: il report recapitato nel settembre del 2024 ha però scatenato il procedimento. L’accusa è stata lanciata contro gli algoritmi gestiti dalla società, che stimolerebbero di proposito la dipendenza dalla tecnologia digitale nei bambini, e i protocolli di verifica dell’età - ormai davvero poco utili. Meta si era difesa dicendo di aver già adottato soluzioni come il parental control, notifiche con pausa e modalità silenziose grazie alle ricerche decennali che hanno permesso loro di sviluppare più di 50 funzionalità e risorse concepite per garantire ai più giovani e piccoli un ambiente sicuro e adatto alla loro età. In breve, la verità è anche difficile, come difficile è avere un’influenza su tecnologie che valgono miliardi.

Proposte e idee pratiche

Allora, che cosa possono attivamente fare i governi per contrastare il sovraccarico cognitivo e limitare la dipendenza dai social media? È lo stesso Harris a proporre in un articolo pubblicato sul New York Times il 5 dicembre 2019, l’applicazione di una tassa nei confronti dei grandi colossi della tecnologia, che aumenta in maniera proporzionale alla monetizzazione del crescente tempo trascorso dagli utenti sullo schermo e capace - allo stesso tempo - di finanziare l’educazione pubblica. Suggerisce anche l’adozione di servizi di abbonamento che disincentivano la consultazione libera e continua di contenuti online - ma si sa quanto gli abbonamenti siano almeno in Italia il disperato tentativo di numerose realtà editoriali di restare a galla; e per finire, indica misure in grado di combattere la disinformazione, contenuti virali ingannevoli o pericolosi. Anche quest’ultimo punto sembra al momento precario considerato il rapporto tra politica e tecnologia consolidatosi in America da quest’anno.

Ma l’utente comune che cosa può fare nella vita di tutti i giorni per arginare questo bombardamento di informazioni? Una disintossicazione digitale dalla costante connessione con i dispositivi. Prima di tutto, se si vuole fare un digital detox, questo deve originare da una motivazione intrinseca alla disconnessione: ad esempio, perché si vuole iniziare a correre nel parco vicino casa che tanto piace, tra l’altro migliorando la salute psicofisica oppure andare a trovare quelle care persone per cui sembriamo non trovare mai il tempo. Poi, si deve stabilire come staccare la spina dei e dai dispositivi digitali, se sia fattibile o meno - pensiamo ad esempio all’inevitabilità del loro utilizzo negli ambienti di lavoro -, quindi organizzare una routine di pausa dagli stessi - come al risveglio o prima di dormire -, o ancora limitare le notifiche del telefono per permetterci di rafforzare la nostra capacità di attenzione. Il tutto andrebbe a beneficio del nostro equilibrio psicologico: vivere il momento presente, l’ambiente circostante, mettere da parte una gran mole di informazioni che in fondo non ci serve davvero e che offusca la nostra capacità di riconnettersi con sé stessi e con le proprie emozioni. Inoltre, a mali estremi, estremi rimedi: esistono già ‘campi’ di digital detox in Italia e all’estero, dove la totale privazione dell’utilizzo di smartphone e simili, calata in un’atmosfera di pace e relax, incentiva la ripresa di un sano equilibrio tra la vita digitale e quella reale.

Invece, per i più piccoli è fondamentale ideare programmi di educazione digitale all’interno di quelli di educazione civica, che spieghino come utilizzare le nuove tecnologie in modo responsabile e insegnino a essere consapevoli dei loro rischi, oltre a come riconoscere i segnali della dipendenza digitale e gli effetti che può avere sulla mente. Infine, insegnare al rispetto della privacy ed educare al contrasto del cyberbullismo rimangono essenziali per le fasi della crescita più vulnerabili. E tu, qual è il tuo vero rapporto con la tecnologia?

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