Due sovranità in conflitto

, di Antonio Longo

Due sovranità in conflitto

“Per principio federale intendo quel sistema di divisione dei poteri che permette al governo centrale e a quelli regionali di essere, ciascuno in una data sfera, coordinati e indipendenti” (Del governo federale, Il Mulino 1997 – Parte prima: Il principio federale).

“Ora se questo principio deve funzionare non soltanto su di un piano puramente giuridico, ma anche nella pratica, ne consegue che sia il governo centrale come quelli regionali devono avere sotto il loro controllo indipendente risorse finanziarie sufficienti ad assolvere le loro funzioni esclusive. Ciascuno di essi deve essere poi finanziariamente coordinato con gli altri” (Parte quarta: Le finanze del governo federale).

Il principio federale – così come definito da Kenneth C. Wheare, lo studioso australiano, la cui opera principale Federal Government, pubblicata per la prima volta nel 1946, è unanimemente considerata un ‘classico’ del federalismo, può aiutarci a comprendere la natura del conflitto politico in atto tra il governo italiano e le istituzioni europee sulla manovra finanziaria.

“Se l’Italia vuole fare il reddito di cittadinanza, è sovrana. Noi guardiamo ai saldi di bilancio”, disse poco tempo fa il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Dietro l’apparente freddezza di una simile affermazione, si cela tutta la sostanza dello scontro politico in atto. In gioco ci sono due sovranità sulla stessa questione: il bilancio nazionale di un Paese che fa parte dell’Unione monetaria.

La sovranità nazionale (italiana) rappresentata dai due soci di maggioranza utilizza termini e concetti semplicistici, ma comunicativamente efficaci, rivendicando la pretesa di determinare non solo i contenuti della manovra finanziaria (cosa legittima), ma anche il livello dell’indebitamento pubblico che questa comporta (cosa che non tiene conto la normativa europea). La sovranità che hanno in mente gli attuali governanti italiani è quella del passato, che gli stati esercitavano, con maggiore o minore saggezza, riducendo o aumentando l’indebitamento in base alle politiche di spesa pubblica da perseguire e disponendo di una moneta nazionale. Negli ultimi decenni, a seguito della globalizzazione dei processi produttivi e delle conseguenze che si sono manifestate laddove il processo di riforme non si è attuato (come in Italia), la spesa pubblica è stata utilizzata non solo per fronteggiare la crisi economica, la caduta dell’occupazione ed altro ancora, ma spesso anche per assicurarsi la riproduzione del consenso sociale, specialmente di settori importanti sul terreno elettorale. In un Paese di corporazioni come l’Italia, la spesa pubblica ha prima determinato il rigonfiamento del debito (anni ’80); poi il livello degli interessi (anche a spesa pubblica invariata percentualmente) ha determinato un effetto di trascinamento (dagli anni ’90 in poi) che ha reso sempre più difficile l’abbassamento dello stock di debito complessivo (salvo qualche arretramento di breve durata, presto vanificato). Se l’Italia si trova da troppo tempo con un debito pubblico che non riesce a scendere (a differenza degli altri Paesi europei), probabilmente ciò è imputabile a incrostazioni ‘storiche’ e strutturali dalle quali non riesce a liberarsi. Occorre farsene una ragione.

La sovranità europea “sui bilanci nazionali” esiste invece da poco tempo. Nasce con le prime misure anti-crisi adottate dopo il 2010 per anticipare possibili focolai sul debito pubblico dei Paesi più a rischio.

Si tratta (in estrema sintesi) dei due famosi trattati, quello c.d. “Fondo Salva-Stati”, più propriamente Meccanismo europeo di stabilità (MES) (ottobre 2010), per intervenire in caso di difficoltà dei paesi dell’eurozona, anche acquistando titoli pubblici sul mercato primario o secondario e per ricapitalizzare le banche in difficoltà. Seguito da quello del c.d. Fiscal Compact (PSC) del dicembre 2011 e firmato da 25 paesi, per rafforzare la disciplina fiscale, soprattutto nell’Eurozona. Le novità principali sono, da un lato, la regola del pareggio di bilancio e il meccanismo di correzione automatica del deficit, seguendo le proposte fatte dalla Commissione, da recepire nelle legislazioni nazionali; dall’altro, il rafforzamento della procedura per deficit e debito pubblico eccessivi.

Esistono poi i Regolamenti che prevedono il monitoraggio e l’intervento sanzionatorio sui bilanci nazionali in caso di deficit eccessivo. Il Six Pack (2011) prevede che la Commissione, all’inizio di ciascun anno, presenti un rapporto sulla crescita e che, su questa base, il Consiglio europeo elabori le linee guida di politica economica e di bilancio a livello UE e degli Stati membri. Si mette così in moto un meccanismo di sorveglianza, sia preventiva sia correttiva, sugli squilibri macroeconomici eccessivi e un sistema sanzionatorio in caso di non osservanza da parte dei paesi dell’Eurozona. Il Two Pack è composto da due regolamenti (2013), che si applicano unicamente ai paesi dell’Eurozona e che consentono alla Commissione di mettere sotto sorveglianza uno Stato che rischia di trovarsi in una situazione d’instabilità finanziaria. Il secondo regolamento consente alla Commissione di dare un parere sul bilancio dello Stato interessato, prima che questo venga votato dal Parlamento nazionale. Se il progetto di bilancio non rispetta gli obblighi di politica finanziaria previsti dal PSC, la Commissione può chiedere che sia rivisto.

La novità del Six Pack e del Two Pack è anche data dal fatto che s’introduce un maggior automatismo nel sistema delle sanzioni. Infatti, la proposta della Commissione di infliggere sanzioni allo Stato inadempiente può essere respinta dal Consiglio solo in base ad un voto che raccolga la maggioranza qualificata degli Stati (maggioranza qualificata inversa), cosa che rende pressoché certa la decisione politica della Commissione.

Da questa breve disamina emerge chiaramente che siamo in presenza di due sovranità circa i bilanci degli Stati in un’Unione monetaria. Quella nazionale si esercita sui contenuti del bilancio: le politiche d’investimento, sociali, fiscali e via di seguito. E come dice Wheare, il governo nazionale deve ‘avere sotto il proprio controllo indipendente risorse finanziarie sufficienti ad assolvere le proprie funzioni esclusive’. Ciò significa che il governo italiano, per finanziare le politiche promesse con il contratto di governo deve avere risorse proprie adeguate a farvi fronte.

Quella europea di esercita sui “saldi di bilancio” e consiste nel potere di controllo, ex ante, in corso ed ex-post sui bilanci degli Stati dell’Unione e con un controllo più stringente su quelli dell’Eurozona, fino a comminare varie sanzioni. La motivazione è evidente: in un’Unione monetaria ogni Stato deve provvedere con proprie risorse ai bisogni dei propri cittadini per evitare di trasferire da uno Stato all’altro i costi del proprio debito, indebolendo anche la moneta unica. Tutto ciò fa sì che la sovranità europea sui bilanci degli stati (1) sia già oggi analoga a quella presente negli stati federali, ad esempio negli USA, mentre c’è chi sostiene che sia addirittura superiore in termini di controllo e sanzioni.

La presenza di due sovranità, sullo stesso territorio e sugli stessi cittadini, è dunque espressione del principio federale. Essa può determinare situazioni di poteri concorrenti. John Pinder, nella sua introduzione al volume Del governo federale afferma che “come sottolinea Wheare i poteri concorrenti sono potenzialmente esclusivi, poiché in caso di conflitto, in ciascuna federazione (…) la legge federale prevale su quelle degli Stati membri e di conseguenza, nella misura in cui il centro abbia legiferato, il potere federale diventa esclusivo”.

Dunque, una “legge federale” esiste sui bilanci degli stati dell’Eurozona ed è data dall’insieme delle norme che derivano dai Trattati internazionali e dai Regolamenti che abbiamo sopra ricordato. Pertanto, la valutazione che va data, da un punto di vista federalista, circa lo scontro in atto tra Commissione e governo italiano sulla manovra finanziaria, è quella sulla pretesa di far valere la sovranità nazionale contro quella europea, di far valere l’indipendenza assoluta della prima, anziché quella dell’indipendenza nel coordinamento con le altre sovranità nazionali, per usare i concetti di Wheare.

È l’illusione di poter essere pienamente sovrani restando nella moneta unica. Non è più possibile politicamente, finanziariamente e tecnicamente. E occorre aggiungere che è giusto e vantaggioso che sia così. La sovranità europea condivisa sulla moneta e sui bilanci nazionali rende gli Europei più forti, più stabili e più responsabili, soprattutto nella gestione della cosa pubblica. È questo che non vogliono i nazional-populisti. Essere responsabili politicamente comporta un prezzo da pagare, a volte anche in termini di consenso popolare. Essi preferiscono far pagare questo prezzo agli altri europei, sottraendosi alla sovranità condivisa e cercando di porsi al riparo della sovranità di qualche grande protettore, pronto ad utilizzare la ‘secessione italiana’ per disarticolare settant’anni del processo di unificazione. Non dobbiamo permetterlo. Difendiamo la sovranità acquisita per estenderla ancora là dove manca.

(1) La sovranità europea sui bilanci non va confusa con quella fiscale, come capacità di imporre tasse. Questa nascerà quando l’Unione europea (o l’Eurozona) disporrà di sufficienti risorse proprie, cioè autonome rispetto a quelle degli Stati, cosa che consentirà di poter sviluppare una politica economica e sociale adeguata a garantire i fondamentali beni pubblici europei.

Articolo pubblicato su L’Unità Europea (n.5, 2018).

Fonte immagine: Pixabay.

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