Certamente molti norvegesi avranno protestato contro questa decisione del governo, specialmente perché il viaggio in Norvegia del Dalai Lama intendeva celebrare il 25° anniversario del suo Premio Nobel per la Pace. Ed è stato proprio il Premio Nobel per la Pace a scatenare tutto.
Come ben sappiamo, il Premio Nobel per la Pace viene conferito da una commissione norvegese e la cerimonia di consegna si tiene a Oslo. Nel 2010 il premio era stato vinto da Liu Xiaobo, un attivista cinese per i diritti umani, il quale è stato imprigionato, lo stesso anno, per “incitamento alla sovversione nei confronti del potere statale”. Ovviamente la Cina non ne è stata per niente contenta, e da quel momento le sue relazioni diplomatiche con la Norvegia si sono raffreddate e affievolite man mano. L’intera situazione ha creato il caso “Dalai Lama”: la Cina non avrebbe certamente apprezzato un incontro ufficiale tra la guida spirituale del ribelle popolo tibetano e il già provocatorio governo norvegese. Per tale motivo, quest’ultimo ha deciso di sacrificare sia la propria tradizione, sia la propria reputazione di bastione della tolleranza per cercare di ristabilire dei normali rapporti diplomatici con la Cina. Molti norvegesi si sono sentiti traditi, ma il Primo Ministro Erna Solberg ha riconfermato l’approccio pragmatico: relazioni migliori con la Cina potrebbero permettere alla Norvegia di intavolare un dibattito riguardo a importanti tematiche quali la protezione dell’ambiente e i diritti umani.
Da questo punto di vista, la situazione è lampante: il governo norvegese ha deciso di esporsi all’imbarazzo per poter avere qualche – misera – opportunità di avere un’influenza su tematiche di importanza globale.
Anche io vorrei essere pragmatico: ci hai provato, Norvegia, ma non credo che ce la farai. Sei troppo piccola per discutere con dei giganti come la Cina, l’India, il Brasile, gli Stati Uniti d’America e la Russia.
Si potrebbe dire che, forse, se la Norvegia fosse stata nell’UE, qualcosa sarebbe cambiato… Ma sappiamo tutti che non è vero, perché manca una politica estera comune. A livello internazionale, gli stati membri dell’UE rappresentano sempre e solo se stessi. Ed essi sono tutti troppo piccoli per poter pretendere di competere con nazioni che sono interi continenti. E non è possibile iniziare a risolvere i problemi del surriscaldamento globale, se non dialogando con loro. Non è possibile cercare di capire cosa voglia fare esattamente la Russia in Ucraina, né avere alcun tipo di influenza in questo caso specifico.
Il mondo globalizzato che è sorto dalle ceneri della seconda Guerra mondiale è sempre stato governato da una manciata di potenze, rappresentate inizialmente dagli Stati Uniti e dall’URSS, e ora, dopo la disintegrazione di quest’ultima, dagli Stati Uniti e dalla Cina (le quali hanno già incominciato – autonomamente – a discutere del futuro del mondo intero nei suoi incontri del G2), insieme alle “grandi potenze” emergenti come la Russia, il Brasile e l’India, pronte a prendersi la propria fetta.
Come si può vedere, in questo contesto non si trova spazio né per l’UE, né per qualsiasi altro Paese europeo. L’UE ha avuto vent’anni (1990-2010) per diventare una delle due principali potenze mondiali, tra la caduta dell’URSS e l’ascesa della Cina. Ma non è successo nulla di tutto questo, perché nessuno si è reso conto della necessità di rendere l’UE una nazione unica, dotata di un governo unico, un esercito unico e una politica estera comune. Quella sarebbe stata una delle più grandi e più potenti nazioni del mondo, capace di confrontarsi alla pari con chiunque e in grado di proteggere i propri cittadini e quelli degli altri.
Forse non è troppo tardi, ma abbiamo veramente solo quest’ultima opportunità: la prossima settimana andiamo a votare per le elezioni del Parlamento europeo e pensiamo a come dovrebbe essere l’UE che ci potrà garantire un future migliore: un’unione divisa, ritornando ai nazionalismi, o un’unione più integrata, andando verso una federazione. Sta a noi decidere il nostro futuro.
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