Estremo Vicino Oriente

, di Salvatore Romano

Estremo Vicino Oriente

I tempi in cui la Cina veniva vista come una nazione lontana e in via di sviluppo sono lontani; oggi è una delle prime potenze mondiali e nessuno stato europeo può competere singolarmente. Proprio per questo, i suoi investimenti nelle varie aree geografiche tra cui la nostra assumono un’importanza fondamentale.

Non lo si chiami più Estremo, sarebbe anacronistico. Ormai è quanto di più vicino ci sia agli occidentali oggi. La vecchia toponomastica non serve più, anche il solo nome Oriente sarebbe un imbroglio. Lo si dimentichi, si cambino i manuali di geografia, si aggiornino le mappe e, in attesa delle nuove definizioni, ci si accontenti di una mimica muta. Il dualismo noi-loro, Occidente-Oriente, non esiste più. Persi i valori di riferimento, le identità sono solo vuote etichette. I Paesi e i cittadini europei lo hanno dimostrato in queste settimane con l’indifferenza per le sorti del popolo curdo.

Occidente non dice nulla di più di Oriente, o di diverso. Come dopo un big bang, il mondo sembra costretto tutto in un solo punto, i suoi abitanti più vicini di quanto vogliano ammettere. “Tutto in un punto” era il titolo di un racconto delle Cosmicomiche di Calvino, in cui Qfwfq raccontava l’universo prima dell’esplosione da cui la sua storia ha avuto inizio; e forse, dopo tanti secoli, dopo quello che è stato definito “un cambiamento d’epoca, più che un’epoca di cambiamenti”, in un punto ci si è ridotti senza alcun progetto per il futuro, o ricordo del passato.

La Cina ha realizzato quella fantasia con mezzi concreti. Un piano di investimenti in infrastrutture materiali e digitali per costringere il mondo in unica rete di connessione. La Bri, Belt and road initiative, più comunemente nota come “Nuova via della seta”, nata nel 2013 sotto l’egida del presidente Xi Jinping, si è già affermata in Africa. Sessanta miliardi di dollari per la costruzione di strade, ferrovie, aeroporti e porti. Ma il Dragone è penetrato anche in Europa. Il ciclo di incontri che il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, e il premier cinese, Li Keqiang, hanno avuto nell’ultimo anno con i leader di mezza Europa la dice lunga sull’importanza strategica che il Vecchio Continente riveste agli occhi della Cina. Nel luglio 2018 il vertice Cina-Ue, poi la visita di Li Keqiang in Bulgaria, Germania, Olanda e Belgio. A novembre, Xi JInping visita Portogallo e Spagna, e a marzo di quest’anno la visita in Italia culminata nella firma da parte di Conte del memorandum d’intesa sulla Belt and road initiative. Successo importante dal punto di vista simbolico per Xi Jinping che ha ottenuto, per la prima volta, l’adesione al progetto di un governo di un paese del G7. Scelta quella italiana che ha fatto storcere il naso a Francia e Germania, per la mancata volontà di concordare una strategia comune ed affrontare insieme lo strapotere economico della Cina.

L’intenzione dell’Italia e degli altri ventidue governi dell’Europa, di cui sedici dell’Unione europea, che hanno firmato il memorandum, è quello di accaparrarsi una fetta importante di investimenti per rilanciare un’economia stagnante. E a finire sotto l’ala del Dragone sono infatti i Paesi che crescono poco, e che vedono con favore l’arrivo di capitali esteri. Il vertice tra Repubblica popolare e Paesi dell’Europa centrorientale dell’aprile scorso, tenutosi in Croazia, ha aggiunto alla lista dei debitori della Cina anche la Grecia. Se Xi Jinping stia seguendo o meno la logica del “divide et impera”, si scoprirà presto, così come se dietro l’onda gigante degli investimenti non si nasconda invece uno tsunami, quello dell’influenza politica.

Fonte immagine: Wikimedia.

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