“Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani
Mai come in questo momento la lettura di Tiziano Terzani mi sembra appropriata. Questo romanzo nasce da quello che apparentemente sembrava una nefasta maledizione: “Attento, Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare. Non volare mai”. Da questa profezia, pronunciata da un indovino cinese a Hong Kong, Terzani non si lascia spaventare, anzi trasforma la paura in una risorsa e la minaccia di morte in una nuova vita. Affascinato dall’Asia e dai suoi misteri, il giornalista fiorentino decide di tenere fede alla profezia e non prendere aerei per tutta la durata del 1993, pur continuando a mantenere il suo ruolo di corrispondente del Der Spiegel. Questo lo costringerà a dover riscoprire nuovi (o vecchi?) modi di muoversi, più lenti e difficoltosi, e ad apprezzare di nuovo la fine di un viaggio come conquista. In una nave mercantile nel Mare di Java, o in uno scompartimento della Trans-mongolica al di fuori dal tempo (letteralmente, perché tutti orologi sono sul fuso orario di Mosca), anche noi, assieme a lui, incontreremo quell’umanità dimenticata dal mondo scintillante dei nastri trasportatori e dei duty free. Ma l’esplorazione di quest’Asia scaramantica e tradizionale, nascosta dietro al roboante successo delle Tigri economiche, è solo uno dei motivi per cui leggere questo racconto; ci sono ragioni più profonde per cui dovremmo riprendere in mano questo libro adesso. Terzani ha sempre mantenuto un approccio curioso e divertito alla vita e alle sue sfide, trasformando le crisi in opportunità, senza mai cedere alle tentazioni dell’odio o dell’invidia. Una suavitas quasi “Langeriana” di cui tutti possiamo beneficiare durante questa quarantena.
“Le cose che non ho detto” di Azar Nafisi
Se, come me, avete adorato Lessico Familiare di Natalia Ginzburg, allora non potrete non innamorarvi del suo corrispettivo iraniano: “Le cose che non ho detto” è uno spaccato di vita che si sviluppa su due binari: l’introspezione dell’autobiografia e l’intimità degli aneddoti familiari si intrecciano alla potenza espressiva del racconto storico. Così i ricordi e le vicende personali dell’autrice fanno da eco alla narrazione dell’Iran prima, dopo e durante la Rivoluzione Islamica. Con una nostalgica tenerezza, Azar Nafisi ripercorre la sua vita, la storia della sua famiglia e del suo paese. Questi tre elementi appaiono da subito intrinsecamente legati, dal momento che la madre, Nezhat Nafisi, fu una tra le sei donne elette per la prima volta al Parlamento, nel 1963, mentre il padre, Ahmad Nafisi, fu eletto sindaco di Teheran nel 1961. Accanto alla descrizione del rapporto con i genitori, burrascoso e conflittuale con la madre, complice e affiatato col padre, e la sofferenza per un matrimonio fallito, l’autrice ci regala immagini vividissime dell’Iran sotto lo scià, del senso di libertà perduto, della paura e l’incertezza durante la Rivoluzione, e del dolore dell’esilio. Attraverso le sue parole di esule, possiamo anche noi vedere la Teheran dei suoi ricordi di ragazza, una città in pieno fermento culturale, vibrante e libera.
“Sì, l’ho letto un po’ di tempo fa ma non mi ricordo molto bene la trama…”
Chi di noi non ha mai detto queste parole? Io sì, sicuramente. Anzi ne approfitto per fare coming out e dichiaro di non aver mai letto “Ulisse” di Joyce anche se mento e dico sempre che non me lo ricordo molto bene (perdonatemi, l’ho iniziato tre volte ma non riesco mai ad andare oltre le prime venti pagine). In ogni caso, la quarantena può essere un’ottima occasione per recuperare qualche classico che tutti sembrano aver letto e che tenete sul comodino da anni. Senza lanciarvi in missioni impossibili che renderebbero l’isolamento ancora più deprimente (quindi niente “Anna Karenina”, tranquilli), vi consiglio di riscoprire un capolavoro che ho recentemente regalato a un amico francese interessato alla letteratura italiana: “Il Fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello. La sua complessa ironia, i diversi strati di lettura e il dilemma identitario lo rendono una compagnia perfetta durante questo periodo di reclusione. Se poi vi sentite temerari, potreste lanciarvi nella lettura di quello che secondo me è uno dei romanzi più illuminanti del Novecento, “Il conformista” di Alberto Moravia (magari accompagnandolo anche dalla visione dell’omonimo film di Bernardo Bertolucci, con Jean-Louis Trintignant come Marcello Clerici). Pubblicato nel 1951, ambientato nel Ventennio ma con un messaggio sempre attuale.
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