Federalismo e virus. Il tempo dell’agire.

, di Arturo Mariano Iannace

Federalismo e virus. Il tempo dell'agire.
Fonte: Pexels; Autore: fotografierende; https://www.pexels.com/photo/atomium-brussels-1595085/

Inutile ripetere i dati: l’emergenza scatenata dal SARS COVID-19, meglio conosciuto come Coronavirus, nelle sue conseguenze (reali o immaginate che siano), è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Non è questa la sede per ripercorrerne la storia, né per fare della polemica, cosa che sembra andare alquanto di moda in questi ultimi giorni in certi ambienti politici del Paese; piuttosto, sarebbe opportuno riflettere sulle sue conseguenze politiche, e su ciò che comporteranno per quelle forze ancora impegnate in una battaglia genuinamente europeista, e ancor più per tutti coloro che si riconoscono ancora nell’ideale federalista. Perché, al di là dell’emergenza sanitaria nell’immediato, se c’è qualcosa che si può già intravedere all’orizzonte in questo momento, è un segnale di serio pericolo.

Settimane fa, lo stesso Movimento Federalista ha rilasciato una dichiarazione online sulla questione Coronavirus dal titolo piuttosto eloquente: “Covid-19 e virus nazionalista”. Non sorprende che la dichiarazione del MFE si soffermi (giustamente) sulla necessità di un’Unione che possa intervenire anche quando la salute dei cittadini di tutto il Continente è a rischio; o che attacchi frontalmente l’atteggiamento ambiguo (se non proprio schizofrenico) dei sovranisti dinanzi all’emergenza. Ma tutto questo non basta. È inutile, o addirittura controproducente, ribadire per l’ennesima volta le posizioni federaliste, quando ciò che manca davvero è la ricettività dell’opinione pubblica. Fin da quando le proporzioni del contagio in Cina sono diventate più evidenti, è stato possibile assistere a scene allarmanti di sospetti e paure, rimbalzate da un social all’altro, e rilanciate ulteriormente da commenti politici che, se non hanno sorpreso (e come avrebbe potuto sorprendere un Salvini che rievocava le famigerate ‘frontiere chiuse’?) comunque un minimo di allarme avrebbero dovuto provocarlo. Le sassate a Frosinone, la volontà di alcuni genitori di impedire che bambini cinesi potessero tornare a scuola perché, appunto, cinesi; e poi, non appena il virus è sbarcato in Italia, la paura rampante, la completa mancanza di senso civico e di responsabilità sociale (perché cos’altro significano l’assalto ai supermercati e l’acquisto ossessivo-compulsivo di mascherine?), le improbabili quanto francamente spaventose rievocazioni forcaiole serpeggianti sui social, da parte di abitanti di regioni meridionali nei confronti di loro conterranei di ritorno dalle regioni affette, la lite perenne e aggressiva tra le Regioni ed il Governo di Roma; e, spostando lo sguardo dall’Italia all’Europa, l’atteggiamento di diversi Stati verso il nostro Paese, di aperta quanto ingiustificata discriminazione, con il consueto quanto inevitabile strascico di accuse contro l’Unione Europea. È un quadro desolante; ma al di là di tutto, è un quadro che deve spingere ad una seria riflessione. Perché il rischio è che, una volta scomparso, il Coronavirus lasci dietro di sé, come vittima principale, proprio il sogno europeista e federalista, a dispetto di tutte le ambiguità dei sovranisti e di tutti gli attacchi che si possono portare contro di loro.

Possiamo iniziare le nostre considerazioni da una serie di domande ipotetiche, alcune delle quali rasenteranno probabilmente il retorico. La prima: alle prossime elezioni nazionali, cosa ci si può attendere da quelle stesse forze politiche che, adesso, ci regalano già bagarre in Parlamento in un tentativo neppure troppo palese di strumentalizzare la crisi (al di là di ogni dichiarazione d’intenti sul contrario) per indebolire ulteriormente il governo? È davvero difficile immaginarsi Lega, Fratelli d’Italia, o Forza Italia, rinunciare di propria sponte a giocare una carta apparentemente così succulenta durante la prossima campagna elettorale; così come è davvero difficile illudersi sui contenuti di tale campagna. Il che ci porta, inevitabilmente, alla seconda delle nostre domande: come si comporterà l’elettorato? Quello stesso elettorato che in questi giorni sta dando prova di una paranoia ai limiti del grottesco, di un atteggiamento da Regime del Terrore verso gli stranieri così come verso i propri stessi connazionali? In particolare, quale atteggiamento dovremmo attenderci da tale elettorato nei confronti delle posizioni europeiste e, ancor più, federaliste? E si badi bene che tali domande valgono per l’Italia, come per qualsiasi altro Stato membro dell’Unione. Nel caso del Bel Paese, poi, le conseguenze di un crollo economico dovuto alla diffusione del virus e delle misure necessarie a contrastarlo non potranno fare altro che rendere le cose più difficili. Come tutte le domande ipotetiche, rivolte al futuro, soltanto il tempo potrà darci una risposta. Tuttavia, è legittimo immaginarsi uno scenario non propriamente roseo. A conti fatti, il COVID-19 potrebbe rivelarsi la proverbiale manna dal cielo per nazionalisti, sovranisti, anti-europeisti, e di riflesso una temibile spada di Damocle sulla testa di chi continua a costruire la propria lotta politica sugli ideali del Manifesto di Ventotene e di Altiero Spinelli. In questi ultimi giorni, si sta diffondendo sul web (non per ultimo grazie al supporto del Movimento Cinque Stelle) la notizia (falsa) che la Cina stia regalando all’Italia una quantità immensa di materiale medico necessario al contenimento ed al contrasto del virus. La realtà, più prosaica, è che l’Italia sta acquistando tale materiale con moneta sonante (come mostra, tra gli altri, questo articolo de Il Sole 24 Ore); ancora più di recente, è stato diffuso su alcuni social un presunto discorso (mai avvenuto) di Putin, dove si inneggia ad un’Italia libera da una presunta, umiliante, dipendenza dalla Germania ed altri partner europei, pronta ad essere accolta dalla Russia (in quale senso, non viene neppure specificato). Al di là dei singoli episodi, non si può fare a meno di notare che, allo stesso tempo, il silenzio persiste su ciò che l’Unione Europea sta facendo per l’Italia in questo momento; ed è davvero arduo credere che non partirà, ad emergenza finita, la solita sequela di accuse a Bruxelles per cavalcare l’onda di un elettorato spaventato.

A questo punto, i federalisti non possono e non devono trovarsi impreparati all’appuntamento. Giusto continuare ad affermare che il virus ha dimostrato, ancora una volta, che i problemi andrebbero affrontati insieme, e non ciascuno per conto suo; giusto mettere in mostra l’ipocrisia dei sovranisti (nostrani e non). Ma non ci si può fermare a questi due punti, né bisogna cedere alla tentazione di possibili toni trionfalistici che, alla luce dei fatti, potrebbero rivelarsi drammaticamente ingenui. È invece il momento di fare il punto della situazione, con lucidità, e di preparare la controffensiva: meglio ancora se preventiva. Come? I modi possono essere molti; di necessità, almeno finché l’emergenza perdura, essi passeranno attraverso il web, più che attraverso la piazza, e forse questo è un bene, perché condurrebbe a ripensare al modo in cui il messaggio federalista può essere portato dinanzi ad un’opinione pubblica indifferente, o addirittura potenzialmente ostile. I primi passi sono già stati compiuti, da diversi gruppi, ma vanno rinforzati. Un costante lavoro di fact-checking, di debunking, una sorta di ‘attivismo digitale’ che impegni sui social media tutti coloro che hanno a cuore il messaggio federalista, sono i passi che possono essere compiuti finché le restrizioni alla circolazione resteranno in vigore in Italia, come forme di ‘contenimento’ delle falsità sovraniste e di vere e proprie fake news. In seguito, tale azione dovrebbe divenire di supporto per iniziative pubbliche, siano essere sotto forma di conferenze e convegni ma, soprattutto, di incontri con i cittadini, spiegando puntualmente ciò che è stato fatto, e ciò che si sarebbe potuto fare (ma attenzione a calcare eccessivamente la mano sui ‘se’). In altre parole, bisognerà fare tutto il possibile per trasformare la crisi, in un’opportunità; in caso contrario, il prezzo da pagare per l’inattività potrebbe essere davvero troppo alto.

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