Gli inglesi si occupano della Brexit, gli europei di riformare l’Unione europea

, di Roberto Castaldi

Gli inglesi si occupano della Brexit, gli europei di riformare l'Unione europea

La Premier britannica Teresa May ha tenuto martedì scorso il discorso per chiarire gli obiettivi negoziali britannici riguardo alla Brexit: fuori dall’Unione europea, fuori dal Mercato Unico, probabilmente fuori dall’unione doganale. Sembra essersi scordata del 48% che ha votato per rimanere nell’UE e della richiesta del governo scozzese di trovare un modo per rimanere nel mercato unico. Auspica però un’area di libero scambio che permetta alla City di rimanere il maggiore centro finanziario europeo.

Vorrebbe insomma la botte piena e la moglie ubriaca. La premier scozzese ha risposto che il discorso aumenta le probabilità di un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia. May ha gentilmente concesso al proprio Parlamento di potersi esprimere sull’accordo al termine del negoziato. Si tratta soprattutto di una mossa volta a rafforzare la propria posizione negoziale, perché il Parlamento al termine dei 2 anni di negoziati previsti dal Trattato di Lisbona si troverà sostanzialmente di fronte alla scelta tra un’uscita con l’accordo negoziato del governo o senza alcun accordo. Non potrà che ratificare l’accordo. Che ben difficilmente potrà rispecchiare i desiderata britannici.

Lo stesso giorno il Gruppo di Alto Livello sulle risorse proprie, presieduto da Mario Monti e composto da 3 rappresentanti del Parlamento Europeo, tre del Consiglio e tre della Commissione ha presentato il proprio rapporto sulla riforma del bilancio comunitario. Ha chiesto di rafforzare il sistema delle risorse proprie facendo una serie di proposte riguardo alla tassa sulle transazioni finanziarie, la carbon tax, l’iva, le tasse sui redditi delle imprese, e altre legate alle politiche europee e al mercato unico. Apre inoltre alla possibilità di creare un bilancio aggiuntivo dell’Eurozona attraverso la cooperazione rafforzata. Si tratta di proposte di buon senso volte a razionalizzare il sistema delle entrate europee. Il rapporto si muove nel quadro dei trattati esistenti, presenta quindi proposte migliorative immediatamente applicabili. Questo vantaggio però fa sì che manchino due proposte fondamentali: l’aumento del bilancio comunitario, oggi appena lo 0,9% del PIL; e il superamento dell’obbligo del pareggio del bilancio europeo, ovvero la possibilità di fare debito pubblico a livello europeo, che pure si fa surrettiziamente attraverso la Banca Europea degli Investimenti, che è di proprietà degli Stati membri.

Nello stesso giorno il Parlamento europeo ha eletto Antonio Tajani del Partito Popolare Europea alla Presidenza, grazie all’accordo con i Liberali, e battendo il candidato Socialista e Democratico, Gianni Pittella. I commentatori italiani si concentrano sugli effetti sulla politica nazionale - il rafforzamento della linea europeista di Forza Italia e quindi di distacco dalla posizione nazionalista di Salvini – o sull’orgoglio nazionale per la prima presidenza italiana del Parlamento europeo eletto. Ma la riflessione più importante da fare riguarda l’importanza dell’impegno europeo. Per assumere posizioni di vertice a livello europeo è necessario un impegno lungo e costante, che consenta di acquisire credibilità e relazioni. Tajani e Pittella sono tra i pochi parlamentari europei italiani di lungo corso. Il fatto che il tasso di ricambio dei parlamentari europei sia molto alto in Italia, li indebolisce oggettivamente e preclude la possibilità di ruoli rilevanti nel Parlamento con poche eccezioni. Sono così italiani il Presidente della Banca Centrale Europea, del Parlamento europeo e l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza e Vice-Presidente della Commissione. Se fossero tedeschi i media italiani titolerebbero sul «dominio» tedesco in Europa a causa del doppio standard che deriva dal nazionalismo metodologico.

La concomitanza è indicativa della realtà. Nonostante la Brexit susciti grande attenzione nei media di tutto il mondo, si tratta in fondo di un problema britannico. L’UE perde uno Stato membro recalcitrante, che era comunque fuori dalla moneta unica, da Schengen, e in parte dalla Carta dei diritti. Il Regno Unito non è il primo partner commerciale per nessuno Stato europeo tranne l’Irlanda, mentre l’Unione è di gran lunga il primo partner commerciale del Regno Unito. Agli inglesi è sempre piaciuta l’idea che “il continente è isolato”, ma si tratta di una loro fantasia. L’Unione e i suoi Stati membri non possono perdere tempo ad occuparsi del futuro del Regno Unito, ma devono preoccuparsi di riformare un’Unione imperfetta e incompleta, non in grado di affrontare adeguatamente le sfide della crescita e dell’occupazione, della sicurezza interna ed esterna, delle crisi geopolitiche ai suoi confini e dei conseguenti flussi di migranti.

Il bilancio è lo strumento fondamentale per realizzare politiche e beni pubblici europei. Negli ultimi decenni sono aumentate le competenze dell’Unione e si è ridotto il suo bilancio (che un tempo arrivava all’1,27% del PIL, e ora è lo 0,9%, circa un terzo in meno). Ben vengano dunque le proposte del Gruppo Monti, un primo passo nella direzione giusta. Il Parlamento europeo ha un ruolo legislativo centrale - assai maggiore di quello italiano, in cui tutti i provvedimenti principali passano con maxi-emendamenti e voto di fiducia - e la sua vita democratica procede, così come l’attenzione dei cittadini e dei media per le sue attività. L’Unione guarda avanti, mentre il Regno Unito si arrovella sul suo futuro.

1. Articolo pubblicato originariamente sul blog Noi, europei

2. Fonte immagine Flickr

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  • su 23 gennaio 2017 a 10:21, di Giancarlo Rinaldo In risposta a: Gli inglesi si occupano della Brexit, gli europei di riformare l’Unione europea

    D’accordo sostanzialmente sulla analisi... ma con qualche distinguo.

    Anzitutto i problemi bisognarà inquadrarli nel nuovo contesto mondiale diversamente schierato in termini di globalizzazione:
     protezionisti: Usa, Inghilterra, Russia, Turchia, Ungheria ecc
     globalisti: Cina, UE, Canada, Giappone.

    Bisognerà allora che l’UE
     si schieri politicamente con Cina e Ucraina;
     si decida per un comune esercito europeo;
     si dia una legge che vincoli i partiti europei al rispetto dei valori dell’Unione (compresi la solidarietà interna e l’accettazione dell’euro) e a garanzie democratiche al loro interno... per marginalizzare i partiti populisti;
     si avvii entro fine anno alla revisione dei trattati sull’eurozona... e a chi non ci sta (paesi Visengrad o altri) indicare la via di uscita (art. 50 Trattato della UE). Trattati che eliminino nelle istituzioni il voto all’unanimità. L’ideale sarebbe che l’eurozona si configuri come Stati Uniti di Eŭropa con istituzioni federali ed operi congiuntamente nella attuale UE, marginalizzando i paesi euroscettici.

    In Italia il più grande errore è stata la trasformazione buonista del PDS in PD: democratici devono essere tutti i partiti (populisti compresi!)... non può essere la democrazia la connotazione di un partito. Tanto più che tale visione origina dagli Usa: ma noi siamo in Eŭropa ove i partiti solidaristici non si identificano per il fatto di essere democratici. Allora è indispensabile una divisione consensuale in casa PD (comprese le proprietà) in modo che nasca:
     un partito laburista nuovo che accolga anche le sinistre radicali;
     lasciando ai democratici renziani il centro-sinistra moderato.

    Serve anche una legge che regoli le primarie in Italia:
     va anche bene l’elemosina (1€) per gli iscritti al partito, anche si si potrebbe portare ad almeno 2€;
     ma per i non iscritti al partito ci vuole una quota compresa fra i 5 e 10€ (orientativamente 1/3 delle quota di iscrizione): troppo comodo condizionare la vita altrui con l’elemosina!
     e che ripristini il finanziamento pubblico dei partiti, perchè i partiti sono una istituzione che va sostenuta ed incoraggiata, perchè senza i partiti l’alternativa è l’anarchismo diretto o strisciante.

    Scusate lo sfogo, Giancarlo Rinaldo di Padova

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