Di fronte alle sfide globali, a partire da quella climatica e pandemica, occorre – secondo Draghi - sviluppare l’idea strategica del “multilateralismo”, da attuare in tutti i campi. Solo così facendo può emergere un concetto condiviso di “interesse collettivo” del genere umano, rispetto al quale i singoli interessi particolari (settoriali o nazionali) possono parzialmente piegarsi o adattarsi per conseguire un interesse comune.
Il multilateralismo deve valere per il clima e allora occorre operare affinché i Paesi più restii ad abbandonare il carbone e il petrolio possano essere aiutati a seguire chi è all’avanguardia: un fondo globale di 100 miliardi l’anno per far decollare gli investimenti in energie alternative anche nei paesi in via di sviluppo può costituire un inizio di una solidarietà globale, come lo è stato il Recovery Plan per gli Europei.
Il multilateralismo deve valere per la sanità e allora occorre operare affinché l’obiettivo di vaccinare il 60% della popolazione mondiale entro il 2022 sia raggiunto. È già nell’agenda della Commissione europea una politica di vaccinazione da estendere rapidamente in Africa e in America Latina: sarebbe questo un primo e forte atto di una politica estera europea che considera l’umanità come una vera comunità di destino: politica europea e politica mondiale che si saldano.
Il multilateralismo vale già per l’accordo raggiunto sulla global minimum tax che consentirà una maggiore equità fiscale nella tassazione delle imprese (là dove si produce profitto anziché nei paradisi fiscali), il cui ricavato potrebbe essere utilizzato, ad esempio a livello globale, per finanziare i programmi di coesione sociale e territoriale nell’ambito della transizione energetica.
Il multilateralismo vale già per aver indicato l’obiettivo del contenimento del riscaldamento della terra entro 1,5 gradi per la metà del secolo, anche se manca l’indicazione dell’anno. Indicare una data è importante perché può mobilitare maggiormente l’impegno a rispettarla, ma non è di per sé sufficiente, basti vedere quante date “storiche” sono state disattese. Ciò che conta è la volontà politica di dare attuazione a tutti i passi necessari per avanzare verso l’obiettivo secondo una direzione condivisa: quella appunto del multilateralismo. L’appuntamento di Glasgow (COP26) sarà un primo banco di prova in tal senso. Per la riuscita della transizione energetica sarà molto importante la mobilitazione degli investimenti privati, la cui portata potrà essere infinitamente superiore a quella degli investimenti pubblici, grazie ad un effetto leva la cui dimensione sarà in funzione della credibilità che il “progetto” riscuote presso il mondo delle imprese e degli investitori. È una partita che è già iniziata e che ha visto le imprese più dinamiche e innovative procedere speditamente verso la loro “rigenerazione industriale” in termini di prodotti e processi produttivi: sono le imprese che – guarda caso – hanno resistito meglio alla pandemia e si stanno affermando meglio sui mercati internazionali. E che hanno spinto gli investitori (istituzionali e non) ad orientare le loro strategie in funzione dei nuovi criteri ambientali, sociali e di governance (ESG). E non è poco.
L’industria italiana presenta già positivi riscontri in tal senso. Occorre ora che vengano indicate scelte più precise sul mix di fonti energetiche sulle quali puntare per la transizione. E qui è chiaro che occorre una strategia europea comune, a partire dai paesi più industrializzati (e l’Italia rappresenta la seconda industria d’Europa) per poter poi giungere, con un approccio multilaterale (appunto) ad accordi globali sulle fonti energetiche da dismettere, da mantenere per la transizione e da promuovere nel lungo termine, per assicurare la carbon neutrality entro l’orizzonte temporale convenuto.
L’approccio multilaterale ai problemi comporta, infine, il fatto che gli Europei sono spinti a darsi una politica estera unica, se vogliono dialogare con le altre grandi aree del Mondo. Lo ha riconosciuto lo stesso Biden, nel bilaterale con Draghi, quando ha sottolineato “la solidità del legame transatlantico e l’utilità dello sviluppo di una difesa europea per la sicurezza di tutti in un rapporto di complementarità”. Dunque il riconoscimento dell’Unione Europea come “equal partner” con il quale condividere linee d’azione e responsabilità politica, nella lotta “contro gli autoritarismi, la corruzione e per promuovere il rispetto dei diritti umani”, per “dimostrare che le democrazie funzionano e possono produrre un nuovo modello economico”. Un monito ai sovranisti d’ogni latitudine. Il metodo del multilateralismo produce frutti su vari fronti.
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