Guidare auto elettriche in Europa: le sfide della mobilità green (2/2)

Parte due: Stazioni di ricarica

, di Corentin Delsard, tradotto da Benedetta Viola

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Guidare auto elettriche in Europa: le sfide della mobilità green (2/2)
Segnaletica di un punto di ricarica per auto elettriche Crediti fotografici: Pixabay

I veicoli elettrici (EV) hanno visto il loro mercato svilupparsi in modo significativo nel 2020. Tuttavia, tra i problemi venuti a galla in questa espansione, emerge una disparità nella distribuzione delle stazioni di ricarica disponibili in tutto il continente.

La posta in gioco è alta per una risposta ai problemi pratici relativi all’uso delle auto elettriche. Ad esempio, per ricaricare la batteria, esse necessitano di essere collegate. La creazione di una rete di stazioni di ricarica per veicoli elettrici è fondamentale per promuoverne l’uso. Oslo, la capitale del Paese europeo che ha maggiormente investito nello sviluppo dell’elettrico, punta a raggiungere le 8.000 stazioni nel 2025 -nel 2020 ne contava 400 per una città di circa 680.000 abitanti-. Questa iniziativa fa parte dell’obiettivo più ampio del governo norvegese di rendere il 100% delle vendite di veicoli esclusivamente elettrici entro il 2025.

Uno dei motivi principali per cui è importante sviluppare una rete di stazioni di ricarica è il supporto degli utenti di veicoli elettrici nei lunghi viaggi. La realizzazione di hub di ricarica rapida in Francia, ad esempio, «deve essere effettuata in un’ottica di copertura territoriale, garantendo nel contempo una gamma di utilizzi diversificati», secondo il ministro dei Trasporti francese, Jean-Baptiste Djebbari. Per questo lancio, è previsto un budget di 100 milioni di euro nel piano 2021-2022 di risanamento della rete autostradale e statale.

Si tratta anche di distribuire punti di ricarica nei centri urbani, soprattutto in prossimità di stazioni ferroviarie e aeroporti e questo è già il caso dei paesi scandinavi. Gli hub devono essere in grado di consentire la carica simultanea di un’ampia varietà di mezzi elettrici: ciò ha significato la messa a punto di strutture di ricarica più grandi in quelle aree.

Le normative europee consentono ai paesi di ricevere un sussidio fino al 40% dei costi di installazione. Tuttavia, è necessario soddisfare alcune condizioni affinché si possa accedere all’incentivo: le stazioni di ricarica devono offrire almeno quattro punti di ricarica rapida e quelle che offrono una potenza minima di 150 kW hanno la priorità per il finanziamento.

La questione degli standard

Quando si tratta di hub di ricarica per veicoli elettrici, vengono richiesti molti dettagli perché esiste una moltitudine di prese di corrente diverse, così come vi sono tecnologie di ricarica rapida di vario tipo, ognuna con le proprie spine. Questa mancanza di standardizzazione potrebbe persino diventare, a lungo termine, fonte di sfide economiche.

La presa di ricarica rapida più diffusa è lo standard CHAdeMO, nome commerciale di una tecnologia sviluppata da un consorzio giapponese (che comprende tra gli altri Nissan, Mitsubishi, Fuji Heavy Industries, Tokyo Electric Power Company e Toyota) negli ultimi quindici anni. È la tecnologia più diffusa nel continente europeo, con circa 16.000 terminali attivi alla fine del 2020, rispetto ai 2.755 del 2015. Ad esempio, i primi modelli di Renault Zoé (il veicolo elettrico più venduto in Europa) erano compatibili solo con questo tipo di presa. La seconda tecnologia più comune è uno standard europeo che prende il nome di CCS, ovvero Combined Charging System. Si tratta di uno standard di tecnologia di ricarica offerto dal 2012 grazie alla collaborazione di sette case automobilistiche, principalmente tedesche.

Dal 2014 la Direttiva Europea 2014/94/UE richiede, al momento della costruzione degli hub di ricarica rapida, l’installazione di almeno una presa basata sullo standard CCS. Questa iniziativa non impedisce l’installazione di stazioni di ricarica multistandard, sebbene conferisca al CCS il carattere di modello europeo preferenziale, con una chiara volontà di standardizzazione.

Interessi petroliferi

Gli investimenti delle compagnie petrolifere nella transizione energetica non sono un segreto. Si direbbe addirittura che il contributo delle compagnie allo sviluppo dei veicoli elettrici stia creando nuovi interessi finanziari in loro favore. L’esempio di Total permette di capire meglio la situazione: il noto gruppo francese mira a utilizzare una strategia «multi-energy» per mantenere il suo posto nel settore automobilistico e nella transizione elettrica. La multinazionale ha già annunciato un obiettivo di 150.000 punti di ricarica entro il 2025, mentre la sua rete è attualmente composta da 20.000 punti in cinque paesi (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania). Inoltre, gli obiettivi dell’azienda sono sorretti dal desiderio di anticipare le future tecnologie di ricarica; ciò si manifesta nella costruzione di centrali ad alta potenza che offrono fino a 175 kW.

La strategia di costruzione delle stazioni di ricarica Total può trarre vantaggio dalla sua forte presenza lungo le principali vie di traffico. La rete del gruppo francese continuerà a creare hub di ricarica urbani e stazioni di ricarica personali.

Tuttavia, la suddetta strategia causa un dilemma. Presentandosi come fornitori di energia per veicoli elettrici, i gruppi petroliferi potrebbero iniziare a essere visti come concorrenti dei tradizionali fornitori di elettricità domestica. Un aumento del numero di fornitori potrebbe causare fluttuazioni del prezzo corrente dell’energia elettrica, indipendentemente dalle fonti di energia utilizzate. Le attuali tariffe per kW al minuto in Francia, prima o poi, si scontreranno con la domanda dei distributori di un prezzo kW per potenza. In futuro, questo potrà portarci a un cambiamento nel prezzo dell’elettricità o addirittura a una differenziazione nei suoi usi (casa o auto)?

Il costo del roll-out

Oltre alle potenziali conseguenze sui costi dell’elettricità domestica, l’implementazione di ulteriori stazioni di ricarica richiede il collegamento alle reti di alimentazione elettrica esistenti. Poiché tale collegamento è costituito da cavi in ​​rame, il costo delle materie prime necessarie per realizzarli rende questo progetto molto ambizioso: più aumenta la domanda di stazioni di ricarica, più aumenterà la domanda di rame. Ad oggi, si stima che l’uomo ne abbia prodotto tra 800 milioni e un miliardo di tonnellate dall’inizio dell’estrazione. Sulla base degli attuali tassi di domanda, inclusi tutti i fabbisogni per la transizione energetica, le previsioni mostrano che dovremo produrre di nuovo la stessa quantità, ma questa volta in soli 30 anni.

Dall’altra parte dell’Atlantico, nella miniera cilena di Chuquicamata, 330.000 tonnellate di rame sono state raffinate e vendute nel 2019. La previsione per il 2020 era di 460.000 tonnellate, che sarebbe un record per la più grande miniera a cielo aperto della terra, pari a circa il 13% della riserva mondiale di rame. In questo business, che ha già sfigurato le montagne, la materia prima sta però iniziando a scarseggiare. Più i minatori scavano, meno metallo trovano.

Non c’è dubbio che il mercato dei veicoli elettrici sia fondamentale nell’era della transizione energetica. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che tutta la produzione di energia, motivata o meno a limitare le emissioni inquinanti, esercita un pesante tributo sugli ecosistemi e sul pianeta. Contemplare il significato della transizione energetica non significa che non si debba agire per rallentare il cambiamento climatico, ma non va certo dimenticata la realtà di sfruttamento delle risorse planetarie a scapito della biodiversità. Forse la transizione energetica dovrebbe andare nella direzione di rivedere i bisogni dell’uomo, piuttosto che nella sostituzione delle fonti di approvvigionamento.

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