I Balcani Occidentali: governi ostili e libertà limitate sfidano il sogno europeo

Un articolo della serie «La libertà di stampa in Europa nel 2020»

, di Théo Boucart, tradotto da Sara Pasciuto

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I Balcani Occidentali: governi ostili e libertà limitate sfidano il sogno europeo
Belgrado. Licenza Pixabay

Nonostante il loro desiderio di aderire all’Unione europea, i paesi dei Balcani occidentali (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, Albania, Kosovo e Macedonia settentrionale) occupano una posizione molto bassa nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere (RSF). Sebbene le situazioni differiscano tra uno stato e l’altro, la regione nel suo insieme vive una situazione di continua interferenza delle autorità nel giornalismo, di violenza impunita nei confronti dei giornalisti, di influenza esercitata dalle divisioni etniche all’interno dei servizi dei media.

Nonostante il loro desiderio di aderire all’Unione europea, i paesi dei Balcani occidentali (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, Albania, Kosovo e Macedonia settentrionale) occupano una posizione molto bassa nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere (RSF). Sebbene le situazioni differiscano tra uno stato e l’altro, la regione nel suo insieme vive una situazione di continua interferenza delle autorità nel giornalismo, di violenza impunita nei confronti dei giornalisti, di influenza esercitata dalle divisioni etniche all’interno dei servizi dei media.

«Sebbene molto sia cambiato nei Balcani occidentali dalla fine delle guerre jugoslave, le vecchie abitudini e gli atteggiamenti ostili del governo nei confronti dei media sono duri a morire». Ecco come il rapporto di Human Rights Watch sintetizza la difficile situazione per la stampa nei Balcani occidentali. È un dato di fatto, la stagnazione della regione nelle classifiche di libertà di stampa di RSF è evidente da anni. La Bosnia-Erzegovina occupa la 63a posizione, seguita da Kosovo (70°), Albania (84°), Serbia (90°), Macedonia del Nord (92°) e Montenegro (105°). In confronto, il suo vicino orientale e Stato membro dell’UE, la Bulgaria, occupa la 111a posizione.

Nonostante la comune preoccupazione, ogni singolo paese deve affrontare la propria situazione nella sua unicità. È forse più preoccupante ciò che accade in Serbia: dall’ascesa al potere di Aleksandar Vučić (prima come primo ministro, poi come presidente), la libertà di stampa viene costantemente minacciata. Nel 2016, il paese era ancora al 63° posto. Tuttavia, in un clima politico fortemente ostile nei confronti dei giornalisti, le autorità di Belgrado tollerano - e addirittura incoraggiano - la diffusione di informazioni false.

La Macedonia del Nord, d’altra parte, può essere considerata la «storia di successo» della regione: nonostante un clima politico teso, negli ultimi anni il paese ha visto una drastica riduzione del numero di aggressioni contro i giornalisti, grazie a un cambio di governo e all’attuazione di nuove misure orientate alla loro tutela. Le forti tensioni etniche all’interno del Kosovo inoltre non hanno impedito al paese di salire di ben 20 posizioni tra il 2016 e il 2020. L’Albania ha invece visto l’effetto opposto, salendo dal 102° posto nel 2013 al 75° nel 2018, prima di perdere nove posizioni nei due anni successivi.

Tuttavia, la cultura della violenza e dell’impunità è sostanzialmente la stessa in tutta la regione. Nonostante i casi di molestie e aggressioni - a volte violente - giornalisti e reporter continuano a indagare su problematiche di grande sensibilità per l’élite economica e politica, mentre i pubblici ministeri fanno ben poco per perseguire i colpevoli. In particolare in Montenegro, tra i paesi più inospitali per i giornalisti, le autorità hanno attivamente esercitato pressioni sui media con il pretesto di combattere la diffusione di fake news. Una strategia utilizzata anche dai loro vicini albanesi.

La concentrazione e la mancanza di differenziazione tra i media, così come la collusione presente all’interno di varie sfere della politica e dell’economia, servono solo ad aggravare una situazione già tesa.

La pandemia di Coronavirus ha ancora una volta messo in evidenza la vulnerabilità delle persone davanti alle fake news, diffuse, tra l’altro, da troll russi o cinesi, che approfittano della presunta incapacità dell’UE di proteggersi, sottolineando anche quanto poco questa presti attenzione ai Balcani occidentali. Le tensioni etniche, in gran parte ereditate dalle guerre jugoslave, sono ancora molto persistenti e influenzano ampiamente i media in Bosnia-Erzegovina e in Kosovo, due paesi che hanno particolarmente sofferto durante gli anni ’90. RSF riferisce inoltre che i media sono spesso divisi per lingua (serbo e albanese) o religione (cristianesimo ortodosso e islam). La Republika Srpska a maggioranza serba, parte della Bosnia ed Erzegovina, resta una zona realmente inaccessibile per giornalisti. A destare maggiore preoccupazione è il fatto che coloro che indagano sui crimini di guerra siano spesso vittime di minacce ricorrenti, pagando un prezzo altissimo - la scomparsa di circa 10 giornalisti durante la guerra del Kosovo resta un caso tuttora irrisolto.

Le future adesioni all’Unione europea dei paesi dei Balcani occidentali rappresentano una vera sfida per l’UE. Ursula von der Leyen afferma che la libertà di stampa per lei rappresenta una priorità e l’azione delle istituzioni europee ha il compito di riflettere tale priorità chiedendo un miglioramento significativo del panorama dei media e delle condizioni di lavoro dei giornalisti, in particolare in Albania e nella Macedonia settentrionale, due paesi con i quali l’UE ha avviato i negoziati. Se la Commissione europea vuole finanziare iniziative nella regione volte a promuovere il pluralismo dei media, in particolare nel contesto del Fondo europeo per la democrazia (FED) o di programmi di formazione regionali con l’obiettivo di migliorare la qualità e la professionalità nell’ambito del giornalismo, deve mostrare maggiore impegno nel condannare gli abusi contro i giornalisti e la stampa.

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