Il bicchiere mezzo pieno

, di Fabio Masini

Il bicchiere mezzo pieno

Le recenti dichiarazioni di Olaf Scholz, il Ministro delle Finanze tedesco, a favore di una maggiore unione bancaria in Europa, che includa uno schema unico di assicurazione sui depositi, hanno fatto riaccendere le speranze di chi crede che un cambiamento radicale nell’atteggiamento della Germania e dell’Europa a favore di una maggiore solidarietà sia possibile, oltre che urgentemente necessario. L’unione bancaria, il primo passo indicato già nel dicembre 2012 dal Documento dei Quattro Presidenti per rafforzare l’Unione Europea (al quale dovrebbero seguire l’unione fiscale, quella economica e quella politica) è in una situazione di stallo (o di scarsi avanzamenti) da ormai parecchio tempo. La sveglia di Scholz potrebbe aiutare a far uscire dall’impasse.

Personalmente mi trovo, purtroppo, fra coloro che nutrono maggiore scetticismo. La mossa di Scholz è, innegabilmente, rilevante sotto il profilo politico: sia interno sia esterno. Internamente, per verificare la tenuta della Grosse Koalition e per smussare gli angoli a tensioni sul mercato che interessano per prime proprio le maggiori banche tedesche. Esternamente, perché segnala ai colleghi degli altri governi la nuova disponibilità della Germania ad abbandonare alcune delle sue rigidità per venire incontro alle richieste degli altri paesi e dei cittadini. Pur contenendo clausole (eccessivamente) rigorose sulla capitalizzazione delle banche e sulla valutazione dei crediti deteriorati (cose peraltro di cui il cittadino medio non sa nulla), l’impatto sull’opinione pubblica può risultare positivo, soprattutto nei paesi con sistemi bancari più fragili, nei quali i risparmiatori possono temere di perdere la loro liquidità se garantita unicamente a livello nazionale da sistemi economico-finanziari già in forte difficoltà.

Ma veniamo alle criticità. Intanto, non si tratta di un vero e proprio meccanismo/fondo unico di assicurazione sui depositi, ma di un meccanismo di riassicurazione: in soldoni, sono sempre i fondi nazionali a garantire i conti correnti in caso di default, ma se neanche il paese riesce ad intervenire, subentra il fondo europeo. Il che, se spiegato con malizia all’opinione pubblica (e siamo sicuri che qualcuno approfitterà della ghiotta occasione), potrebbe anche non sortire l’effetto di far capire che l’Europa fornisce servizi essenziali alla nostra quotidianità.

Inoltre, rischia di essere una concessione sostanzialmente inutile. Primo, perché ha già attirato le ire di gran parte della stampa e dell’opinione pubblica tedesche, rischiando di mettere a repentaglio la loro disponibilità a mettere in discussione partite ben più serie ed importanti. Inoltre, in un quadro negoziale (quello sulla riforma/approfondimento della governance economica e politica europea) in cui ben altre sono le rivendicazioni da avanzare, concedere la (ri)assicurazione unica sui depositi equivale ad atterrare all’aeroporto di Katmandu (non dico raggiungere il campo base) quando si intenda scalare l’Everest. Il rischio è quello che, per avere la riassicurazione sui depositi, altri paesi debbano accettare ulteriori strette sui criteri di capitalizzazione in un settore, quello bancario europeo, già penalizzato da minore capacità innovativa, minori economie di scala e maggiore regolamentazione rispetto a quello statunitense.

La strada maestra è quella di un bilancio comune europeo, legittimato da un Ministro delle Finanze Europeo incardinato alla Vice-Presidenza della Commissione, che risponda direttamente al Parlamento Europeo; ampliato e dotato di risorse proprie, sganciate dalla logica perversa dei contributi nazionali. Un bilancio destinato alla stabilizzazione del ciclo, in grado di finanziare beni pubblici europei anche ricorrendo all’emissione di titoli (europei) a basso rischio. Un bilancio trasparente nelle entrate e soprattutto in grado di collegare le uscite alle grandi esigenze condivise dei cittadini europei: infrastrutture di comunicazione e trasporto, transizione ecologica, innovazione, ricerca ed alta formazione, etc. Il tutto nel quadro di una revisione a medio termine del quadro costituzionale, orientato a costruire una genuina democrazia multi-livello. Tutto il resto sono delle semplici mosse tattiche. E i cittadini europei hanno già ampiamente segnalato come non intendano indulgere oltre nell’attesa di soluzioni concrete ai loro svariati, diversi, ma spesso condivisi, problemi. Nella consapevolezza diffusa che, se le risposte fossero sovranazionali, sarebbero più efficaci, meno dispendiose e meno conflittuali. Ma che in mancanza di una risposta sovranazionale, sono disposti a tornare ad un nazionalismo (strumentale alla soddisfazione di legittimi bisogni) che, per quanto antistorico ed estremamente rischioso, è difficile non comprendere.

Quando Germania, e Francia, smetteranno di lanciare altisonanti proclami in favore di una maggiore integrazione ed avvieranno (magari sommessamente) la concreta ristrutturazione di un sistema istituzionale e di competenze palesemente inefficiente, sia verso i cittadini europei, sia come attore globale, potremo iniziare a vedere il bicchiere mezzo pieno. Fino ad allora, suggerirei di considerarlo mezzo vuoto.

Fonte immagine: Flickr.

Articolo pubblicato sul blog di «Formiche» curato dall’autore.

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