Il topos tragicamente ironico di una storia destinata a ripetersi è da secoli argomento di confronto per pensatori e filosofi, con le sue implicazioni politiche e metafisiche. Tuttavia, il ripetersi di un episodio identico all’assalto al Congresso statunitense del 6 gennaio 2021 a due anni esatti di distanza dona a questo concetto astratto una concretezza disarmante.
Il 6 gennaio 2021 i sostenitori del Presidente uscente Donald Trump, il quale aveva rifiutato di accettare la sconfitta millantando presunti e mai verificati brogli, prendevano d’assalto il Congresso, sbaragliando la scarsa resistenza offerta dalle forze dell’ordine e penetrando nel luogo simbolo del potere politico e della democrazia in America e nel mondo. L’attacco, rinominato dai media americani come “Capitol Attack”, causò la morte di cinque persone e il ferimento di un centinaio di altre ed è stata interpretata da molti commentatori e da una commissione del Senato statunitense come un vero e proprio tentativo di colpo di Stato.
A distanza di due anni, a Brasilia assistiamo a una scena se non identica per il contesto - con il Presidente già insediato ma lontano dal suo palazzo - quantomeno affine per la potenza simbolica delle immagini dei manifestanti che penetrano nei luoghi del potere armati dei numeri (diverse migliaia secondo il Guardian) delle spranghe e delle bandiere verdeoro, riportano simbolicamente il popolo nei luoghi del potere, nelle Istituzioni esautorate da “forze esogene” che i manifestanti osteggiano fortemente.
Allo stesso modo di Trump, Bolsonaro ha rifiutato di accettare la sconfitta elettorale, e se - a differenza di Trump - non ha parlato esplicitamente di brogli, limitandosi a suggerirne l’esistenza, è difficile non comparare la sua narrazione a quella della “stolen election” trumpiana. Come per Trump, si assiste a un rigetto del sistema democratico quando i risultati elettorali sono avversi alla propria parte.
Tale narrazione sembra ricalcare la normale opposizione auspicabile nel contesto pluralistico della democrazia rappresentativa, ma si distanzia da questa nel non contestare esclusivamente gli argomenti dei propri avversari, rinnegandone la legittimità a priori. Una narrazione organica allo stile comunicativo dell’amministrazione Trump - basata sulla costante delegittimazione a priori dei propri oppositori - ben rappresentata da due momenti. Il primo è l’espressione “alternative facts” utilizzata dalla segretaria alla comunicazione Kellyanne Conway, il secondo il rifiuto di Trump di rispondere ad un giornalista CNN, apostrofandolo come diffusore di fake news. Si tratta, in sostanza, di un rifiuto di verità discostanti dalla propria narrazione. Non a caso, ritrovandosi il suo popolarissimo account Twitter sospeso a seguito dell’attacco al Congresso, Trump ha creato un suo social network dove poter esprimere liberamente i suoi “alternative facts” e ha deciso di chiamarlo “Truth”: verità. Questa strategia comunicativa non è casuale, ed è stata ampiamente associata ad un termine di recente popolarità: gaslighting.
Gaslighting è stata selezionata come parola dell’anno 2022 dal dizionario americano Merriam-Webster, che la definisce come “manipolazione psicologica di una persona [...] la quale porta la vittima a dubitare della validità dei propri pensieri e della propria percezione della realtà, provocando inoltre perdita di autostima, incertezza riguardo alla propria stabilità mentale e dipendenza nei confronti di chi la perpetra”. Tale espressione, della quale fa originariamente uso la psicologia nello studio di casi di abusi domestici e relazionali, è sempre più popolare tra sociologi, politologi e commentatori che la applicano precisamente a questo stile comunicativo.
Gli studiosi reputano potenzialmente pericoloso il gaslighting proprio perché la relazione di dipendenza prodotta dal gaslighting si traduca in termini politici in una totale mancanza di “accountability” - ossia del dovere di rendere conto al proprio elettorato da parte dei politici - fondamentale in ogni democrazia e particolarmente sentita negli Stati Uniti. Un’ulteriore effetto è inoltre quello di radicalizzare il dibattito rendendo sempre più difficile un compromesso con un avversario politico al quale si nega interamente la possibilità di opporsi alle proprie istanze
Tuttavia, come reso evidente da questo secondo inquietante assalto alle Istituzioni di un Paese democratico, la caratteristica più pericolosa del gaslighting è la tendenza sovversivo-totalitaria in esso insita. Conseguenza evidente di un seguito politico acriticamente dipendente dal proprio leader, e del rifiuto di accettare qualsiasi altra narrazione. Questo si traduce in una volontà di imporre la propria narrazione, ovvero di imporsi sugli altri anche a livello pratico-politico. È difficile sostenere che tra i toni violenti e sobillatori di Trump e la violenza dell’attacco al congresso americano non ci siano legami, e lo stesso si può dire di quanto successo in Brasile. Difficile inoltre non pensare all’operazione speciale e alla strategia comunicativa di Putin, basata sul bollare qualsiasi prova di violazioni e violenze commesse dalle truppe russe come fake news e manipolazioni occidentali.
Proprio i legami più o meno evidenti tra i tre leader, tra i diversi partiti della destra Europea, oltre che con la “democrazia illiberale” di Orban, devono preoccupare gli europei sulle possibili applicazioni di questa strategia anche in Europa. Diversamente dalla “censura controllata” (sperimentata dalle piattaforme social durante la pandemia per arginare l’effetto delle notizie false), sarà necessario pensare a soluzioni che non porgano il fianco a derive autoritarie e accentratrici.
Condizione imprescindibile per la sopravvivenza della democrazia, in Europa e nel resto del mondo, sarà infatti la comprensione da parte di chi vorrà tutelarla, che il campo di battaglia, in un tempo di informazioni ad alta velocità, sarà proprio epistemico. Ci si troverà quindi davanti alla necessità di circoscrivere la forma di un potere che non è squisitamente giudiziario, esecutivo o legislativo: quello di decidere cosa è verità e cosa non lo è.
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