Il leon ha vinto in Argentina (ma con l’aiuto del gato e del pato), vediamo com’è andata

, di Lorenzo Cervi

Il leon ha vinto in Argentina (ma con l'aiuto del gato e del pato), vediamo com'è andata
Prensa del Senado de la Nación Argentina., Public domain, via Wikimedia Commons

Le elezioni presidenziali in Argentina, al ballottaggio, hanno premiato Javier Milei, «El Leon» come è stato soprannominato dai media argentini. Scopriamo chi è l’autodefinito anarco-capitalista e come è arrivato a occupare l’alta poltrona della Casa Rosada.

“El Leon” è il nome che i media argentini hanno dato a Javier Milei, per il carattere aggressivo e per il taglio di capelli eccentrico che ricorda la criniera di un leone. Milei è un politico ed economista di estrema destra argentino (autodefinito anarco-capitalista) che ha appena vinto la poltrona presidenziale alla Casa Rosada.

Lo scettro presidenziale a Milei

14.554.602. Sono i voti che Milei ha preso nel secondo turno presidenziale di domenica 19 novembre. Un risultato che mette in crisi gli analisti politici argentini ma non solo. Da una parte è una vittoria imprevista, soprattutto nella portata (quasi il 60%), ma allo stesso tempo prevedibile dato l’endorsement della terza arrivata al primo turno, la liberale conservatrice Patrizia Bullrich (soprannominata “el pato”, forse per la voce squillante). Allo stesso tempo senza dimenticare anche l’appoggio dell’ex Presidente Mauricio Macri (chiamato “el gato”, per lo sguardo felino).

L’altro pretendente, però sconfitto, è il peronista (moderato) Sergio Massa. Dopo il primo turno dove si era attestato primo con il 36%, non ha avuto alcun appoggio dagli altri candidati, ma un semplice (che ricorda molto l’ambiguità di Mélenchon in Francia riguardo l’appoggio o meno a Macron): “Sicuramente non voterò per Milei”. Che comunque sì è un appoggio indiretto, ma a Massa servivano almeno il doppio dei voti che aveva preso, impossibili da colmare sia per la mancanza di endorsement che per la forte polarizzazione che caratterizza l’Argentina.

Ma chi è Milei e per cosa si è candidato?

Javier Milei è un economista ultra liberista e conservatore, molto controverso ed esuberante agli occhi di molti. Ha il mito di Friedman, dal quale ha ereditato la lotta contro l’inflazione e l’odio verso la banca centrale (che vuole abolire), ma anche di Margaret Thatcher, a cui a molti questa cosa non è andata giù, tanto che i veterani della guerra delle Islas Malvinas (nome argentino delle Falkland) hanno pubblicamente affermato che non avrebbero votato per lui ma per Massa, “per difendere un’Argentina sovrana”.

Un dei tanti aspetti controversi è la proposta cardine del programma economico di Milei: la dollarizzazione. Ovvero la sostituzione della moneta nazionale (il peso argentino) con il dollaro USA, come avviene già in Ecuador, El Salvador, Liberia, Panama, Zimbabwe e Timor Est. In pratica per mettere un freno all’inflazione sempre più crescente e assicurare i mercati. Nella teoria potrebbe pure funzionare, nella pratica però potrebbe trovare degli intoppi; soprattutto perchè l’Argentina, nonostante l’instabilità finanziaria, è uno dei paesi più industrializzati del Sud America e molto intrecciato per interessi economici e geopolitici con la Cina (che fino ad oggi sta convertendo in yuan la valuta nella banca centrale e quasi l’intero debito pubblico) e in paesi del BRICS in generale. Quindi diciamo che l’Argentina si trova in una situazione un po differente rispetto ad Ecuador o Liberia.

Ulteriore passaggio molto controverso, che rasenta il negazionismo della memoria collettiva, è la frase che Milei ha pronunciato durante il dibattito presidenziale del 12 novembre. Durante il quale gli fu chiesto di condannare apertamente la dittature della Junta militare del dittatore Videla e ciò che successe ai desaparecidos. Milei, dopo una dichiarazione raffazzonata, esordì dicendo che comunque non furono 30.000 i desaparecidos ma “solo” poco più di 3.000. Questa affermazione, non nuova da parte della destra argentina, ha fatto insorgere «las madres y abuelas de plaza de mayo”, che da oltre 40 anni lottano per “memoria, verdad y giustitia» per i desaparecidos e tutto ciò che successe durante la dittatura argentina dal 1976 al 1983.

Sicuramente la scelta di Victoria Villarruel come Vice-Presidente non ha aiutato il rapporto con l’anima gravemente ferita dell’Argentina che ha patito la dittatura. Villarruel è figlia di una famiglia militare importante, inserita culturalmente nella difesa senza critica all’apparato militare e conservatore del paese, tanto da mettere in dubbio la veridicità dei desaparecidos (facendo eco a Milei). Su Villarruel pende ancora una controversia sulla sua interpretazione della storia recente argentina e un ambiguo rapporto con gli ex militari golpisti durante e dopo la Guerra Sucia ed il Processo di Riorganizzazione Nazionale, compresa la dittatura militare scaturita da questa.

Come governerà Milei?

Il 22 ottobre, con il primo turno presidenziale, si sono svolte le elezioni per il Congresso Nazionale: ⅓ del Senato e metà della Camera. Queste elezioni hanno visto una lieve maggiornaza al Senato, per pochi seggi, ai peronisti e invece alla Camera una maggioranza di destra (sommando La Libertad Avanza di Milei e Junto per el Cambio di Bullrich e Macri). Questo dà forza alla governabilità di Milei, quindi alla sua stabilità, evitando l’uso di decreti d’emergenza (che però non sono comunque scontati) per far approvare le proprie leggi. Soprattutto perché si appellerà al risultato inequivocabile delle elezioni presidenziali per fare pressione sui partiti nel Congresso.

Sicuramente però una spina nel fianco di Milei e della sua maggioranza è la capacità organizzativa e politicamente militante dello spazio politico peronista (che va dal Partito Giustizialista ai partiti satelliti, dal sindacato all’associazionismo militante), che con la possibile guida dell’incontrastata Cristina Fernandez de Kirchner farà sicuramente molto rumore.

Cosa dicono i peronisti

Sergio Massa non ce l’ha fatta, con 11.598.681 voti (44%) e poche provincie vinte rispetto al primo turno. Il 19 novembre ha guadagnato poco più di un milione e settecentomila voti, questo vuol dire che molto probabilmente Massa è riuscito ad intercettare solo l’elettorato di Juan Schiaretti (peronista centrista arrivato quarto al primo turno), senza sfondare elettorato moderato e liberale di Junto por el cambio di Macri e Bullrich (troppo galvanizzati dalla possibilità di tornare al governo).

Lo spazio politico peronista sta ancora accusando il colpo, anche se non lo dà a vedere. Continui proclami, da parte dei dirigenti, di unità e riconoscimento legittimo della vittoria dell’ultra destra, cercando di placare gli animi da un eventuale caccia al responsabile della sconfitta. Massa è uscito di scena e Cristina Kirchner si è più volte fatta sentire, attraverso canali personali o interviste, mantenendo un tono pacato nei confronti degli avversari ma cercando di mantenere un forte legame con il mondo peronista attualmente in crisi. Questo atteggiamento sicuramente è dovuto al passaggio di consegne e alla tradizionale "transizione di poteri”, in cui si cerca di evitare polemiche e scontri politici.

Alberto Fernandez, Presidente argentino uscente, è apparso come una figura molto sola di fronte agli ultimi eventi, per nulla sostenuto dal suo partito (di cui è ancora formalmente leader), facendosi sentire solamente durante il consueto saluto e congedo con il personale della Casa Rosada [1].

La coalizione peronista, kirchnerista e di centrosinistra ha perso soprattutto per la mala gestione dell’economia del paese, con una popolazione stremata dall’inflazione sempre più crescente (oggi oltre il 140%).

E’ stata proprio l’inflazione alle stelle, con la povertà e il caro dei consumi che ha generato, ad aver spinto i cittadini argentini a votare “il meno peggio” (opinabile il fatto che Milei sia visto come il meno peggio) pur di uscire da questa situazione straziante. La situazione conomica e sociale nella quale vive il popolo argentino ha vinto sui valori ed il carico simbolico nella scelta del Presidente.

Alla domanda “come si spiega il fenomeno Milei?” fatta a Pepe Mujica (ex Presidente dell’ Uruguay e ancora punto di riferimento dei progressisti del Sud America), lui ha risposto: “si spiega con il fatto che il popolo più colto d’Europa, che viveva nella Repubblica di Weimar (sott. quello tedesco), fu capace di votare Hitler. Perché il popolo quando ha una iperinflazione che lo castiga è disposto a "prenderse un fierro caliente” (prendere un pezzo di ferro bollente).

L’elezione di Milei ci deve far ragionare, non solo come specchio di quello che si muove, anche velatamente, in sud america, ma per il mondo. Un populismo strisciante che riesce a fare dei problemi la sua ragion d’essere, scavando le grandi questioni valoriali o i principi e la memoria collettiva che ha costruito una democrazia.

Il futuro Governo Milei

Per vedere le prime mosse da Presidente per Milei, bisogna aspettare dopo il 10 dicembre, la data dell’insediamento ufficiale, con tanto di cerimonia al Congresso Nazionale e passaggio di consegne tra l’attuale Presidenza e la nuova. Insediamento da cui si può intuire il futuro clima politico del paese, ad esempio è noto l’insediamento “rumoroso” del 2019 di Fernandez e Kirchner

Il Governo anarco-capitalista-liberatrio è stato già composto: 8 ministeri molto “snelli” (rispetto ai 20 precedenti), ma non si sa bene nella sostanza, essendo le principali materie di governo soppresse o suddivise. I ministeri sono : Difesa, Infrastrutture, Economia, Giustizia Interni, Esteri, Sicurezza e Capitale Umano [2] Ridotti all’osso nelle competenze e nelle risorse, anche in vista dell’annunciato drastico taglio alla spesa pubblica.

Sei ministeri sono guidati dal partito di Milei (la Libertad Avanza), uno da Patricia Bullrich [3] (liberale securitaria de la Propuesta Repubblicana) e un altro dal candidato vice di Bullrich ovvero Luis Petri [4] (socioliberale dell’Union Civica Radical).

Una cosa sicuramente la sappiamo: quello di Milei è un governo eletto da una forte spinta populista, nato dalla mancanza di vedute del governo peronista e dal supporto dell’establishment liberale di Macri. Come ha detto Alastair Campbell [5]: “il populismo è una politica che cerca di sfruttare piuttosto che risolvere i problemi e trasformare qualsiasi questione, banale o seria, in un esercizio di polarizzazione”.

Javier Milei, dato il risultato schiacciante sul peronismo e dall’appoggio di vari attori internazionali vicini a posizioni conservatrici, sfrutterà questo momentum ottimale in tutti i modi, bisogna però vedere se porterà avanti tutte le proposte da “picconatore” che ha espresso nell’infuocata campagna elettorale.

Certo però che a quarant’anni dalla ricostruzione della democrazia argentina, proprio il 10 di dicembre, rinata dopo la dittatura militare, avere un Presidente e una Vice che non riconoscono i delitti del golpisti del ‘76 e mettono in dubbio i numeri dei desaparecidos, fa riflettere sul rapporto che i cittadini hanno con la democrazia e la propria memoria.

Ancora una volta dal tormentato e complesso mondo sudamericano arriva una lezione da ricordare: quanto ancora oggi, negli anni venti del duemila, la questione sociale ed economica è una leva di decisione, che non sembra uno spettro del ‘900 ma una questione ancora preminente, dove pare che alle volte i valori o i principi vengono meno rispetto “al vuoto delle proprie tasche”.

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Note

[1Sede del potere esecutivo e ufficio del Presidente della Repubblica Argentina, situata a Buenos Aires di fronte al Plaza de Mayo.

[2Sono stati soppressi tutti i “tradizionali” Ministri, come: istruzione, sanità, lavoro, ambiente, pari opportunità o cultura.

[3Patricia Bullrich ha avuto il Ministero della Sicurezza, di cui sono note le posizioni fortemente securitarie.

[4Luis Petri ha avuto il Ministero della Difesa.

[5Alastair Campbell, giornalista e conduttore radiofonico, famoso per essere stato portavoce e spin doctor di Tony Blair.

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