Lo spettro di una possibile crisi di governo si era già diffuso subito dopo le elezioni europee. Le ultime elezioni hanno dato segnali positivi quali una maggiore partecipazione al voto e una netta affermazione del fronte pro-europeo pur se con le notevoli eccezioni del Regno Unito e dell’Italia dove i partiti nazionalisti sono stati di gran lunga preferiti rispetto agli altri. Inoltre il netto calo di consensi subito dal partito di maggioranza relativa in parlamento, il Movimento 5 Stelle, faceva supporre la fine dell’esperimento gialloverde.
Le acque però non si sono mosse fino all’8 agosto quando si è, invece, scatenato un uragano. Il leader della lega e vicepresidente de Consiglio, Matteo Salvini ha dichiarato chiusa l’esperienza di governo sostenendo che per superare l’immobilismo della politica fosse necessario indire immediatamente nuove elezioni in modo che i cittadini avessero la possibilità di concedergli “pieni poteri”. Quest’affermazione è stata interpretata indubbiamente come un pericoloso attacco alla democrazia perché ignora che essa è fondata sull’equilibrio di due principi: uno popolare (l’espressione del consenso: elezioni, referendum e tutti gli strumenti che consentono all’elettorato e ai cittadini di pronunciarsi direttamente) e uno liberale (gli equilibri istituzionali, la presenza di corpi intermedi e di un sistema governo gestito da qualche centinaio di individui, i media). Uno non può esistere senza l’altro. Il fatto che un esponente politico di primo piano trascuri questo principio rende più fragile l’impianto democratico, esacerbando la frattura tra popolo e istituzioni.
L’improvvisa crisi di governo ha rappresentato inoltre una scelta dai riflessi minacciosi anche per la stabilità finanziaria dello stato ed è stato questo anche il motivo per cui in settant’anni di repubblica non si era mai aperta una crisi di governo a fine estate. Il motivo è che in questa parte dell’anno si avvia l’iter perla stesura della legge di bilancio per l’anno successivo, fondamentale per il funzionamento di uno stato democratico, perché definisce la raccolta e lo stanziamento delle risorse finanziarie. La celebrazione di elezioni alla fine dell’anno (uno dei possibili esiti di una crisi di governo) espone al rischio che non esista un governo nel pieno dei poteri che possa presentare la legge di bilancio al Parlamento o, in assenza di essa, gestire l’esercizio provvisorio (che rappresenta comunque uno scenario negativo perché lo Stato mostra agli investitori di non essere affidabile).
Nonostante il momento inopportuno e la conseguente ristrettezza dei tempi, la vita democratica ha continuato ad essere scandita seguendo le procedure istituzionali, garantite dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti e il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi di Maio hanno raggiunto un accordo per la formazione di un governo: un accordo fondato su un programma condiviso, non su un “contratto” assemblato mediante la giustapposizione delle promesse elettorali di due forze politiche come era stato per il governo precedente. Naturalmente la nuova maggioranza si è formata all’interno del Parlamento, non corrisponde a nessuna delle coalizioni che si sono presentate alle elezioni politiche del 2018. La possibilità che si verifichi questo scenario fa parte di quegli elementi liberali che controbilanciano la sovranità popolare. Infatti, una volta che i cittadini eleggono i loro rappresentanti in parlamento, è responsabilità di questi ultimi dare un governo al Paese.
Tuttavia, a parte la legittimità costituzionale, la formazione di maggioranze diverse nella stessa legislatura può porre una questione di opportunità politica. Il tortuoso percorso per la formazione del nuovo governo è stato ravvivato dalla necessità che le due forze politiche sentivano di arginare le forze nazionaliste, che con ogni probabilità avrebbero conquistato una netta maggioranza in caso di elezioni. Sarà comunque compito degli elettori giudicare questa scelta che – è forse superfluo sottolinearlo – non può essere ridotta ad un tentativo dei parlamentari di conservare lo scranno e lo stipendio. Infatti nei 14 mesi precedenti l’Italia aveva imboccato una direzione che la stava portando verso un sempre maggiore isolamento. Le posizioni e le dichiarazioni del governo gialloverde ostili alle istituzioni europee e all’idea stessa di Europa unita, ben lungi dal ridare lustro e prestigio al nostro paese, lo relegavano sempre più ad un ruolo marginale. Le minacce di uscire dall’euro, una linea di politica estera in contrasto con quella europea (sono emblematici i casi di Venezuela e ‘Via della Seta’)e una politica fiscale sotto certi aspetti irresponsabile non potevano essere un ‘arma negoziale per ricevere benefici dall’Europa per due semplici motivi: in primo luogo la politica a livello europeo è in gran parte decisa dagli Stati membri all’unanimità e, quindi, un paese che si pone in una posizione di contrasto causa solo un blocco del processo decisionale, in secondo luogo la dimensione dell’Italia la rende inadeguata per assolvere un qualche ruolo di peso nello scacchiere globale. Questa posizione assunta dal governo italiano, oltre ad essere velleitaria e anacronistica (è utile il confronto con la Gran Bretagna che, con la Brexit, sta cercando di allontanarsi dall’UE con esiti disastrosi), stravolgeva il ruolo che l’Italia ha sempre avuto in Europa. L’Italia è la patria della idea moderna dell’unità europea teorizzata da Altiero Spinelli e da altri suoi compagni condannati al confino dal regime fascista sull’isola di Ventotene, che sosteneva la necessità di una unione politica degli Stati europei, laddove la mera cooperazione internazionale non aveva potuto impedire il massacro della Seconda Guerra Mondiale. L’unità tra gli stati europei sarebbe stata l’unica via per l’apertura di un percorso progressista nel campo politico perché ormai la linea di divisione fra spinte reazionarie da un lato e progressiste dall’altro ormai cade tra una concezione della lotta politica come la conquista e affermazione del potere nazionale e la costruzione di un progetto che si ponga come obiettivo la creazione di un forte stato internazionale.
L’isolamento italiano (autoimposto) rischiava di far deragliare qualsiasi tentativo di riforma dell’Unione europea; in particolare le proposte di Macron, che ha il merito di essere l’unico Capo di Stato che ha questo obiettivo, non trovavano, oltre ad un timidissimo avallo della Germania, l’appoggio fondamentale di un Paese fondatore come l’Italia per superare lo status quo. Fortunatamente gli attori politici italiani si sono mossi dal loro torpore e, approfittando dell’errore tattico di Salvini, hanno imposto una svolta alla linea autolesionista del governo uscente. In questo modo l’Italia, uscita dall’isolamento in cui si stava confinando, è rientrata a pieno titolo nel consesso delle Nazioni europee che vedono nel presidente Conte e in Paolo Gentiloni, neo commissario europeo per gli Affari Economici, dei validi interlocutori. Siamo appena usciti da un periodo travagliato, abbiamo visto l’orlo del baratro che per adesso sembra che sia stato evitato. Tuttavia non devono essere trascurati gli aspetti problematici del neonato governo soprattutto a causa delle molte diversità e dai molti contrasti che i partiti che lo compongono avevano espresso durante la campagna elettorale.
Si intravvede tuttavia la prospettiva di un miglioramento dei rapporti nel prossimo futuro e il vero centro dell’azione politica, come scriveva Spinelli più di settant’anni fa, sarà l’Europa. Il primo risultato è stato il vertice di Malta del 23 settembre 2019 sulla gestione dei flussi migratori. È un risultato molto parziale perché il meccanismo di redistribuzione dei migranti previsto riguarda solo quelli giunti in Europa sulle navi gestite dalle ONG e coinvolge, finora, solo tre paesi; nondimeno si tratta di un tentativo di superare il regolamento di Dublino, laddove invece il governo gialloverde ne aveva affossato una ipotesi di revisione proposta e approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Europeo.
Dobbiamo anche far rilevare che gli eventi che hanno portato al tramonto del primo e alla nascita del secondo governo Conte sono stati influenzati dalla politica europea: la scelta del Movimento 5 Stelle di appoggiare la candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea hanno determinato la spaccatura definitiva tra le due forze che sostenevano il governo gialloverde. Tale decisione, quasi una scelta di campo per l’Europa, ha permesso al Presidente del Consiglio, il fautore di questa svolta, di riacquistare il peso e il prestigio necessario per imporre nell’immediato una correzione dei conti pubblici ed evitare una dannosa procedura d’infrazione.
Questi sviluppi pongono ora l’Italia al centro dell’azione in un momento fondamentale per cambiare il volto dell’Europa. Si sta aprendo un momento di confronto e di discussione generale e approfondita circa il futuro dell’Europa, a partire da una proposta di una conferenza, avanzata da Macron e contenuta nella lettera “Per un Rinascimento europeo” rivolta a tutti i cittadini europei dello scorso marzo e rilanciata dalla Presidente della Commissione davanti al Parlamento Europeo. Dobbiamo essere consapevoli della portata di tale occasione perché una seria discussione tra tutti i paesi membri e le istituzioni europee è l’unico preludio per cercare di superare l’inefficiente assetto attuale dell’UE.
Il nuovo piano volto ad accelerare il processo di integrazione dovrebbe prevedere una azione su due livelli, dove il gruppo di paesi caratterizzati da integrazione politica ed economica più avanzata possano procedere accelerando verso un’unione più forte e più democraticamente legittimata, senza che (come succede oggi) le loro ambizioni siano frenate dai paesi che costituirebbero il secondo gruppo, cioè di quelli che vogliono godere dei privilegi del mercato unico, ma non sono (ancora) disposti a compiere il passo verso una ulteriore integrazione politica.
Questa ipotesi di conferenza potrebbe dunque diventare un momento costituente, quindi non solo volto a modificare i trattati, ma a crearne nuovi ponendo una pietra miliare nella storia dell’integrazione europea. Tuttavia, anche al di là di questi auspicabili risultati, dobbiamo comunque considerare molto positivamente anche il solo fatto che i nostri nuovi rappresentanti siano nuovamente considerati come parte della grande famiglia europea e il nostro paese un partner affidabile. Non dobbiamo mai scordarci che, in mondo globalizzato, un paese relativamente piccolo come il nostro, per di più afflitto da gravi e noti problemi strutturali, non può pretendere di affrontare in solitudine le nuove questioni globali. Il nuovo governo italiano deve rendersi partecipe e protagonista di questo momento che richiede scelte decisive.
Segui i commenti: |