Il mito europeo della democrazia
L’Europa, come la conosciamo oggi, è stata in gran parte costruita sulle spalle delle sue colonie, ottenendo un’«accumulazione per espropriazione»; si è cioè impossessata delle risorse delle sue colonie per arricchire i colonizzatori europei. Tutto questo, partendo dal presupposto che l’Europa fosse la culla della civiltà, e poiché il sud del mondo era considerato incivile, gli europei avevano il presunto dovere («il fardello dell’uomo bianco») di intervenire nella gestione e organizzazione delle loro economie, terre e delle loro stesse vite. Poiché gli «incivili» erano ritenuti incapaci di gestire le proprie risorse in un modo che gli europei ritenevano opportuno, si pensava stessero meglio nelle mani o nelle tasche degli europei «civili».
Come si collega tutto ciò alla democrazia? Lasciando da parte il fatto che alle terre occupate è stata negata l’autodeterminazione, le ingiuste dinamiche di potere che hanno stimolato il colonialismo sono state poi riprodotte attraverso le attività e il retaggio del colonialismo stesso. I rapporti di potere del dominante e del dominato si basavano sulla divisione del popolo nelle categorie «noi» contro «loro». Secondo il filosofo Achille Mbembe, questa demarcazione storica ha permesso alle democrazie occidentali di mantenere violenza e disordine all’estero e un’immagine moderna e democratica in patria.
Sebbene queste caratteristiche siano profondamente radicate nella storia, e da allora la scena geopolitica sia cambiata sotto molti aspetti, le dinamiche di potere e le narrazioni che le hanno sostenute permeano ancora le strutture della nostra società. In effetti, il modo in cui le persone appartenenti a minoranze etniche vengono spesso percepite, trattate e successivamente emarginate somiglia molto alla logica coloniale. Di conseguenza, non fare i conti con il nostro passato significa che gli strumenti che hanno reso possibile il colonialismo metteranno in atto sempre più violenza e, infine, ostacoleranno la realizzazione della vera democrazia.
La contemporanea esclusione dell’«altro»
Recenti interpretazioni del razzismo hanno rivelato la vera portata dell’enorme numero di persone colpite, espandendosi fino a includere chiunque possa essere visto come «diverso» rispetto alla propria appartenenza etnica percepita. Ne è un esempio la razzializzazione dei musulmani: essa si manifesta nella retorica contemporanea della destra populista, in cui i musulmani sono descritti come strettamente appartenenti a una cultura antitetica alla democrazia occidentale. Come affermato nel sito web della English Defense League, «l’Islam è contrario a tutto ciò che sta a cuore alla nostra democrazia liberale britannica», rafforzando l’idea che i musulmani costituiscano un ’loro’ impossibile da integrare nel demos, normalizzandone così la discriminazione ed esclusione. Pertanto, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo ha affermato che «in un contesto di intensificazione del fanatismo contro tutti coloro che sono diversi dalle norme preferite dei potenti, dobbiamo ritenere responsabile chi cerca di dividerci e riaffermare l’uguaglianza di tutti, indipendentemente dalla religione o credo”. Tuttavia, l’islamofobia oggi è sempre più accettata nelle democrazie occidentali. In Francia, il paese con la maggiore popolazione di musulmani in Europa, molti dei quali provenienti da ex colonie francesi, la paura dell’Islam ha una potenza particolare a causa dell’identità della Francia come società laica (e patria dell’Illuminismo) che può considerarsi minacciata dall’accoglienza di gruppi religiosi (e presumibilmente»non illuminati").
Macron ha, infatti, affermato che i terroristi radicali islamici attaccano il Paese perché contrari allo stile di vita francese. Tuttavia, se guardiamo a ciò su cui Macron e il governo francese si concentrano nelle comunità islamiche -il modo di vestire, la dieta e le preghiere-, sembrerebbe che stiano attaccando essi stessi i musulmani perché non amano il loro stile di vita, piuttosto che il contrario. Inoltre, un recente studio ha scoperto che i musulmani francesi si identificano in gran parte con la Repubblica e sembrano fidarsi delle sue istituzioni più che del gruppo di controllo. Pare quindi che gli sforzi per dipingere le normali pratiche religiose (diete ristrette, abbigliamento) come segni di radicalizzazione o illiberalismo facciano solo parte di una strategia politica per emarginare una comunità religiosa.
Per quanto riguarda la tesi secondo cui i gruppi radicali islamici prendono di mira il paese per un odio verso la democrazia -i terroristi sono, dopo tutto, il nemico perennemente illiberale-, studi emergenti mostrano che le principali cause di radicalizzazione sono l’emarginazione e l’esclusione e che “il comportamento estremo pro-gruppo sembra intensificarsi dopo l’esclusione sociale”. Quindi, piuttosto che rifiutare i musulmani sulla base della loro apparente incapacità di integrarsi, fatto che perpetua l’ostilità verso certi gruppi, per una democrazia di successo sarebbe opportuno mantenere le promesse di uguaglianza e di un demos indivisibile.
Il futuro
Le elezioni presidenziali francesi dell’anno prossimo rischiano di esacerbare la situazione. Si prevede una competizione serrata tra Macron e Le Pen, ma con Le Pen vincitore. Nell’attesa, Macron si è appropriato di narrazioni e pratiche di estrema destra per soddisfare l’elettorato che sembra affogare ulteriormente nel populismo. La Francia è un esempio del fenomeno contemporaneo dell’estrema destra che gioca a comandare, dettando le regole del gioco in tutta Europa: una traiettoria storica nella sua realizzazione.
In verità gli esiti escludenti e discriminatori di ciò non sembrano, per definizione, applicabili immediatamente alla maggioranza. Tuttavia, si è potuto percepire uno spostamento verso l’autoritarismo, avvolto in narrazioni di sicurezza e sovranità non solo da parte delle autorità: un ulteriore studio mostra come il pregiudizio per i gruppi esterni sia correlato a una inferiore valorizzazione della democrazia. Essa richiede che rispettiamo le reciproche differenze per funzionare, quindi è probabile che chi ha pregiudizi vorrà buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ci sono anche persone che non si identificano necessariamente come razziste, ma si sentono lasciate indietro dalla globalizzazione e dal neoliberismo e quindi contestano i sistemi che pretendono di estendersi per aiutare tutti, la cosiddetta "classe operaia bianca lasciata indietro".
C’è speranza? Nonostante tutto, sembrerebbe di sì. Il grido globale contro il razzismo non è mai stato così forte e interconnesso: oggi risuona nelle assemblee degli organismi politici nazionali e internazionali, perfino nei muri dell’Ue. L’omicidio pubblico di George Floyd, insieme alle disuguaglianze esacerbate e messe a nudo dal Covid-19, hanno scosso le nostre democrazie fino al midollo. Tutto ciò che facciamo ora in risposta a queste ingiustizie storiche rivelerà in che tipo di mondo ed ecosistema politico vogliamo vivere. Come ci mostra l’etimologia del termine ’crisi’, è davvero il momento della decisione.
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