Il sangue è sangue: viaggio in un insospettabile mondo di discriminazioni sottili

, di Cecilia Gialdini

Il sangue è sangue: viaggio in un insospettabile mondo di discriminazioni sottili
Blood Donation, fonte: pikist.com

Chi mi conosce sa che le mie due caratteristiche fondamentali sono l’altruismo e la rettitudine. Detta in modo meno poetico, soffro di un’inguaribile sindrome da crocerossina e sono animata da la legge morale dentro di me, il che mi rende sì generosa ma anche un’insopportabile paladina della giustizia. Questo preambolo non richiesto è in realtà funzionale alla storia che vi voglio raccontare, anzi racchiude il motivo per cui ho deciso di raccontarla.

Nel momento in cui l’ormai arcinoto nuovo coronavirus Covid-19 ha fatto la sua apparizione anche nel continente europeo, il mio senso del dovere civico si è risvegliato e ho sentito la necessità di fare qualcosa per aiutare a contrastare gli effetti della pandemia. Non faccio parte del personale medico e non sono nemmeno una volontaria soccorritrice, faccio parte della massa ordinaria che durante la quarantena se ne doveva solo rimanere a casa. Per questo motivo, ho scelto l’alternativa più semplice, cioè regalare qualcosa di mio: donare il sangue. Donare il sangue è semplice e indolore, a differenza di quanti molti possano pensare, richiede pochissimo tempo e zero impegno. È un gesto d’amore verso il prossimo puro e disinteressato: a parte una colazione gratis e il sorriso di un infermiere, il donatore non riceve nulla di tangibile in cambio. Eppure, il sangue donato può davvero salvare delle vite, soprattutto durante una pandemia, quando le terapie intensive straripano e i donatori scarseggiano. Dunque, ho deciso di fare la mia parte e donare. Vivo in Irlanda del Nord da qualche mese, per cui tra il dire e il fare c’è stato di mezzo una lunghissima mattinata di ricerche su internet e telefonate per capire quale fosse il centro trasfusionale più vicino. Da donatrice coscienziosa, ho cercato i motivi di esclusione, per capire se rientrassi o meno nei parametri, giusto sincerarmi che non ci fossero delle differenze tra qua e l’Italia. Mentre ripercorrevo svogliatamente i classici requisiti come l’età minima e massima, il peso, la presenza di malattie croniche, ho scoperto che delle differenze ci sono, eccome se ci sono. Al paragrafo sul comportamento sessuale, stranamente non sono previste restrizioni in caso di cambio di partner negli ultimi quattro mesi (misura di sicurezza adottata invece per i donatori italiani). O meglio, è prevista un’esclusione di tre mesi dall’ultimo rapporto ma solo per chi abbia accettato denaro in cambio di prestazioni sessuali (o abbia avuto rapporti con qualcuno che lo abbia fatto). Stranamente specifico, ho pensato, vagamente perplessa. Ma la parte che mi ha fatto sollevare le sopracciglia deve ancora arrivare:

Men who have sex with men (MSM)

In June 2016 the Northern Ireland Minister of Health announced an end to the lifetime deferral on blood donation by men who have had sex with men. Currently, men who have sex with men in the last 12 months are deferred from donating blood for a period of 12 months. Men who last had sexual contact with another man more than 12 months ago are able to give blood in Northern Ireland if they meet the other blood donor selection criteria.

In pratica, gli unici requisiti di esclusione per quanto riguarda i comportamenti sessuali sono prostituzione e omosessualità maschile. Ai maschi omosessuali, addirittura, era interdetta in toto la donazione del sangue fino al 2016. Solo quattro anni fa! Sconcertata ma non sorpresa, mi sono ricordata che in effetti il matrimonio tra persone dello stesso sesso è diventato legale solo pochi mesi fa, cosa potevo aspettarmi?

Questa faccenda mi ha turbato ma al tempo stesso incuriosito. Mi sono chiesta se anche in altri paesi europei esistessero delle restrizioni simili e quale fosse la posizione dell’Unione al riguardo. Il risultato è stato parecchio deprimente. Nel Regno Unito l’interdizione a vita dalla donazione di sangue per i maschi omosessuali è stata ridimensionata a una temporanea esclusione di tre mesi soltanto nel novembre del 2017. Questa modifica entrerà in vigore anche qua in Irlanda del Nord a giugno. In Francia dal 2016 l’esclusione di un anno è stata ridotta a 4 mesi, come in Danimarca. In Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Malta, Portogallo, Slovacchia e Svezia ancora esistono specifici requisiti che obbligano i maschi omosessuali e bisessuali ad attendere un anno dall’ultimo rapporto sessuale prima di poter donare il sangue. In Croazia, e Slovenia è ancora proibito. Mentre Italia, Lettonia, Polonia e Spagna sono gli unici paesi dove l’obbligo di rinvio della donazione è contemplato in caso di comportamenti a rischio, senza fare alcuna menzione all’orientamento sessuale. Uno scenario desolante, insomma. Persino paesi che ritenevo progrediti sul tema dei diritti civili si sono rivelati insospettabilmente retrogradi di fronte alle donazioni di sangue. Eppure il sangue è sangue, non ha colore né forma diversa: se una persona è in salute, il resto non dovrebbe essere rilevante.

Assetata di giustizia (e qui si comprende il perché del preambolo iniziale), sono andata a leggermi le varie direttive europee, sperando di trovare qualche appiglio, qualche riferimento all’articolo 3 del Trattato sull’Unione Europea o alla Carta dei Diritti Fondamentali. E invece niente. L’Unione effettivamente disciplina la materia di trasfusioni, soprattutto per quanto riguarda la rintracciabilità dei donatori, la sicurezza e la qualità  [1]. Esiste un allegato alla direttiva sulle donazioni volontarie nel quale si stabiliscono i requisiti minimi dei donatori; questi sono però molto generici (si parla semplicemente di escludere potenziali donatori con “comportamenti a rischio”) e si lascia la disciplina nello specifico agli stati membri.

Apparentemente gli stati membri non sono molto inclusivi. Oppure sono estremamente lenti nel recepire i cambiamenti della società. Infatti, proprio durante la pandemia di Covid-19, quando un mare di persone altruiste come me ha deciso di bussare alla porta dei centri trasfusionali, il problema si è rivelato in tutta la sua gravità. Tant’è che su Wikipedia dal 1° maggio di quest’anno è stata creata una pagina dedicata specificatamente alle restrizioni omofobe per le donazioni di sangue Questa plateale incongruenza con il principio di non discriminazione, uno dei più fondamentali valori dell’Unione, era già stata evidenziata sia in una consultazione pubblica con i gruppi di interesse (donatori, volontari e personale dei centri trasfusionali) che avevano sottolineato come certe restrizioni fossero rimaste legate a condizioni del passato e che l’adozione dei matrimoni egualitari o unioni civili in quasi tutti gli stati membri stridesse con certe specifiche. Non solo, la questione è stata anche portata all’attenzione della Commissione in un’interrogazione dell’europarlamentare Frances Fitzgerald. La risposta fa leva sulle percentuali (nel 38% dei casi nell’Unione Europea la malattia è stata contratta durante un rapporto omosessuale), dicendo che non si tratta di discriminazione in quanto si tratta di salute pubblica. Pare di essere nella Philadelphia alla fine degli anni ’80, invece è solo novembre dell’anno scorso. Quindi sì, si tratta proprio di discriminazione, nata da due preconcetti: che gli omosessuali siano più promiscui e, al contrario, che gli eterosessuali siano più coscienziosi. Ma siamo davvero sicuri che gli etero (o i bisessuali durante i rapporti con donne) siano così attenti alla prevenzione? La percentuale sarà anche maggiore nei maschi gay, ma non è zero nel resto della popolazione. Se parliamo di salute pubblica, non sarebbe meglio mettere uno sbarramento trasversale e impedire a tutti, indipendentemente dal loro orientamento, di donare il sangue in caso di comportamento promiscuo [2]? In questo modo non dovremmo escludere donatori affidabili ma che amano persone dello stesso sesso e rischiare invece di includere soggetti eteroconformi che magari presentano comportamenti a rischio: più sicurezza e meno pregiudizio. Una vittoria su tutti i fronti.

L’Unione Europea, nello scorso anno, ha riesaminato la sua strategia [3] per quanto riguarda la donazione di sangue e organi e ha convenuto che la sua azione sia ancora insufficiente. L’Unione si ripropone una maggiore armonizzazione delle legislazioni dei vari paesi membri, eppure ancora non fa menzione del superamento di questo requisito nella sua Roadmap. Per non scontentare le morali tradizionali non si fa nemmeno menzione della parola nel dibattito “gay”, ci si trincera dietro percentuali mentre le banche del sangue piangono miseria.

Ma in realtà, come spesso accade, il problema è ben più profondo. Ancora una volta, gli egoismi nazionali dei paesi membri (molti di loro ancora troppo, troppo indietro sul piano dei diritti civili) spinge l’Europa a una sfida al ribasso dei diritti. E chi ci rimette sono i cittadini europei. Ogni tanto mi illudo che queste barriere siano ormai superate. Nel mio mondo di arcobaleni le nuove battaglie per i diritti civili sono più avanzate, più raffinate, che sia arrivato il momento di superare la concezione binaria dei generi, che l’adozione non sia un privilegio delle coppie etero, che le persone transgender non debbano essere giudicate in base al numero di operazioni che hanno subito. Nel mio mondo ideale dove Stonewall è ormai solo memoria collettiva, mi batto contro l’omofobia strisciante, subdola, quella del “non sono omofobo ma…”, del “li ammiri, li rispetti poi li tolleri e comprendi ma ti fan schifo se si bacian per la via” [4] Per poi ricordarmi, con una doccia fredda di cruda realtà, che il mondo non è ancora così equo e che a volte le brutte sorprese arrivano proprio da chi meno te lo aspetteresti. Ingenua sognatrice che sono, con un nodo alla gola, mi rassegno all’idea che l’omofobia sfacciata, urlata a viso aperto, esista ancora. Come esistono ancora gli odiatori di professione, proprio accanto a quelli che invece dicono che ormai abbiamo raggiunto la perfetta uguaglianza -ma di che cosa vi lamentate ancora? Potete pure sposarvi e/o unirvi civilmente!. No, abbiamo fatto incredibili passi avanti ma la strada da percorrere è ancora tanto, tanto lunga e passa anche dalle battaglie alle discriminazioni più insospettabili. Proprio per questo è necessario prestare attenzione a tutti gli ambiti della vita quotidiana e a tutti i paesi del continente perché le società veramente egualitarie non devono avere zone d’ombra.

Note

[1Già nel 2002, il Parlamento aveva adottato delle linee guida, rese poi più specifiche dal Consiglio nel 2003. La disciplina attuale fa riferimento alle seguenti direttive della Commissione:

  • La direttiva 2004/33/CE relativa ai requisiti tecnici del sangue e degli emocomponenti e delle donazioni. Quella che racchiude i requisiti minimi.
  • La direttiva 2005/61/CE sulle prescrizioni in tema di rintracciabilità e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi
  • La direttiva 2005/62/CE che stabilisce le norme e le specifiche comunitarie relative a un sistema di qualità per la banca del sangue. Per ulteriori informazioni, si veda la pagina designata

[2Si intende qua comportamento promiscuo il cambiamento di partner sessuale negli ultimi tre o quattro mesi, il tempo necessario per ottenere risultati accurati nei test diagnostici per le malattie sessualmente trasmissibili.

[3Per maggiori informazioni sulla valutazione della Commissione, si rimanda al Report e alla Roadmap

[4Liberamente tratto dal testo della canzone “Omofobia” di Alfredo Marasti.

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