Il significato delle elezioni europee quarant’anni dopo

, di Giulio Saputo

Il significato delle elezioni europee quarant'anni dopo

Esattamente quarant’anni fa si svolgevano le prime elezioni del Parlamento europeo.

Difficile riuscire a definire in poche parole cosa rappresenti questo traguardo per la Storia.

Chi conosce un po’ il nostro passato sa che in questa parte di mondo, per dirla in modo manicheo, si sono contrapposti alcuni tra i peggiori abomini concepiti dall’umanità e i più fulgidi esempi di speranza per un progresso universale. Pochi esempi: abbiamo inventato l’Inquisizione, ma anche l’Illuminismo. Nostra è la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, ma anche il Terrore. Nostri sono Leonardo Da Vinci, Kant, Newton e Cartesio ma anche Hitler, Mussolini, Torquemada ed Enrico VIII.

Nella stessa Europa dove è stato inventato lo stato-nazionale (il modello di organizzazione sociale con cui gli europei hanno diviso e si sono spartiti il mondo) e la sua degenerazione totalitaria (fascismo/nazismo), è nata anche l’idea di un suo superamento pacifico.

Questa stessa idea di un’unità dell’Europa non solo culturale, ma anche politica è sostanzialmente sempre esistita, più o meno sommersa, fin dalla caduta dell’Impero Romano. A tal proposito, sia nel mondo della cultura che tra i governanti del continente, c’è senz’altro chi può esser ricordato per le teorizzazioni (Émeric Crucé, il Duca di Sully, Kant, ecc.) o per i violenti tentativi messi in campo (Carlo Magno, Carlo V, Napoleone, ecc.).

Come ci ricorda Einaudi, ci sono sempre state due vie per unire l’Europa:

“La prima guerra mondiale fu la manifestazione cruenta dell’aspirazione istintiva dell’Europa verso la sua unificazione; ma, poiché l’unità europea non si poteva ottenere attraverso una impotente Società delle nazioni, il problema si ripropose subito. Esso non può essere risoluto se non in una di due maniere; o con la spada di Satana o con quella di Dio.”

Questo sogno di unità pacifica ha cessato di essere un’utopia dopo che l’Europa ha toccato il fondo ed è riuscita ad autoannientarsi, ad esser conquistata e lacerata tra due potenze continentali dopo due guerre mondiali.

Caso raro, la storia ci ha dato una seconda possibilità e con innumerevoli battaglie siamo arrivati ad eleggere dei delegati che rappresentano i nostri cittadini su un piano sovranazionale. Loro, in quanto parlamentari, sono la personificazione del nostro successo come civiltà, la rappresentazione stessa dell’idea kantiana di istituzionalizzazione dei conflitti tra Stati e del superamento di secoli di guerre.

Forse è sempre opportuno ricordarlo (a loro e a noi) per le responsabilità che queste istituzioni rappresentano ben oltre il mero dato simbolico, perché l’alternativa a questa idea di pace e di dialogo è sempre attuale. È il nostro “cuore di tenebra” che ci portiamo sempre dentro e neanche troppo nascosto; il germe della violenza, dell’intolleranza, dell’odio, della guerra.

Questa Europa non è caduta dal cielo. È stata il frutto amaro e imperfetto di decenni di battaglie di cittadini, della società civile e di leader illuminati contro l’ottusità di un passato reazionario. Non c’è niente di “concesso” da parte degli Stati, ma si tratta di conquiste. L’elezione diretta del Parlamento europeo è stata una lotta politica che ha visto coinvolte decine di associazioni per molti anni con dei risultati piuttosto eccellenti. In Italia alla campagna ad hoc del Movimento Federalista Europeo del ‘68 aderiscono 125 parlamentari, 5 ministri e 9 sottosegretari; alla raccolta firme del ‘75 partecipano 150000 cittadini e in occasione della manifestazione lanciata a Roma (per il Consiglio Europeo) lo stesso anno con Movimento Europeo e Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni d’Europa, viene condiviso un appello su Le Monde e altri 43 organi di stampa nazionali per la richiesta di un governo e di elezioni europee*.

Chiarito questo punto, dobbiamo dire che non è assolutamente vero che i parlamentari europei non hanno alcun potere e che a Bruxelles governano dei tecnocrati. Tutte le principali decisioni dell’Unione sono prese o dai rappresentanti dei cittadini o dai rappresentanti degli Stati.

Il problema è che abbiamo davanti un sistema imperfetto e ancora incompleto, che può e deve esser riformato in senso progressista ma non possiamo permettere che venga distrutto per tornare a cedere agli abomini del nostro passato.

A tal proposito rimando a due proposte che ritengo piuttosto chiare dell’Unione Europea dei Federalisti e del Movimento Europeo in Italia, a cui hanno aderito più di 50 parlamentari di tutti i colori politici.

Guardatevi intorno, rialzano la testa tutti i disvalori che come europei ci portiamo dietro dal nostro passato nella politica, nella società e nelle istituzioni.

Non è più il tempo di “lasciare che sia”, dobbiamo controbattere con la forza della speranza di un futuro migliore (e dell’amore per le prossime generazioni) contro tutta l’ondata di “oscurantismo” che vediamo levarsi.

Rispondiamo rilanciando con forza ciò che di più bello abbiamo regalato all’umanità dopo la Resistenza: un modello istituzionale e dei valori per salvaguardare la pace, la giustizia, la libertà, la democrazia e l’uguaglianza.

*(a cura di) Sergio Pistone, I movimenti per l’Unità europea 1945 – 1954, Jaca Book, Milano, 1992; (a cura di) Sergio Pistone, I movimenti per l’Unità europea 1954 – 1969, Università di Pavia, Pavia, 1996; (a cura di) Ariane Landuyt e Daniela Preda, I movimenti per l’Unità europea 1970 – 1986, tomo 1 e 2, Il Mulino, Bologna, 2000.

Fonte immagine: Unione Europea dei Federalisti.

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