Intervenire sulla crisi dell’Ucraina? E in che modo?

, di Alfonso Sabatino

Intervenire sulla crisi dell'Ucraina? E in che modo?

Sulla crisi dell’Ucraina non si possono esprimere giudizi definitivi per la mancata conclusione dell’accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione europea. Soprattutto non si possono esprimere giudizi trascinati dall’onda delle emozioni generate dalle manifestazioni di piazza e dalle brutali repressioni poliziesche di Kiev. Occorre avere la “vista lunga” come richiamava, in un altro contesto, Tommaso Padoa Schioppa.

Personalmente credo che l’UE si sia cacciata in una situazione imbarazzante sulla spinta degli interessi di Polonia e Lituania senza valutare appieno le conseguenze delle sue scelte sulla precaria situazione interna dell’Ucraina, come l’accentuazione dello scontro tra i “filo-europei” e i “filo-russi” in atto nel paese. Né sono state appieno valutate le conseguenze sui propri rapporti con Mosca alla luce dell’irrigidimento di quest’ultima. Essendomi interessato della precedente crisi ucraìna del 2004 [1],debbo constatare la profonda diversità di approccio manifestata da Javier Solana, al tempo Alto rappresentante dell’UE per la politica estera e di sicurezza europea, rispetto ai protagonisti odierni. Allora fu realizzato un efficace intervento stabilizzatore nei rapporti con Kiev e Mosca e si affermò con chiarezza: “che una cosa è la rivendicazione europea di elezioni trasparenti non inquinate da brogli e un’altra cosa è l’adesione di Kiev all’Unione, progetto che a Bruxelles non esiste”. Analogo intervento stabilizzatore fu compiuto nel 2008 dal Presidente francese Sarkozy, a nome dell’UE, in occasione della guerra russo-georgiana, provocata dall’avventurismo del presidente Mikheil Saakashvili.

Pertanto, se certamente è interesse europeo lo sviluppo democratico ed economico dell’Ucraina, è anche interesse europeo che lo stesso processo si produca in altre regioni del mondo e, in particolare, nell’area dell’ex Unione Sovietica. Il vero punto da affrontare è, quindi, la coerenza delle relazioni con tutte le repubbliche ex sovietiche. È interesse dell’Europa che tutta l’area si rafforzi economicamente e accenda i processi evolutivi liberal-democratici sul piano sociale e politico. Conseguentemente, occorre richiamare che il disegno di Vladimir Putin di costituire un’area doganale tra Russia, Bielorussia, Kazakistan e Ucraina ha una suo fondamento economico, data l’eredità delle integrazioni produttive consolidate in ambito URSS e in precedenza. Non a caso, nell’incontro con i giornalisti dopo il recente vertice italo-russo di Trieste, il presidente russo ha spiegato che la Russia non potrebbe mantenere una frontiera doganale aperta con l’Ucraina qualora essa si aprisse all’UE. L’Ucraina diventerebbe un corridoio per una concorrenza europea che oggi Mosca non può affrontare direttamente. Ha bisogno di tempo.

Tuttavia, a parte la questione economica, il disegno di Putin ha un fondamento politico ancora più rilevante e strategico. Esso investe il nodo della sicurezza nell’area ex sovietica. La defezione ucraina nei confronti del disegno moscovita di unione doganale vanificherebbe qualsiasi tentativo di rilancio della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e quindi la possibilità di estendere l’area doganale integrata a sud del Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaijan) e alle ex repubbliche sovietiche centro asiatiche. La sfida è strategica per la stabilità dell’ex area sovietica perché Mosca deve anche fronteggiare la minaccia interna del fondamentalismo islamico e del separatismo (vedi Cecenia e Dagestan).

Inoltre, non si può guardare ai rapporti tra Europa, Russia e altri paesi ex URSS come ai tempi dell’equilibrio bipolare. Occorre avere una posizione costruttiva, rivolta a favorire la transizione di tali paesi verso una piena economica di mercato, internazionalmente competitiva, quale premessa per l’affermazione di sistemi politici pienamente democratici uniti da vincoli federali. In tale contesto occorre bilanciare il rapporto di forza tra Russia e altri paesi CSI e sul punto possono intervenire due fattori. Uno interno, quale il ruolo di Stati di una certa consistenza come l’Ucraina e il Kazakistan per il rilancio di una CSI non interamente condizionata da Mosca. L’altro esterno, quale il ruolo equilibratore condizionante dell’UE. L’UE potrebbe subordinare le proprie aperture commerciali e la propria cooperazione tecnologica ai progressi compiuti dai paesi CSI sul piano delle libertà civili e dello Stato di diritto. La pressione politica sulle fasce sociali interne progressiste sarebbe fortissima, le forze conservatrici presenti nei paesi ex URSS sarebbero messe all’angolo. Di qui l’importanza di relazioni negoziali aperte tra grandi aree organizzate: tra la UE e la CSI. Possibilmente in un quadro cooperativo di natura confederale.

Se quindi si vuole intervenire sulla crisi ucraina occorre mettere sul banco dell’accusato l’attuale UE, abulica e impotente di fronte alle evoluzioni del mondo e a un precario equilibrio mondiale multipolare. In primo luogo di fronte al ruolo assunto da Mosca nella politica mondiale, contraddistinto da luci e da ombre. Infatti non si può ignorare che la Russia porta avanti un ampio disegno di rafforzamento della propria sicurezza perché accanto al disegno dell’unione doganale con gli ex partner sovietici, essa è intervenuta come stabilizzatore in Medio Oriente (MO) sia evitando l’intervento americano di rappresaglia per l’uso di gas contro la popolazione civile da parte del governo siriano, aprendo così la strada a una soluzione negoziale del relativo conflitto interno, sia portando al tavolo del negoziato nucleare la dirigenza iraniana. Con grande sollievo della presidenza USA che in entrambi i casi si trovava priva di una via di uscita diplomatica a causa degli errori del passato.

La novità che gli europei ignavi non hanno colto è che Mosca è diventata una referente decisivo per il MO tale che Egitto e Arabia Saudita lo hanno già messo in conto, anche per gli armamenti. Inoltre, Mosca si erge a paladina della tutela del pluralismo etnico e religioso in Medio Oriente, tema al centro del colloquio in Vaticano tra Putin e Papa Bergoglio del 25 novembre scorso. Sono questioni cruciali queste che necessitano analisi approfondite e che sottolineano la totale assenza di linea politica dell’UE sulle questione vitale mediorientale oltre che su quella dei rapporti con i paesi ex URSS. Ciò significa che la Russia non solo è un fornitore rilevante di gas e petrolio all’UE ma può diventare anche il manovratore dell’altro rubinetto energetico, quello che dal MO alimenta l’Europa. Pertanto, non si può scherzare con il fuoco.

La questione dei rapporti Bruxelles-Mosca è un argomento che tocca in pieno la crisi in cui è precipitata l’UE a causa della mancanza di governo federale europeo dotato di tutte le competenze necessarie, comprese quelle della politica estera e di sicurezza e della politica energetica.

L’UE, premio Nobel per la pace nel 2012 per il merito di avere chiuso un ciclo secolare di guerre sul continente, non può permettersi di destabilizzare le aree di vicinato, né di assistere impotente ai nuovi equilibri e alle aspirazioni evolutive della società civile ex sovietica o mediorientale. L’UE deve costruire rapporti di pace fermi con tutta l’area ex sovietica e rapporti di sviluppo con l’area mediorientale nell’ambito di vincoli confederali interregionali: in pratica, deve dare concretezza a una seria politica di vicinato. Ma deve vincere prima di tutto la battaglia interna della “stabilizzazione dell’euro” per potersi sedere al tavolo internazionale della stabilizzazione e della promozione della democrazia e dello sviluppo.

La riflessione sulla crisi ucraina, come si vede, ci porta alla radice del problema della costruzione dell’unità europea e più specificamente del suo carattere incompiuto.

Fonte immagine Flickr

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Note

[1Vedi l’articolo La crisi dell’Ucraina e il ruolo dell’Unione Europea, pubblicato su “PiemontEuropa” di dicembre 2004

Tuoi commenti
  • su 2 gennaio 2014 a 22:34, di angrypossum In risposta a: Intervenire sulla crisi dell’Ucraina? E in che modo?

    Mi sembra che l’articolo, nonostante la brillante e veritiera analisi della precaria situazione dell’UE, pecchi di una mancanza sostanziale: il punto di vista storico, oltre a quello teoretico-economico. La Russia ha governato per secoli l’Ucraina con il pugno di ferro. E le conseguenze di ciò sono tutt’altro che teoriche e trascurabili.

    La diffidenza nei confronti dei russi è fortemente radicata e quasi endemica in buona parte dell’Ucraina, e investe tutte le sfere della cultura. A questa fondamentale considerazione cultorologica, che mi sembra debba avere un’importanza di primo piano, possiamo poi legare i ragionamenti di ordine più economico: sebbene oggi l’Ucraina abbia conquistato un minimo di visibilità internazionale dopo più di venti anni di indipendenza, ancora non ha la forza politico-economica necessaria per negoziare con Mosca le conseguenze di una possibile unione doganale. E dal momento che i rapporti di forza tra gruppi etnici sono sempre stati intesi univocamente dalla classe dirigente russa (e sovietica: a proposito di rapporti commerciali ricordiamo i fatti degli anni ’32-’33, nella nazione che era considerata il «granaio dell’URSS»), di fatto oggi non c’è spazio per uno sviluppo democratico della regione sotto l’egida di una unione doganale ideata e propagandata dalla Russia. Quello che viene proposto agli ucraini non può non essere visto come un’intrusione, come il solito tentativo della «sorella maggiore» di occuparsi della «piccola» sorella ucraina. Dell’articolo mi stupisce che non venga posto questo problema, che a mio parere è uno dei motori principali del tentativo rivoluzionario ucraino di questo ultimo mese.

    In quest’ottica rimane oltre tutto difficile immaginarsi la Russia come «paladina della tutela del pluralismo etnico e religioso», dal momento che le questioni etniche sono sempre state risolte, in Russia, con la repressione. E in particolare nei confronti del popolo ucraino.

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