Alla fine, con l’elezione di stretta misura di Ursula Von der Leyen (VDL), resta confermato il principio che si diventa Presidente della Commissione Europea se si gode dell’appoggio di una propria maggioranza, autonoma rispetto a quella che ha determinato la nomina in sede di Consiglio Europeo.
In altri termini, se si è in grado di formare un ’governo politico’.
Il Consiglio europeo aveva proposto VDL all’unanimità (o per consenso, che è la stessa cosa), poi l’elezione è avvenuta grazie ad una maggioranza politica diversa, definitasi passo dopo passo, sulla base delle scelte effettuate dalle famiglie politiche europee.
La scelta finale rimanda dunque alla sostanza del voto europeo, per come esso si è concretamente manifestato, non più agli equilibri tra i governi nazionali. Ciò consente di dire che, alla fine, ha tenuto il principio che sono le forze politiche presenti in Parlamento che decidono autonomamente chi fa il Presidente della Commissione (un principio che è alla base dello stesso metodo degli spitzenkandidaten).
Si rafforza allora il potere della Commissione, grazie al forte legame che deve mantenere e sviluppare con il Parlamento, cosa che è indispensabile per attuare il programma di governo. Si rafforza, di conseguenza, anche il sistema della democrazia parlamentare europea, un modello in corso di costruzione nell’Unione. Dunque, il binomio Parlamento-Commissione diventa il motore dello sviluppo della democrazia europea.
Alcune considerazioni aggiuntive:
1) La maggioranza è, alla partenza, numericamente fragile, ma più compatta politicamente. Dipenderà da VDL allargarla alle forze europeiste che sono rimaste ai margini (Verdi e settori SPD). L’esecutivo potrà rafforzarsi solo sulla base del programma, cioè delle «politiche da fare» (il suo discorso di Strasburgo mi pare che vada in questa direzione). VDL ha la chance di rafforzare il potere federale della Commissione, come «punto d’appoggio» per la trasformazione in senso federale dell’Unione (Albertini). E’ dunque il governo europeo il motore per il rafforzamento istituzionale dell’Unione, non certo i governi nazionali.
2) La scelta dei Commissari registrerà certamente ulteriori tensioni tra i governi nazionali e il Parlamento, la cui maggioranza si forgerà ancor più al momento della valutazione dei candidati, che saranno giudicati in funzione della loro aderenza o meno al programma di governo. Si possono prevedere bocciature o forti condizionamenti preventivi della VDL nei confronti dei governi, specialmente di quelli euroscettici. Ciò è necessario per consolidare la propria maggioranza, realizzando così una forte alleanza tra Parlamento e Commissione, condizione essenziale per realizzare il programma di legislatura.
3) E’ uscita battuta l’idea che ci possa essere un gruppetto di Paesi che possa decidere la direzione di marcia per tutti; come pure l’idea che si possa fare a meno dell’Italia per far avanzare il processo europeo; la scelta del M5S di votare a favore di VDL è stata non solo decisiva per la sua elezione, ma ha un forte significato politico, al di là dei giudizi su questa formazione politica. Vuol dire che i 5 Stelle hanno fatto una «scelta di campo», si sganciano dalle posizioni di Salvini sull’Europa: ciò servirà loro per trovare uno spazio in Europa e credibilità come forza di governo. Lo vedremo presto su questioni come l’immigrazione, lo sviluppo e il debito.
In ogni caso, con VDL, c’è ora un rimescolamento di carte ed è la signora che le dà.
Si apre ora una stagione politica in cui ciò che conta veramente è la definizione delle politiche che la nuova Commissione dovrà mettere in campo per dare risposte ai cittadini.
E’ per questo che gli Europei hanno votato. E’ per questo che VDL è stata eletta.
Ed è allora dal forte nesso «politiche da fare / potere federale da costruire» che la battaglia federalista potrà andare avanti.
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