Tra gli argomenti più affrontati nello scenario europeo nell’ultimo decennio vi è la sempre più diffusa centralità delle fazioni di estrema destra sul palcoscenico politico dei vari Paesi Membri dell’Unione. Partiti definiti populisti, sovranisti se non apertamente neofascisti hanno conquistato sempre più seggi, arrivando addirittura in alcuni casi a governare. La ragione di questa ascesa è ascrivibile in parte alla crisi migratoria iniziata nel 2016, che ha indubbiamente infiammato focolai nazionalistici più o meno ovunque, ma anche all’onda lunga della crisi economica del 2008-2012, che ha minato il sistema di welfare e per certi versi il senso di stabilità dei paesi dell’Europa Occidentale. Ovviamente, in ogni paese vi sono un gran numero di altri fattori contingenti e specifici e ridurre tutto a queste due ragioni è una semplificazione grossolana. Tuttavia può servire come utile punto di partenza per affrontare il discorso dell’estrema destra e di come prevedibilmente diverrà la maggior forza d’impatto politico nel decennio appena iniziato.
Per iniziare, guardiamo ai paesi dell’Est Europa che erano parte del blocco sovietico-jugoslavo. Tra questi vi sono due più famosi e chiari esempi di governi neofascisti al potere in Polonia e Ungheria, con la situazione in vari altri come Repubblica Ceca e Slovenia che non è troppo differente. Se però allarghiamo la lente anche a quei paesi che non sono parte dell’Unione, viene fuori che il passaggio dalle dittature comuniste a democrazie è stato sostanzialmente un fallimento nella maggior parte dei casi, che si parli dei paesi centro-asiatici come Turkmenistan o Uzbekistan, o di altri più europei come la Bielorussia e la stessa Russia. In tal senso, abbiamo vissuto l’illusione collettiva che l’entrare nell’Unione Europea avrebbe in qualche modo salvato le nazioni dell’Est Europa dal cadere nel ciclo dittatoriale che sembra abbattersi sulla maggior parte delle nazioni che escono da decenni di sistemi politici mono-partitici. La realtà dei fatti è però che questi paesi non solo stanno scivolando sempre più verso forme di governo che sarebbero all’antitesi con ciò che l’Unione dovrebbe rappresentare e per cui era stata fondata, ma anche che le istituzioni europee e gli altri Paesi Membri sembrano essere del tutto impotenti nei propri intenti di impedire un tale sconvolgimento al proprio interno. Questo non è soltanto l’ennesimo segno di debolezza degli inadeguati e inefficaci organi europei, ma anche un tremendo segnale che qualunque cosa, persino principi fondanti come la democrazia, la libertà d’espressione e la difesa delle minoranze, può essere messa in discussione.
Ma com’è possibile che le nazioni dell’Europa Occidentale, quelle che hanno vissuto nel modo più tragico possibile l’esperienza e le conseguenze dell’estrema destra e che sembravano esserne uscite per sempre, possano accettare un tale esito? La risposta è nella repentina crescita di fazioni affini a quelle al governo in paesi come la Polonia all’interno degli stessi Paesi Membri, soprattutto a livello locale. Prima della sostanziale stasi politica imposta dalla pandemia, in vari tra i paesi più grandi e ricchi dell’Unione le fazioni sovraniste erano in rapida ascesa, arrivando anche al governo in Italia, primo tra i paesi fondatori ad avere una coalizione di estrema destra al potere con una maggioranza consolidata, sebbene solo per un anno. L’Italia, d’altronde, è un paese dalla comprovata tradizione di destra che, salvo brevi interruzioni, è stata guidata da partiti di centro destra per tutti gli anni 2000 ed è un chiaro e terrificante esempio di quello che vi è la probabilità avvenga in tutta Europa negli anni a venire. In Italia infatti, la presenza quasi costante di partiti di estrema destra al governo negli anni ha completamente spostato la bussola politica e il margine di cosa possa essere accettabile per una democrazia moderna. Così, anche quando al governo vi erano sedicenti governi di centro sinistra, rappresentanti di tale fazione solo nel nome e molto più vicini al centro destra nelle politiche, le decisioni prese sono state sempre atte a soddisfare e abbonire la parte della popolazione più vicina alle frange neofasciste e razziste, endemiche in tutto il paese. Come la politica di appeasing di Chamberlain negli anni ’30, anche questo tentativo di evitare la crescita dell’estrema destra ha avuto esiti del tutto opposti, così che non sarebbe sorprendente vedere una vittoria schiacciante della destra nelle prossime elezioni politiche.
Si tratta di uno scenario devastante per l’Europa e l’UE come li abbiamo visti fino ad ora e per chi è cresciuto con certe idee su cosa rappresentassero le ideologie europee nel mondo. Allo stesso tempo però, l’immobilismo e l’impotenza delle istituzioni europee impediscono di arrestare questo sconvolgimento. In politica, le forze che vogliono il cambiamento, nel medio o nel lungo termine, vincono sempre: direttamente, raggiungendo il potere e attuando le proprie proposte, o indirettamente, costringendo le altre forze politiche a parlare di determinati punti che altrimenti non avrebbero affrontato e mettendo pressione affinché qualcosa avvenga. Dal Secondo Dopoguerra in poi, le spinte per il cambiamento erano sempre giunte da sinistra e sono andate di pari passo con l’ampliamento dei diritti sociali e dei lavoratori e nel creare quel sistema europeo (inteso come stile e come Unione Europea) che sembra aver raggiunto il proprio termine. Terminata la pandemia, con i governi al potere indeboliti dall’aver preso decisioni impopolari e nella maggior parte dei casi scellerate e fallimentari, economie massacrate e collaborazione internazionale basata su sospetti e mancanza di fiducia, l’inevitabile ascesa dell’estrema destra aprirà un nuovo capitolo della Storia europea, uno che potrebbe veder sgretolate le fondamenta su cui siamo cresciuti.
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