L’Italia e l’Europa al tempo del coronavirus

, di Anna Tempia, Antonio Longo

L'Italia e l'Europa al tempo del coronavirus
Prima sede dell’ECDC a Solna.

Nel mondo globalizzato la diffusione di un nuovo virus, nei cui confronti non esiste ancora un vaccino sperimentato, determina paure più o meno giustificate, mostrando come la potenza tecnologica e scientifica possano convivere con l’insicurezza che l’ignoto da sempre rappresenta.

L’azione di contrasto nei confronti dell’epidemia del coronavirus ha fatto emergere alcune questioni politiche di natura strutturale, legate al sistema istituzionale che governa l’operatività del sistema sanitario, in Italia e in Europa.

Sappiamo che la lotta contro la diffusione del coronavirus in Italia può essere resa difficile anche dal fatto che il Servizio Sanitario Nazionale, nato in modo unitario nel 1978, è costituito da venti Servizi Sanitari Regionali (SSR), che oggi hanno profili istituzionali e organizzativi non omogenei e specificità proprie.

Ci sono alcune caratteristiche che li accomunano, ad esempio la riduzione dei posti letto ospedalieri e la contrazione dei servizi sanitari territoriali pubblici, all’interno di un modello cosiddetto misto pubblico/privato e che ha visto una crescente presenza di operatori privati su entrambi i fronti.

Le differenze tra i SSR sono da attribuire non solo all’impatto della contrazione dei finanziamenti (soprattutto nelle regioni “in piano di rientro”), ma anche ad importanti scelte di politica sanitaria. Esse riguardano soprattutto: a) il grado di aziendalizzazione dell’impianto del SSR; b) l’ampiezza del ricorso agli accreditamenti e alla contrattualizzazione degli operatori privati e in parallelo il grado di depotenziamento degli operatori pubblici del SSR; c) l’impianto per realizzare la “Presa in carico dei malati cronici” che comporta un notevole impegno finanziario; d) l’incidenza del mercato assicurativo; e) la presenza di operatori privati non accreditati e non contrattualizzati dal SSR che operano direttamente sul mercato della salute.

Questi sono i principali fattori che hanno concorso a ridisegnare la fisionomia di ogni SSR, fino a farla talvolta diventare un composito “sistema”, come del resto la Lombardia, ad esempio, continua a denominare il suo Servizio sanitario regionale.

Così assistiamo al fatto che sono le strutture pubbliche dei Servizi sanitari regionali ad essere in prima linea nella lotta contro questa emergenza. E tutto ciò rende ancora maggiore l’esigenza di un forte coordinamento a livello nazionale. Un problema che è stato riscontrato in questa circostanza e che ha dato luogo a diverse polemiche tra i partiti, come capita sempre in Italia quando si tratta della sanità.

L’Europa e la questione sanitaria

I virus sono come l’inquinamento. Valicano le frontiere e chiamano in causa la condotta degli Stati, che spesso (e anche in questo caso) si manifesta in termini contraddittori. Ad esempio, alcuni Stati europei hanno posto quasi subito un blocco al trasporto aereo da/per la Cina, altri no. E dopo i primi focolai di coronavirus in Lombardia/Veneto è riemersa da parte di alcuni Stati la questione della libera circolazione dei cittadini europei all’interno dell’area Schengen. Molti cittadini provenienti dal Nord Italia hanno dovuto annullare viaggi in altri Paesi europei per motivi di lavoro o per turismo. Recentemente qualcuno si è chiesto “che cosa ha fatto o sta facendo l’Europa contro il coronavirus?” Intanto è bene precisare che l’UE “non definisce le politiche sanitarie, né l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. La sua azione serve invece a integrare le politiche nazionali e a sostenere la cooperazione tra gli Stati membri nel settore della sanità pubblica” [1]

La sanità non rientra infatti tra le competenze esclusive dell’UE, bensì tra: a) le competenze dette concorrenti circa “i problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente Trattato” (art.4, TFUE di Lisbona), e b) le competenze dette di sostegno (coordinamento e completamento dell’azione degli Stati) per quanto riguarda “la tutela e il miglioramento della salute umana” (art. 6 del TFUE).

Ciò significa che, in base ai principi fondamentali di proporzionalità e di sussidiarietà stabiliti dai Trattati e a cui si ispira l’UE , l’azione delle istituzioni europee è possibile se c’è il coinvolgimento da parte dei singoli Stati membri. Questo “coinvolgimento collaborativo” è ben definito nell’art. 168 del TFUE (punto 1, secondo comma): “L’azione dell’Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione…nonché la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”.

Quest’azione si sostanzia attraverso l’adozione di atti giuridicamente vincolanti con il coinvolgimento della Commissione, il Consiglio dei Ministri e il Parlamento Europeo (co-decisione legislativa) (ex art. 168 TFUE, punto 4 e 5).

Cosa ha fatto finora l’UE a proposito del coronavirus ?

La Commissione tramite il Meccanismo europeo di protezione civile sta cofinanziando il rientro dei cittadini europei da Wuhan. Il 31 gennaio 2020 l’UE ha annunciato uno stanziamento di 10 milioni di euro a sostegno della ricerca sul coronavirus da assegnare attraverso il programma “ricerca e innovazione” del Fondo europeo Horizon. La situazione è seguita dal Commissario europeo Janez Lenarcic (gestione delle crisi) e dalla Commissaria europea alla salute, Stella Kyriakides, con il monitoraggio costante dell’ECDC [2]. Di recente l’Italia si + rivolta al Meccanismo di Protezione civile UE per richiedere mascherine protettive. Come ha dichiarato il Commissario Janez Lenarcic, “con il Meccanismo possiamo anche facilitare il dispiegamento sul territorio degli Emergency Medical Corps, squadre composte da medici e laboratori…e fornire sostegno logistico e finanziario per il trasporto di equipaggiamento medico tra i diversi partner UE” (la Repubblica, 28/02/2020).

L’UE potrebbe fare di più?

Federico Fubini, nell’articolo “ Perché l’Europa può fare di più”, (Corriere della Sera, 25 febbraio 2020 ) scrive: “La lezione è comunque chiara: l’Europa è uno spazio nel quale ci si sposta liberamente come dentro uno stesso Stato, ha un mercato unico dove le merci viaggiano senza controlli né attriti, ma non è pronta a difendere queste conquiste in un sistema globale che di continuo ci mette sotto pressione con sempre nuovi choc. Successe fra il 2015 e il 2017 con la crisi dei rifugiati, quando l’Italia e la Grecia furono lasciate da sole come fosse un problema loro. Rischia di succedere di nuovo con Covid-19. Di fronte a un’epidemia globale l’Europa non ha protocolli comuni di prevenzione e sicurezza, né ha standard sanitari vincolanti e validi per tutti, neppure regole chiare su come, quando e perché un Paese possa chiudere i confini su un altro per cercare di fermare un virus con il filo spinato. La Commissione europea ha ben poca colpa: le politiche sanitarie sono sempre state gelosamente custodite dai governi nazionali, come una costruzione rimasta a metà, l’Europa rischia di non resistere ai colpi di un vento che arriva da lontano. Deve completare la propria opera, senza perdere altro tempo.”

La competenza concorrente sulla sanità vuol dire che laddove i singoli stati non sono in grado di controllare un’epidemia che ’sconfina’ e mette in crisi il sistema della libera circolazione e del lavoro su scala europea, allora l’autorità europea (triangolo istituzionale) deve avere potere d’intervento con misure legislative- amministrative per tutelare tutti i beni pubblici europei che possono entrare in gioco (la salute, le quattro libertà fondamentali, il mercato unico).

Per poterlo fare deve estendere la propria competenza (che resta concorrente) nella sfera non coperta dai singoli Stati. L’estensione del potere d’intervento può avvenire nell’ambito del mandato indicato nei Trattati (art. 168, punto 5 del TFUE) che recita: “Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa Consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni, possono anche adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero…”.

Il concetto è chiaro: per tutelare la salute dei cittadini europei in caso di epidemie occorrono misure politico-amministrative a livello europeo, attraverso la codecisione Parlamento-Consiglio (dei Ministri). La Commissione può dunque prendere l’iniziativa per approntare misure di varia natura per difendere la salute dei cittadini. Il Parlamento può dibattere e definire quali misure servono per un’azione seria di contrasto nei confronti delle epidemie, il cui raggio d’azione è di tipo transfrontaliero.

Il Trattato di Lisbona offre dunque l’opportunità di estendere una competenza concorrente fino alla predisposizione di misure di carattere amministrativo. Siamo dunque in presenza di un caso di potenziale estensione dei “poteri impliciti”. Sempre che esista la volontà politica da parte di Parlamento, Commissione e Consiglio.

Note

[1Ripartizione delle competenze in seno all’Unione europea. Sanità pubblica. https://eur-lexeuropa.eu/legal-content

[2European Centre for Disease Prevention and Control è un’Agenzia dell’UE che valuta e controlla le minacce di malattie emergenti per coordinarne la risposta, supportando i governi nazionali. Aggiorna costantemente le valutazioni di rischio del corona virus nei Paesi europei, in Cina e nel Mondo.

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