La guerra in Ucraina ha messo per la prima volta in discussione, a distanza di tredici anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il ruolo che deve avere l’Unione europea nel mondo e nel futuro. Questo, dal momento che l’Unione e i suoi Stati membri hanno sempre sbandierato il fatto di aver garantito la pace europea per più di settant’anni. E se questo è vero - nonostante i conflitti in Ex-Jugoslavia e nella regione del Caucaso - l’invasione russa ai danni degli ucraini ha smentito questa retorica anacronistica.
Infatti, l’Unione e i suoi Stati più autorevoli (Francia, Germania e Italia) hanno dato prova che gli europei non sono in grado di garantire la pace sul suolo continentale. Cosa già nota visto il fallimento di Bruxelles di scongiurare la guerra etnica in Bosnia-Erzegovina nel 1992. E di nuovo si è fatto affidamento, per disinnescare l’escalation in Ucraina, a quella politica dell’appeasement e lassista che ha caratterizzato l’Europa industriale dal 1918 ad oggi: basti citare l’errore fatto a Monaco nel 1938.
Senza poi contare il fatto che l’Unione, nel perseguire una sua alquanto mistica strategia di sicurezza regionale, abbia sempre confuso i suoi obiettivi con quelli statunitensi, credendo che la sicurezza europea, garantita dall’ombrello nucleare della NATO (ergo Washington) potesse essere garantita dagli accordi presi tra russi, cinesi e statunitensi.
Chiaramente questa non è una novità nel contesto europeo: gli Stati membri hanno sempre preferito delegare agli USA la politica di sicurezza continentale (nulla è servito, come dimostrato ora dai bombardamenti in Ucraina, la figura dell’Alto Rappresentante PESC), concentrandosi invece a preservare i loro contatti con le altre potenze, Russia in primis, per conservare sia i loro profitti economici che di approvvigionamento energetico.
Al massimo ci si è spinti, sempre come singoli Stati europei, a intervenire in scenari dove si aveva la certezza di non indispettire eccessivamente nessuno (come, ad esempio, in Libia o nei Paesi dell’ex Africa francofona).
Ma l’invasione dell’Ucraina ha messo in chiaro che l’Unione europea e i suoi membri non hanno la benché minima postura strategica per prevenire e risolvere le crisi in Europa. E questo a causa di un ben preciso sintomo: non esiste un’Unione europea, ma solo un’unione economica-monetaria serva degli interessi dei singoli Stati. Come la stessa UE che è serva degli Stati membri che rimangono avidamente aggrappati alla loro sovranità e delegano solo il minimo indispensabile a Bruxelles, o meglio, ciò che conviene loro per tutelare il profitto dei privati.
Anche se in molti non si aspettavano che i russi sarebbero andati oltre il Donbass, era chiaro che la diplomazia europea era fallita ancor prima di nascere. Anzi, Putin si è anche preso gioco della nostra diplomazia alludendo alla sua frivolezza mentre continuava ad ammassare truppe al confine. Probabilmente l’élite politica russa avrà sogghignato a vedere gli Stati UE-NATO guardarsi disorientati mentre Biden claudicava con Putin sulle sorti degli ucraini.
È chiaro che la guerra russo-ucraina è una questione europea e non euro-americana. Volendo distanziarci dagli arrivisti della geopolitica e delle relazioni internazionali, l’invasione non è scaturita dalla semplice volontà di Kyiv di aderire alla NATO, sebbene sia sicuramente uno dei motivi che ha spinto Mosca alla guerra, ma piuttosto dal desiderio russo di assicurarsi la sua preminenza in un territorio strategico e ricco di materie prime (carbone, ferro, gas, petrolio, uranio, eccetera) [1]. Sempre Mosca si è appigliata ad anacronistiche retoriche sull’appartenenza di alcuni territori ucraini alla Russia e alla volontà di difendere la minoranza russa nel Paese; se innegabile che siano state compiute delle atrocità contro la minoranza russa in Ucraina, è altrettanto vero che Mosca non si è mai dimostrata volente a perseguire una strada pacifica per la risoluzione del problema.
In ogni caso, quello che deve interessare i cittadini europei e coloro che credono nel progetto federalista è che non si può più pretendere di rimanere ai lati della politica continentale e globale, lasciando che siano gli Stati Uniti a determinare la comune sicurezza. Nonostante il cataclisma in Ucraina, qualcosa di positivo per il futuro dell’Unione potrebbe accadere.
Anche se in ritardo, per la prima volta nella sua storia l’Unione è stata in grado di convenire sulla necessità di dare un aiuto concreto a una parte offesa da un’aggressione armata: cioè provvedere all’acquisto e alla consegna di armi e altro equipaggiamento all’Ucraina [2]. Una rivoluzione per quanto riguarda la politica estera europea, che passa dal finanziare altri Paesi per tenere a freno i flussi migratori verso l’Unione al dare un contributo serio a chi si trova in difficoltà, senza limitarsi solo a qualche slogan ipocrita e puerile.
Questo è un primo concreto passo verso quello che dovrebbe essere l’Unione europea, una potenza capace di influire concretamente nei suoi scenari d’interesse e di porsi come attore rilevante dinanzi agli altri attori globali. Come detto, è un primo passo. Non deve essere l’unico. L’Ucraina rappresenta un momento storico nella storia dell’Unione e pone tutti gli Stati membri dinanzi a un ben preciso quesito: rimanere quello che si è e pertanto essere marginali nel contesto geopolitico globale o accelerare il processo d’integrazione europea per essere pronti alle sfide future? Domanda da porsi soprattutto ora che la retorica della globalizzazione - quell’idea che l’interconnessione globale dei giorni nostri sia sufficiente per prevenire i desideri di potere ed espansione dei singoli Stati - si è dissolta.
L’Unione ha davanti a sé l’opportunità di attrarre tutti quelli che fino a poco tempo fa vedevano la Russia di Putin come unico baluardo contro l’intensificazione del capitalismo, percezione frutto di una ben architettata propaganda mediatica delle agenzie d’informazione di Stato, e tutti quelli che chiedono la tutela degli individui contro gli interessi delle multinazionali.
Un’opportunità che si era avuta negli anni Novanta, ma che non fu sfruttata a dovere dall’allora Comunità Economica Europea (CEE). Per la riuscita di questo è necessario che gli Stati membri comprendano - e, a quanto pare, hanno compreso - che come attori singoli hanno un impatto scarso sulla scena internazionale e che vi è il bisogno di delegare all’Unione i necessari poteri perché sia fatto valere l’interesse di sicurezza e strategico di tutti noi.
Bisogna perciò abbandonare quella politica dell’appeasement e del lassismo che ci ha caratterizzato per più di cento anni ed emergere tra gli attori rilevanti in un’entità finalmente unita. Perché è chiaro che continuare a delegare a Washington le nostre questioni di sicurezza non sia più una strada percorribile per il futuro. Ciò non significa, chiaramente, imporre la rottura con gli USA, ma piuttosto l’identificazione chiara e decisa dell’interesse europeo che è differente da quello statunitense.
La prova è facilmente deducibile da quanto segue: sono gli Stati membri a dover ospitare i rifugiati ucraini ed è sempre l’Unione a dover pagare maggiori prezzi per continuare a ricevere i rifornimenti di gas dalla Russia. Non Washington.
In questo senso, gli Stati Membri devono delegare a Bruxelles i necessari poteri per perseguire una concreta politica di transizione energetica dagli idrocarburi alle fonti energetiche, sia rinnovabili che alternative. Questo per poter garantire la sicurezza energetica ai cittadini europei che è sempre dipesa dalle importazioni esterne, russe in primis.
Ma quello che deve premere di più gli Stati membri è la corsa contro il tempo per intercettare tutti quelli che ora sono “delusi” dal comportamento di Mosca e per fare ciò vi è il bisogno che si metta mano all’agenda UE per mettere in chiaro gli obiettivi futuri: servono decisioni concrete sul percorso di adesione dei Paesi balcanici, serve una politica estera e di difesa comune concreta, una politica economica comune, una transizione energetica concreta, il rispetto dello Stato di diritto e la lotta alle derive nazionaliste. Serve abbandonare l’ambiguità politica che ha caratterizzato questi aspetti finora e prendere decisioni ferme.
È necessario, pertanto, che vi sia una chiara scelta sulla futura strada che gli Stati europei vogliono intraprendere e soprattutto essere disposti a prendere con coraggio le redini di quello che è il futuro comune. Perché il rimanere in disparte e seguire in tutto e per tutto le politiche USA per isolare la Russia dal continente non è profittevole come si è visto. Anzi, è il momento di trovare un punto d’incontro con Mosca e portarli all’interno dell’impianto di sicurezza dell’Europa: perché una Russia fuori fa più paura di una Russia all’interno.
Segui i commenti: |