L’unione fa la forza.

Istituzioni, lavoro, economia e fiscalità, ambiente, migranti: come e perché è necessaria.

, di Antonio Longo

L'unione fa la forza.

I temi centrali di questa fase politica (ed elettorale) europea sono esattamente quelli attorno ai quali si manifesta più fortemente la crisi: la bassa crescita economica, la questione migratoria e la sicurezza, cioè la questione della difesa e della politica estera europea.

Negli ultimi due-tre anni si è registrata una piccola ripresa dell’economia europea, come effetto combinato dell’azione della BCE di Draghi (quantitative easing), del Piano triennale di investimenti lanciato dalla Commissione Juncker e dell’azione di quegli stati che avevano margine di manovra sul proprio bilancio, grazie ai conti in ordine (quindi non l’Italia, non a caso fanalino di coda della crescita, da anni, in Europa).

Con la guerra dei dazi inaugurata dal presidente americano, si è innescata la retromarcia, abbassando la propensione agli investimenti da parte del settore privato e pubblico. E ciò avviene nella fase in cui lo sviluppo dell’economia mondiale è strettamente legato a due problemi di ordine globale: la questione ambientale e quella dell’ineguale distribuzione delle risorse nel mondo.

E’ necessario allora ripensare i termini di base dello sviluppo: questo deve essere, ad un tempo, sostenibile ed equilibrato.

Lo sviluppo è sostenibile se, innanzitutto, si fonda su risorse finanziarie certe e disponibili, i cui costi non si scaricano sulle generazioni future (aumento del debito pubblico) e/o su altri stati, con i quali si condivide la stessa moneta (Eurozona) oppure sui quali si esercita il potere della propria moneta (egemonia del dollaro). In secondo luogo lo sviluppo è sostenibile se i benefici materiali che ne derivano non mettono a repentaglio l’ambiente. In altri termini, lo sviluppo deve essere perseguito attraverso l’impiego, sempre più crescente, di energie rinnovabili. Ciò significa che l’umanità deve affrontare il problema del superamento, anche in tempi rapidi, dell’era del carbonio e puntare sulle nuove energie del solare o a bassa emissione di CO2.

In terzo luogo la sostenibilità deve essere anche sociale. La transizione verso la nuova economia comporterà dei costi, sia in termini occupazionali sia di prezzo dell’energia tradizionale, che dovrà essere disincentivata. Occorre allora predisporre politiche sociali a sostegno sia dell’occupazione sia del reddito delle fasce più svantaggiate della popolazione.

Da questo punto di vista quale dovrebbe essere la strategia dell’Unione Europa? Essa dovrebbe assumere la leadership della transizione verso l’economia sostenibile. L’euro le garantisce la stabilità della moneta, quindi di conti pubblici in ordine (se si considera l’Eurozona in termini complessivi), teoricamente in grado di dar vita ad un grande piano investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo di fonti energetiche rinnovabili. Ha però bisogno di un bilancio più forte (oggi è ancora l’1% del PIL europeo, contro il 24% di quello americano) e questo si può ottenere solo ricorrendo a nuove risorse, non più fornite dagli stati membri, Quindi, vere “risorse proprie”, per poter perseguire obiettivi strategici definiti. Innanzitutto la “carbon tax”, per colpire le emissioni di CO2, disincentivando la produzione dei combustibili fossili; la “webtax” per tassare i giganti del web nel luogo in cui producono i profitti, anziché continuare a consentire l’utilizzo dei paradisi fiscali; la “tassa sulle transazioni finanziarie” per colpire la speculazione internazionale e alimentare invece una finanza sostenibile; un criterio uniforme di tassazione delle imprese (corporate tax) in Europa, per evitare concorrenza sleale tra i Paesi membri. L’avvio di un sistema di tasse “federali”, volte a gestire beni pubblici europei, sarebbe inoltre un potente incentivo per rivedere i criteri di fiscalità all’interno dei singoli sistemi nazionali, sulla base dei principi di sussidiarietà (capacità fiscale adeguata al livello del bene pubblico da tutelare): principi che, se ben applicati, comporterebbero un riequilibrio generale del prelievo fiscale, se non, addirittura, una sua riduzione.

Queste sono solo alcune indicazioni delle potenzialità dell’UE sul fronte delle ‘risorse proprie’ e della capacità fiscale (un primo tema che dovrebbe entrare anche nel dibattito elettorale), indispensabile per avviare un piano di sviluppo sostenibile, che andrebbe pensato non solo per l’Europa in quanto tale, ma anche, in prospettiva, per l’Africa.

E qui veniamo alla seconda questione, quella dei flussi migratori, che costituiscono la grande questione sociale globale del XXI secolo, come lo fu quella operaia nel XIX e nella prima metà del XX secolo. L’Africa passerà da una popolazione di 1,1 a 2 miliardi nel giro di trent’anni. E’ un continente dotato di grandi risorse naturali, ma distrutto da guerre intestine, da politiche predatorie neo-colonialistiche da parte di USA, Cina e di diversi Stati europei, dai cambiamenti climatici (desertificazione e crisi idrica) e dallo stesso terrorismo. Tutte questioni che alimentano flussi migratori imponenti e incontrollati, interni e verso l’Europa. Per rovesciare questa tendenza l’Africa ha bisogno di unità e di sviluppo. Senza l’avvio di un processo di unità africana (come quello avviato in Europa negli anni ‘50) non ci può essere autonomia verso le grandi superpotenze. L’Europa deve incoraggiare questo processo di unità, perché è anche nel suo interesse che l’Africa si stabilizzi politicamente, se non altro per poter gestire gli stessi flussi migratori. Inoltre l’Europa ha interesse che l’Africa si sviluppi economicamente: può fornire la tecnologia per un grande piano di elettrificazione (da energia solare) e per superare la crisi idrica. L’Africa che si sviluppa porterebbe le migrazioni a un livello fisiologico (fine delle “paure” degli Europei) ed assicurerebbe un ritorno degli investimenti europei. Sarebbe una strategia vincente per entrambi i continenti. Una strategia che può essere efficace se c’è un governo europeo reale, legittimato democraticamente (governo federale): ciò significa che la Commissione europea deve iniziare a gestire direttamente i flussi migratori (ponendo fine alla politica fallimentare degli stati) e lanciare il piano per l’Africa.

E questo dovrebbe essere pure un secondo, importante tema anche di questa campagna elettorale.

Esiste infine il problema della posizione dell’Europa nel mondo, che non è più quello dell’equilibrio bipolare, ma che si sta assestando su potenze continentali: gli USA, la Russia, la Cina, l’India e ora anche, in prospettiva, il Brasile. L’Europa deve decidere se essere parte di questo nuovo assetto mondiale, per avere una voce in capitolo sui temi della salvezza ambientale, della pace (contro il riamo nucleare) e di una più equa distribuzione delle risorse mondiali oppure essere “campo di battaglia” tra le potenze mondiali, come furono gli staterelli italiani dal Seicento in poi. Per essere protagonista l’Europa deve avere una propria politica estera e una capacità di difesa. Per ottenere questo risultato occorre superare un handicap di natura istituzionale: il potere di veto degli Stati nelle decisioni che riguardano la difesa, la politica estera (e la fiscalità). Occorre invece che su questi temi il Consiglio (dei Ministri), l’organo legislativo che rappresenta gli Stati, possa votare a maggioranza (e non più all’unanimità), così come il Parlamento europeo, l’organo legislativo che rappresenta i cittadini. Il tabù del potere di veto va eliminato. Altrimenti non potrà mai formarsi – su questi temi – una decisione europea e democratica.

La sovranità è concretamente la capacità di decidere. Se gli Europei vogliono essere sovrani devono poter disporre di un governo federale, legittimato di fronte ad un Parlamento che può decidere (a maggioranza semplice) anche su difesa, fiscalità e politica estera ed un Consiglio che anch’esso decide a maggioranza (anche qualificata) su questi stessi temi.

Anche questo dovrebbe essere tema della campagna elettorale europea, per creare un vero dibattito politico tra gli Europei, sul futuro dell’Europa.

Articolo pubblicato sul mensile delle ACLI provinciali di Varese nell’aprile 2019.

Fonte immagine: Flickr.

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