La Caduta del Muro di Berlino e l’Organizzazione della Pace, Ieri e Oggi

, di Lucio Levi

La Caduta del Muro di Berlino e l'Organizzazione della Pace, Ieri e Oggi

Trent’anni fa, il 9 novembre 1989, la libertà ha celebrato una delle più belle vittorie della storia. La caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti e lo smantellamento della cortina di ferro aprirono la strada alla fine della Guerra Fredda e all’unificazione delle due Germanie – Est e Ovest – e dell’Europa orientale con l’Europa occidentale.

La fine della Guerra Fredda fu salutata come l’inizio di un’era di pace. L’entusiasmo generato da quell’evento, portò, sulla scia di un celebre libro di Fukuyama, a interpretarlo come il raggiungimento di una condizione sociale stabile, basata sul consenso universale sui principi della democrazia liberale e del capitalismo, l’ultima tappa stazionaria della storia umana, “la fine della storia” (Hegel). Era davvero un sogno ad occhi aperti ma è innegabile che siano stati compiuti progressi significativi nella cooperazione internazionale e nella riduzione delle armi di distruzione di massa. Reagan e Gorbaciov convennero che la pace è la prima priorità dei nostri tempi e raggiunsero risultati importanti nell’eliminazione delle armi di distruzione di massa, in particolare con il Trattato sulle Forze Nucleari a Medio Raggio (INF).

L’obiettivo dei governi russo e americano era di portare avanti un’azione congiunta quali sponsor di un nuovo ordine globale per il perseguimento della pace.

Così come la riconciliazione franco-tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiale, che aprì la via alla costruzione di istituzioni comuni (a partire dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – CECA), la condizione preliminare per l’intesa russo-americana era la fiducia reciproca, che costituiva la base per il progetto visionario di Gorbaciov per una Casa Comune Europea che includesse l’Europa orientale e occidentale, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Il progetto di Gorbaciov si basava su due concetti strategici – sicurezza reciproca e difesa non offensiva – e portò all’avvio, nel 1994, dell’Alleanza per la Pace, un programma di cooperazione bilaterale tra NATO e Russia. Il processo fu interrotto dagli USA, i quali, convinti di aver vinto la Guerra Fredda, adottarono una politica aggressiva nei confronti della Russia e perseguirono il progetto di diventare un impero mondiale. Ma il piano fallì, in quanto si basava su una percezione distorta delle relazioni di potere a livello mondiale.

Trump ha scelto la via del nazionalismo, ritirando gli USA da controllo degli armamenti, commercio internazionale e trattati e accordi per l’ambiente. Inaspettatamente, dopo la caduta del muro di Berlino, nuovi muri sono stati eretti, più poliziotti sono stati dispiegati ai confini nazionali, più profughi sono stati respinti. È iniziato un nuovo ciclo politico, ispirato dall’illusione che il ritorno al nazionalismo possa offrire protezione contro le paure e i pericoli generati dalla globalizzazione. Vale la pena ricordare un fenomeno concomitante, cosiddetto di “degrado culturale”, che caratterizza la nuova era: il fatto che i risultati della ricerca scientifica, specialmente quelli che riguardano la protezione dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, vengano messi in dubbio e respinti da leader politici di destra. È un sintomo allarmante della regressione culturale in atto, nonché del peso degli interessi di breve termine. Insomma, le tensioni internazionali crescenti, il ritorno della politica di potere e dell’anarchia internazionale ci fanno temere un ritorno della guerra.

L’unica alternativa a questa ideologia reazionaria è adeguare le istituzioni politiche alle dimensioni globali acquisite dai mercati e dalla società civile in modo da rendere possibile il governo della globalizzazione. Ciò a dimostrazione che lo scontro tra nazionalismo e federalismo è il leitmotiv dell’era post-Guerra Fredda. È questo il messaggio più importante che ci ha trasmesso il Manifesto di Ventotene.

Si tende a sottovalutare il ruolo stabilizzatore svolto dall’UE dalla caduta del muro di Berlino. Di fatto, senza l’allargamento a Est dell’Unione, l’Europa orientale sarebbe stata fatta a pezzi da guerre civili e conflitti etnici. Solo la ex-Jugoslavia e l’Ucraina hanno sperimentato quello che generalmente accade quando cade un impero: un bagno di sangue. L’UE potrebbe veramente essere, con la Russia, il promotore della costruzione di uno spazio comune di fiducia e sicurezza da estendere in futuro agli altri protagonisti della politica mondiale. I vecchi trattati per il controllo degli armamenti, dai quali EU, Cina e India sono esclusi, sono ormai inadeguati e l’esigenza di un piano globale per la pace è vitale.

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Il trentesimo anniversario della caduta del Muro si avvicina e la questione della tutela della libertà e dei diritti umani è nuovamente al centro del dibattito politico. La sfida arriva dalle cosiddette “democrazie illiberali” la cui influenza, nel nostro secolo, è in crescita. Alcuni leader neo-liberisti rinnegano i principi democratici in favore di idee autoritarie, nazionaliste e razziste; è ciò che sta accadendo negli USA con Trump, in Russia con Putin, in Brasile con Bolsonaro, in Ungheria con Orbán, in Turchia con Erdoğan, in India con Modi, nelle Filippine con Duterte.

In un’intervista al Financial Times, durante il G20 in Giappone, lo scorso giugno, Vladimir Putin ha dichiarato che “il liberalismo è diventato obsoleto. Questa idea è entrata in conflitto con la maggioranza della popolazione”. In realtà, la dichiarazione di Putin descrive solo una parte della verità, infatti, come rilevato nel rapporto Freedom in the World 2019, pubblicato da Freedom House, il 2018 è stato il 13° anno consecutivo di declino della libertà globale. Ma l’arretramento generale della democrazia non significa che i principi di libertà, stato di diritto e diritti umani abbiano fallito. Per citare solo un esempio, le manifestazioni di massa a Hong Kong contro il dominio cinese dimostrano che i valori democratici continuano ad esercitare una forte attrattiva. In realtà, il motivo per cui le democrazie liberali perdono consenso sta nel fatto che esse si limitano ad applicare i propri principi solo a livello nazionale e non riescono ad estendere la portata dei propri valori e istituzioni al livello internazionale.

Ciò che è obsoleto è lo stato nazionale e la sua stessa sopravvivenza nell’era della globalizzazione. Mentre i centri privati di potere come la finanza internazionale, le multinazionali o le organizzazioni criminali hanno assunto una dimensione globale e acquisito una sempre maggiore libertà d’azione nei confronti dei poteri statali.

È qui che affonda le radici il declino dello stato sovrano che sarà superato solo attraverso l’istituzione di nuove forme di stato a livello regionale e mondiale. Questa è la condizione che consentirà di ristabilire il primato della politica sui mercati globali e sulla società civile globale.

Secondo la teoria federalista, il limite del modello nazionale è costituito dal carattere esclusivo della solidarietà nazionale che non tollera alcuna lealtà verso le comunità più piccole o più grandi della nazione stessa. Il modello federale è una formula istituzionale che prevede la coesistenza della solidarietà nei confronti di comunità territoriali di dimensioni diverse, dalle piccole comunità locali fino al mondo intero. Il modello federale deve essere visto come il superamento, e non la distruzione, del modello nazionale. È una riorganizzazione del governo in due direzioni: verso l’alto e verso il basso. In effetti, il disegno federalista migliora i limiti della democrazia nazionale che è in declino a causa dell’eccessiva concentrazione del potere nelle mani dei governi nazionali. Questo miglioramento si ottiene aggiungendo nuovi livelli di governo, partecipazione popolare e cittadinanza, al di sopra e all’interno delle nazioni.

Fonte immagine: Pink Floyd, «The Wall» (ricordiamo che è il 40° anniversario dell’album).

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