Da quando, nell’autunno del 2011, un gruppo di federalisti ha cominciato a riflettere sulla necessità di dotare l’eurozona di un bilancio autonomo, il MFE ha fatto passi avanti con la richiesta di un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione; alcuni governi, soprattutto quello francese, hanno fatto propria la richiesta di un bilancio per l’eurozona; l’UE ha deciso di istituire una linea di bilancio dedicata all’eurozona all’interno del bilancio UE; Draghi, nel suo discorso di commiato, ha precisato quali altri passi si possono fare in questa direzione. La mozione di politica generale, approvata recentemente dal Congresso MFE di Bologna, viceversa, presenta un quadro politico di difficile interpretazione e contiene affermazioni contraddittorie. Essa, quindi, più che l’indicazione delle cose da fare, può essere piuttosto il punto di partenza di una discussione, e il presente articolo prova a dare un contributo in tal senso.
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La crisi economico-finanziaria che, dopo essere esplosa negli USA, si è estesa al continente europeo, ha messo in luce la necessità di dotare l’eurozona di un proprio bilancio. Si tratta di una richiesta già avanzata da Trichet e che Draghi ha ripreso in più di un’occasione, l’ultima delle quali nel discorso di commiato dello scorso 28 ottobre. In questa circostanza, Draghi, ha fatto presente una realtà con la quale bisogna fare i conti, se si vogliono fare passi avanti verso una capacità fiscale dell’eurozona, quando ha detto che “nella nostra unione monetaria, sono le politiche nazionali a svolgere il ruolo principale nella stabilizzazione di bilancio, in misura maggiore rispetto alle politiche a livello statale negli Stati Uniti”. Questa è una differenza di fondo tra UE e USA di cui occorrerà tenere conto, anche se Draghi si è affrettato ad aggiungere che “le politiche di bilancio nazionali non sempre possono garantire il giusto orientamento per tutta l’area dell’euro”, sostenendo che “l’area dell’euro ha bisogno di una capacità di bilancio di entità e struttura adeguate: sufficientemente ampia per stabilizzare l’unione monetaria”.
Draghi ha però chiarito tre cose. La prima è che la capacità di bilancio deve essere “pensata in modo tale da non creare un eccessivo azzardo morale”. La seconda è che “la storia ci insegna che i bilanci raramente sono stati creati per il fine generale di stabilizzare [l’economia]”, confermando quanto contenuto nel documento franco-tedesco dello scorso anno, secondo il quale “no budget has ever been created mainly for macroeconomic stabilisation purposes”. La terza è che una capacità di bilancio viene istituita “per conseguire obiettivi specifici nel pubblico interesse. Negli Stati Uniti è stata la necessità di superare la Grande Depressione a determinare l’espansione del bilancio federale negli anni ’30”, sottolineando che “forse, per l’Europa, vi sarà bisogno di una causa pressante come l’attenuazione dei cambiamenti climatici per realizzare questa dimensione collettiva”.
Il Rapporto MacDougall (Commission of the European Communities, Report of the study group on the role of public finance in European integration, 1977) era arrivato alle stesse conclusioni. Esso, prima di tutto, prendeva in esame i servizi pubblici offerti a livello nazionale e dopo avanzava ipotesi in merito a quali di essi dovessero essere trasferiti a livello europeo in due successive fasi di integrazione europea: pre-federale e federale. La politica di stabilizzazione, a livello europeo, veniva quindi analizzata dal Rapporto solo a seguito delle funzioni pubbliche trasferite dal livello nazionale, principalmente con riferimento all’assicurazione contro la disoccupazione, la politica regionale e altre politiche settoriali. Pertanto, la politica di stabilizzazione a livello europeo – nella gestione della quale un ampio ruolo veniva riservato al coordinamento delle politiche di bilancio nazionali - si attuava, secondo il Rapporto, attraverso una gestione discrezionale di funzioni pubbliche previamente attribuite al livello europeo, in stretta connessione con una politica monetaria europea e con una limitata capacità europea di indebitamento. Infatti, gli stabilizzatori automatici, per un periodo di tempo indefinito, avrebbero avuto un ruolo molto limitato.
Draghi, quindi, ha certamente affermato che l’eurozona ha bisogno di una capacità di bilancio sufficientemente ampia per stabilizzare l’unione monetaria, ma ha anche detto che questa deve evitare l’azzardo morale ed essere finalizzata ad offrire un bene pubblico europeo, come può essere l’ambiente, il caso da lui citato, ma a cui si può aggiungere la difesa, elemento fondamentale di una statualità europea. Chiedere una politica di stabilizzazione che non sia collegata alla fornitura di un bene pubblico sovranazionale non sembra dunque avere alcun senso.
Riguardo alla necessità che una capacità di bilancio dell’eurozona debba evitare l’azzardo morale, è sufficiente riflettere un attimo sulle politiche regionali condotte a livello nazionale, per rendersi conto del massiccio dispendio di risorse che può comportare una politica economica senza adeguati controlli. Tanto che, a fronte delle insistenze di Macron per un bilancio dell’eurozona, la risposta è stata sì positiva, ma con poche risorse messe a disposizione e per due ragioni. Innanzitutto, quello che il Presidente francese chiede sono quelli che negli USA sono chiamati “unconditional grants” (contributi incondizionati). Se fossero finanziamenti di altro tipo, come i fondi messi a disposizione del Meccanismo Europeo di Stabilità, sarebbero prestiti, e non contributi, e sarebbero condizionati all’attuazione di riforme radicali del sistema economico. In secondo luogo, perché Macron non ha mai chiarito bene quale tipo di “sovranità europea” si dovrebbe esercitare su questo bilancio. Su questo punto e sul resto, la mozione di politica generale del MFE presenta aspetti piuttosto controversi e che si prestano ad una serie di riflessioni.
La prima riguarda la prospettiva del passaggio dall’Europa attuale ad un “nuovo nucleo federale” che, secondo il testo, spetterà non ai 27, o 28, paesi membri, ma “molto più probabilmente” spetterà “ad un gruppo di Stati [enfasi nostra] il passaggio dall’Europa comunitaria a prevalente guida intergovernativa ad una Europa veramente sovrana, democratica, federale”. Il “gruppo di Stati” di cui si parla non è ben individuato, ma l’affermazione lascia pensare che si tratti di un gruppo di Stati comunque autonomamente in grado di dare vita ad un’Europa federale. Tuttavia, poco dopo, con riferimento alla “profonda ed organica riforma istituzionale per rendere l’Europa sovrana”, nella mozione si sostiene che innanzitutto serve “la creazione di un bilancio federale almeno a livello dell’Eurozona” [enfasi nostra]. Ora, se è vero quanto sosteneva Hannah Arendt, secondo la quale “ogni volta che è in gioco il linguaggio, la situazione diventa politica per definizione, perché è il linguaggio che fa dell’uomo un essere politico” (H. Arendt, Vita activa, 1994), la responsabilità primaria dei federalisti deve essere quella di utilizzare un linguaggio chiaro, per cui o ci si riferisce ad “un gruppo di Stati”, oppure ai paesi “dell’Eurozona”, perché una cosa esclude l’altra e la strategia da seguire non può essere la stessa.
Tuttavia, le perplessità non si limitano a questo. Sollecitando l’avvio di uno European Green Deal, si sostiene anche la necessità di introdurre una Carbon border tax. Ma se è vero quanto si è appena detto sopra, queste richieste lasciano il tempo che trovano, essendo in evidente contraddizione con la strategia del “gruppo di Stati” o, anche, dei paesi “dell’Eurozona”. L’introduzione di una Carbon border tax, per definizione, deve essere introdotta a livello dell’UE, altrimenti si violerebbero le regole del mercato comune. Non è chiaro, dunque, come sia possibile coniugare la richiesta, più che condivisibile, di un’ambiziosa politica ambientale europea e quella di un’Europa federale realizzata da un gruppo di Stati.
Sempre con riferimento alla mozione di politica generale, si può fare un ultimo esempio. L’obiettivo dichiarato è, come già detto, quello di un’ ”Europa veramente sovrana, democratica e federale”. Il richiamo ad un’Europa sovrana è però fuorviante. L’UE attuale è dotata di alcune istituzioni federali: la Corte di giustizia; il parlamento europeo eletto direttamente; il mercato interno; la moneta europea. Essa è anche dotata di competenze esclusive in materia di politica commerciale e della concorrenza, alle quali si possono aggiungere, secondo un recente parere della Corte di giustizia, la politica dello sviluppo sostenibile e la politica delle energie rinnovabili. Verrebbe dunque da chiedersi quale potrà essere il grado di sovranità di “un gruppo di Stati”, quando quest’ultimo dovrà condividere istituzioni federali che fanno capo all’UE e competenze europee esclusive tutt’altro che secondarie. Anche il richiamo alla necessità di promuovere un’Unione europea della difesa porrebbe dei problemi al “gruppo di Stati”. L’UE ha la proprietà di due infrastrutture spaziali, Galileo e Copernicus, senza le quali nessuna operazione militare all’interno o all’esterno dei confini europei è possibile. Al “gruppo di Stati” non rimarrebbe che bussare alla porta di Bruxelles o di Washington, essendo privo di senso politico, prima che economico, dotarsi di ulteriori infrastrutture dello stesso tipo. Ciò porterebbe dunque a concludere che il “gruppo di Stati” tutto sarebbe, fuorché sovrano, anche perché l’Europa sovrana di cui si parla sarebbe l’esito di un “trattato” che, per definizione, è stipulato tra Stati sovrani. Ma vi è di più.
Il finanziamento della capacità di bilancio del “gruppo di Stati” o dei paesi “dell’eurozona” dovrebbe avvenire con un’imposta europea, Carbon border tax, Web tax, o altro. Il modello fiscale che verrebbe così prospettato sarebbe quello di un sistema politico fondato sulla competizione fiscale tra diversi livelli di governo, tipica del modello tradizionale di Stato federale, basato sull’autonomia impositiva di ogni livello governo. Francesco Rossolillo, a suo tempo, aveva fatto giustamente notare che “nella realtà, l’applicazione di questo modello dà luogo a una competizione tra fisco federale e fisco statale che, di fronte al limite invalicabile costituito dalla capacità contributiva dei cittadini, può raggiungere un punto di equilibrio soltanto con la subordinazione del livello più debole al livello più forte” (F. Rossolillo, Città, territorio, istituzioni, 1983). In conseguenza, “la soluzione del problema della ripartizione del gettito delle imposte non può essere affidata né a un singolo livello di governo, né alla competizione tra i livelli, ma a un organo – o a un meccanismo – che abbia i requisiti della neutralità rispetto ai diversi livelli di autogoverno, della democraticità e della elasticità”. La proposta avanzata da Rossolillo era che la ripartizione territoriale delle risorse avvenisse con una norma di natura costituzionale e fosse definita con una Convenzione che riunisse il Parlamento europeo ed i rappresentanti dei livelli inferiori di governo, vale a dire nel contesto di una sovranità fiscale condivisa, cioè riferita ad una comunità federale nuova, composta da cittadini e nazioni storicamente consolidate.
La Conferenza sul futuro dell’Europa è indubbiamente un’occasione da cogliere per discutere dei passi avanti che devono essere compiuti per rafforzare l’UE modificando, se necessario, in tutto o in parte, i trattati esistenti. Tuttavia, va ricordata una metafora attribuita a Spinelli, secondo cui “il Movimento deve comportarsi come un animale da preda, per cui se gli capita un’antilope deve saltare addosso all’antilope, ma se gli passa accanto un coniglio, va bene anche il coniglio”. La Conferenza, ad oggi, è “un coniglio”. Per farne “un’antilope” sarà necessaria l’azione (politica) federalista, la quale dovrà indicare quali beni pubblici deve fornire l’UE ai cittadini europei ed i passi formali da compiere nel caso in cui non tutti i paesi europei fossero disposti ad agire. Grazie all’iniziativa di Macron, che ha posto il problema del futuro della NATO e della difesa europea ed ha ripetutamente aperto alla Russia, la politica di sicurezza e di difesa non solo è diventato il tema di un dibattito europeo, ma soprattutto il bene pubblico europeo su cui impostare l’azione federalista. Il resto, potenziamento del bilancio europeo o dell’eurozona che sia, seguirà.
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