La CEDU, o il diritto ai diritti

, di Davide Emanuele Iannace

La CEDU, o il diritto ai diritti
Fonte: European Court of Human Rights (Strasbourg) , Wikimedia, https://en.wikipedia.org/wiki/File:European_Court_of_Human_Rights.jpg

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è un documento firmato a Roma il 4 novembre del 1950, entrato in vigore tre anni dopo, nel 1953. Ad oggi ne son firmatari tutti e quarantasette i paesi membri del Consiglio d’Europa.

Non scenderemo nei dettagli di cosa la CEDU, sigla della convenzione, esattamente faccia. Si occupa, anche grazie alle numerose (circa 14) integrazioni successive, di un vasto range di diritti umani, considerati come inalienabili, necessari. Col tempo molti dei paesi firmatari hanno conformato il proprio sistema legislativo ad alcuni dei principi cardine della CEDU. Nel 2009, la stessa Unione Europea è entrata come entità internazionale all’interno della CEDU, entrata sancita anche nel Trattato di Lisbona.

Nonostante quindi la CEDU abbia una copertura per un’area che trascende i confini di Europa e Asia, coinvolgendo paesi quali la Russia, i membri dell’Unione (contemporaneamente firmatari come nazionima anche come Unione) e la Turchia, non si può dire che non manchino i casi di violazione dei suoi principi.

La CEDU si scaglia con forza contro la tortura, contro l’uccisione ingiustificata degli individui, l’ingiusta incarcerazione. Difende il diritto alla vita, ad esprimere il proprio essere nel rispetto dei propri diritti come essere umano, i diritti di esprimersi, associarsi, credere in quel che si vuole. Non ha perfettamente funzionato in alcune delle sue parti. Casi e discussioni dentro e sulla CEDU han popolato la sua storia. Molte cause mosse e portate dinanzi il suo tribunale han sancito, con ancora più forza, la validità dei principi che ha sancito nel corso degli anni in cui è stata in vigore.

Diritti che oggi, più che mai, sembrano appesi a dei fili sottili, quasi invisibili e trasparenti. È vero che la battaglia per la loro conquista si è più che mai combattuta durante i periodi di crisi, i crocevia della storia. È nei momenti in cui la via appare più nebulosa, che le polveri delle guerre e dei conflitti, sociali, culturali, politici, si son posate, che in generale si è avuta una rinnovata spinta verso nuove, essenziali, conquiste nel campo dei diritti umani e politici.

Quante volte nuovi diritti vengono sanciti solo nel momento in cui sorge la loro stessa messa in discussione. Nulla può essere dato per garantito fino al punto in cui non si arriva allo scontro, alla discussione. Nella discussione poi il diritto emerge con la certezza della sentenza, e spesso delle nuove sanzioni contro coloro che provano ad offenderli e violarli. Senza gli scontri del G8 di Genova, tristemente noti, non sarebbero nemmeno saliti alla ribalta però una serie di problematiche legate all’uso della forza pubblica, né sarebbe iniziato un dibattito, mai realmente concluso, sulla trasparenza nelle operazioni di pubblica sicurezza. Il cambiamento, come in natura, avviene solo grazie a eventi, grazie a storture e rotture che qualcuno decide di mettere in ordine. Vale spesso anche per i passi indietro, come la Polonia dimostra.

Gli stessi principi contenuti nel CEDU son stati ratificati e approvati da governi e parlamenti, certo. Allo stesso tempo han visto la loro diffusione e conferma d’essere grazie a quelle discussioni che han visto qualcuno cercare di portare quei diritti dall’essere scritti e appartenenti al mondo della teoria giuridica ad una fattualità attuativa e attuabile.

Questo 2020 non si sta dimostrando, sul fronte dello scontro dei diritti, come una sfida che vede questi ultimi in posizione di vantaggio. In apparenza, il percorso intrapreso da molti governi e da molti governanti, soprattutto, sia di una difficile deriva autoritaria. Di per sé, al di fuori dell’Europa, abbiamo esempi a bizzeffe. La Cina, una delle principali superpotenze globali, non è una democrazia nel senso più puro del termine. Non potremmo sognarci di dire che i suoi cittadini siano capaci di esprimere qualsiasi voglia di potere e pressione verso il loro governo (a meno che non siano membri del Politburo o dell’élite) senza aspettarsi da questo una forte reazione. Gli Stati Uniti, di cui al momento della scrittura non sono ancora noti gli esiti della prossima elezione ventura [1], sono stati affidati per i scorsi quattro anni al potere di un elemento instabile nel panorama globale, Trump, capace di fare delle miscele tra interessi privati e pubblici da fare invidia a certi tirannisiracusani. Un elemento tipico di molti governi dalla deriva autoritaria, che portano l’essere personalistico al centro della scena politica, monopolizzatore del discorso pubblico, dei pensieri della loro opposizione e del cuore dei propri supporter. Soprattutto grazie a scelte spesso estreme, violente nell’atto e nella parola. Il potere di Orbán rispetto ai tre poteri, i tentativi polacchi di ridurre l’indipendenza del potere legislativo rispetto quello esecutivo (con le conseguenti lacrime di Montesquieu), l’approccio all’immigrazione di personaggi come Salvini e Le Pen, non sono tentativi che vivono oltreoceano, in altri continenti, ma nel cuore dell’Europa.

È pensando a persone come loro, a politicanti che fanno di paura, terrore, panico, come dimostrato dalle parole lanciate dopo i fatti di Nizza di pochi giorni fa, che la CEDU diventa uno dei fari ispiratori della vita sociale e politica di chiunque sia interessato a difendere i diritti umani, ovunque essi siano, qualunque sia la confessione religiosa e politica.

Molto brutalmente questo vuol dire rinnovare non solo lo spirito fondativo dell’Unione Europea e della CEDU stessa, ma anche uno sguardo che sia concentrato sull’abisso che è il modello contemporaneo di neoliberismo, sulle sue storture, sugli errori commessi dagli stessi governi più addentro la galassia democratica.

Situazioni come il campo di Moria, in Grecia o gli errori nella gestione dei flussi migratori mediterranei; ancora il razzismo dilagante, ci ricordano che anche in culture che, in teoria, hanno interiorizzati dei principi quali la libertà di religione o di espressione, per dirne due, non sono esenti da errori, che ci devono spingere da un lato a riflettere sull’imperfezioneanche dei sistemi più nobilmente ispirati, e contemporaneamente al come si possono superare gli errori di tale complesso frameworkdi idee ed ideali, pur riconoscendo e ricordando che un’attuazione imperfetta non vuol dire il fallimento di ciò che gli sottostà.

Davanti attentati terroristici, di matrice interna o meno che siano, davanti le parole di politici che si fanno voce di odio e xenofobia, fomentandola e ingigantendola, non c’è bisogno di molto altro che semplicemente prende la Convenzione e ricordarci che ci sono dei principi a cui è possibile abiurare, perché tutto è possibile in questo mondo, ma che non è giusto fare. Che non è giusto abbandonare perché il loro essere un fenomeno storico non li ha resi né antiquati né antichi, non ancora almeno.

Il mondo ha bisogno di una forte alternativa alle tendenze autoritarie e xenofobe, indifferenti alla vita di chiunque sia “diverso da sé”. La CEDU rappresenta una, non l’unica, ma una delle più importanti alternative a quel modus vivendi così dannoso e letale. Sostenere la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo vuol dire abbracciarne i valori e, soprattutto, pensare che ogni essere umano meriti di esserne titolare, al di là del colore della pelle, della religione o dell’ideologia politica.

Note

[1I lettori, al contrario, potranno forse già fare i conti con i risultati

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