La Conferenza sul Futuro dell’Europa: luci e ombre (parte 1)

, di Paolo Ponzano

La Conferenza sul Futuro dell'Europa: luci e ombre (parte 1)
European Parliament, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Conclusasi il 9 maggio di quest’anno, la Conferenza sul Futuro dell’Europa è stata uno straordinario strumento democratico che ha permesso a cittadini e società civile di discutere e studiare insieme alle Istituzioni europee e nazionali il domani dell’Unione. In questo articolo di Paolo Ponzano, diviso in due parti, una dettagliata sintesi della Conferenza, con la sua storia, la sua struttura e con le proposte cui ha dato stimolo.

L’idea di convocare una Conferenza al fine di discutere i cambiamenti possibili da apportare al progetto europeo e di implicare attivamente i cittadini europei in questa discussione è stata formulata in una lettera indirizzata dal Presidente francese Emmanuel Macron a tutti i cittadini europei nel marzo 2019. Questa iniziativa costituiva un’innovazione sostanziale sul piano procedurale in quanto proveniva dal Presidente di uno Stato membro i cui cittadini avevano, nel maggio 2005, bocciato in un referendum popolare sulla ratifica di un Trattato costituzionale, poi ridimensionato nelle sue disposizioni essenziali e ratificato per via parlamentare nel 2009 sotto la denominazione di Trattato di Lisbona. L’idea soggiacente a questa iniziativa era di far partecipare direttamente i cittadini europei nella rivisitazione del progetto europeo e nell’eventuale revisione di un Trattato a cui faceva difetto, come a tutti i Trattati europei precedenti, una legittimità popolare. A questo si aggiungeva la volontà del Presidente francese di rilanciare il progetto europeo per contrastare gli effetti negativi sull’opinione pubblica del recesso del Regno Unito dall’Unione europea.

Certamente l’iniziativa del Presidente francese è stata favorita da un nuovo contesto di esperimenti di democrazia partecipativa volti a discutere e risolvere problematiche politiche complesse, svoltisi in alcuni Paesi, come l’esperienza irlandese del 2016 mirante a coinvolgere i cittadini nelle modifiche alla Costituzione, l’esperienza francese di una Convenzione sul cambiamento climatico oppure la creazione di un Consiglio dei cittadini in una cittadina belga di lingua tedesca. D’altra parte, le Istituzioni europee stesse si sono rese conto, dopo il referendum francese negativo del 2005, della necessità di coinvolgere i cittadini nel dibattito sul futuro dell’Unione europea prima di procedere a nuove riforme istituzionali. Già il Trattato di Lisbona aveva introdotto l’iniziativa dei cittadini europei nell’elaborazione di nuove leggi europee, anche se i risultati di tale partecipazione popolare sono stati estremamente deludenti.

L’avvio della Conferenza e le posizioni delle Istituzioni europee

Il progetto lanciato dal Presidente francese ha trovato il sostegno immediato del Parlamento europeo, che esitava a fare uso delle nuove disposizioni del Trattato di Lisbona (art. 48 TUE) di proporre lui stesso una revisione del Trattato senza disporre di una fonte di legittimità popolare, e della Commissione europea che ha proposto di utilizzare dei meccanismi informatici e multilingue per realizzare la partecipazione effettiva dei cittadini europei alla Conferenza. Il Parlamento europeo aveva definito la posizione più articolata e più ambiziosa sugli obiettivi e i risultati della Conferenza nella misura in cui proponeva, da un lato, di discutere senza preclusioni una vasta gamma di tematiche essenziali per il futuro del progetto europeo e prevedeva esplicitamente, dall’altro, la possibilità che la Conferenza decida di avviare una revisione dei Trattati in vigore.

Per quanto riguarda il metodo di lavoro della Conferenza, il Parlamento europeo metteva l’accento sulla necessità che “il coinvolgimento dei cittadini e della società civile organizzata costituisca l’elemento chiave di un processo innovativo e originale” e preconizzava la costituzione di “diverse agorà tematiche dei cittadini – nonché di giovani tra i 16 e i 25 anni – che fossero rappresentative delle opinioni esistenti in Europa e che permettessero ai cittadini europei di “ottenere un riscontro generale sulle deliberazioni della Conferenza … nell’ambito di riunioni sotto forma di dialogo”. Tale riscontro generale sulle deliberazioni della Conferenza avrebbe dovuto essere garantito tramite un invito rivolto ai rappresentanti dei cittadini di assistere alle sessioni plenarie della Conferenza al fine di illustrare e discutere le loro conclusioni, in modo che quest’ultime siano prese in considerazione nelle deliberazioni della sessione plenaria della Conferenza. In tal modo si sarebbe evitato il precedente negativo della Convenzione europea del 2002/2003 in cui la consultazione dei cittadini e della società civile organizzata si era svolta tramite i loro rappresentanti residenti a Bruxelles, ragion per cui tale consultazione è passata alla storia sotto la denominazione di “Brussels speaks to Brussels”.

Il Consiglio dei ministri ha assunto una posizione più “conservatrice” in quanto, da un lato, ha cercato di limitare sul piano procedurale le possibili proposte troppo innovative dei rappresentanti della società civile e, dall’altro, di mantenere un controllo “istituzionale” sui risultati della Conferenza attraverso la necessità di riunire un consenso sia tra le Istituzioni europee che in seno al Consiglio stesso per approvare le eventuali conclusioni dei lavori della Conferenza. Sul piano procedurale, il Consiglio aveva messo le mani avanti dal punto di vista giuridico rendendo pubblico un parere del suo Servizio giuridico secondo cui “le dichiarazioni comuni” delle tre Istituzioni – che sarebbero state necessarie per approvare la struttura istituzionale della Conferenza – avrebbero avuto un carattere politico e non avrebbero comportato alcun impegno giuridico da parte delle Istituzioni europee. Questa precauzione mirava ad evitare le conseguenze di una sentenza della Corte europea di giustizia del 1996 secondo cui un accordo interistituzionale potrebbe avere un carattere vincolante qualora le tre principali Istituzioni dell’Unione esprimessero la volontà di prendere degli impegni giuridici. Politicamente, il Consiglio voleva evitare un’eventuale conclusione della Conferenza a favore della revisione del Trattato di Lisbona sapendo perfettamente che una buona parte degli Stati membri era contraria a tale revisione (come poi è apparso nel mese di maggio 2022 quando tredici Stati membri hanno pubblicato un documento dichiarandosi contrari a tale revisione). Sul piano dei contenuti, il Consiglio avrebbe voluto limitare le discussioni negli organi della Conferenza all’agenda strategica adottata dal Consiglio europeo nel giugno 2019 e, sul piano procedurale, aveva proposto che le conclusioni della Conferenza facciano l’oggetto di un rapporto al Consiglio europeo. Questa posizione è stata contrastata dal Parlamento europeo che proponeva invece di redigere una lista di temi portanti, da un lato, sul contenuto di alcune politiche europee e, d’altro canto, su temi istituzionali quali lo Stato di diritto e la democrazia europea.

La Commissione europea ha preso una posizione prudente e intermedia tra il Parlamento europeo ed il Consiglio offrendosi, come detto in precedenza, di mettere in piedi uno strumento pratico che permettesse di raccogliere i pareri dei cittadini e delle organizzazioni della società civile e dichiarandosi pronta a dare seguito alle proposte o raccomandazioni emanate dalla Conferenza. Chiaramente, la Commissione non ha nascosto le sue preferenze per dare seguito alle proposte dei cittadini europei che si situassero all’interno dei trattati esistenti, ma non ha escluso di agire in conseguenza se i cittadini richiedessero una modifica degli stessi Trattati (come ha confermato poi la Presidente Von der Leyen nel suo recente discorso sullo Stato dell’Unione).

Le discussioni preparatorie tra le Istituzioni hanno condotto all’approvazione di una dichiarazione comune delle tre Istituzioni il 10 Marzo 2021 nella quale un accordo è intervenuto sia sulla struttura degli organi della Conferenza che sui temi che sarebbero stati discussi in nove gruppi di lavoro o panels dei cittadini europei. La dichiarazione è stata un testo di compromesso tra le posizioni rispettive del Consiglio e del Parlamento europeo che contiene una serie di ambiguità e che concepisce la Conferenza come un processo dal basso verso l’alto, basato sui cittadini, che dovrebbe sfociare ”in raccomandazioni concrete per le future azioni dell’Unione europea”. D’altra parte, “la portata della Conferenza dovrebbe riflettere i settori in cui l’Unione ha la competenza ad agire o in cui l’azione dell’Unione sarebbe vantaggiosa per i cittadini europei”. Questa formulazione sembra privilegiare una modifica dell’azione dell’Unione nei settori già di sua competenza ma non esclude al contempo una modifica delle competenze dell’Unione stessa.

La struttura della Conferenza: la seduta plenaria

La struttura della Conferenza riflette un compromesso tra la posizione degli Stati membri che miravano a mantenere una loro rappresentanza sostanziale nella seduta plenaria della Conferenza che assicurasse un controllo sullo svolgimento dei lavori e la posizione del Parlamento che favoriva, oltre ad una sua rappresentanza significativa, una partecipazione importante dei cittadini e della società civile. Il risultato è stato quello di assicurare una rappresentanza significativa delle strutture di potere a tutti i livelli (europeo, nazionale, regionale e locale) sulla base del principio che la legittimità della Conferenza sarebbe stata tanto più grande quanto più tutti i livelli di potere fossero stati rappresentati. Per quanto riguarda le principali Istituzioni, il Parlamento europeo ha ottenuto un numero elevato di suoi rappresentanti nella plenaria della Conferenza (108) al fine di assicurare la rappresentanza di tutte le forze politiche. Lo stesso numero di rappresentanti è stato assegnato ai Parlamenti nazionali per gli stessi motivi. Un numero significativo di rappresentanti (80) è stato previsto per i cosiddetti panels di cittadini europei che avrebbero dovuto costituire il vero gruppo di riflessione della Conferenza. Il Consiglio dell’Unione europeo si è accontentato di un numero dimezzato rispetto ai parlamentari (54) che permettesse la rappresentanza di due rappresentanti per ogni Stato membro. La Commissione europea ha ottenuto la presenza di tre Commissari, mentre le due Istituzioni europee secondarie (il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale) hanno potuto nominare 18 rappresentanti ciascuna. Dodici rappresentanti sono stati attribuiti alle parti sociali, otto alle organizzazioni della società civile e un numero di sei ai rappresentanti locali e regionali.

La struttura della Conferenza: la piattaforma multilingue

La piattaforma multilingue, messa in opera dalla Commissione europea nel maggio 2021, ha rappresentato la principale innovazione della Conferenza. Concepita come un portale informatico interattivo, la piattaforma ha permesso alle organizzazioni della società civile e ai singoli cittadini di pubblicare le loro proposte relative al futuro dell’Europa, di informarsi reciprocamente sugli eventi promossi nei vari paesi e di organizzare dibattiti nazionali o transnazionali. La piattaforma permetteva ai cittadini europei di pubblicare le loro proposte o commenti nelle varie lingue dell’Unione mediante l’obbligo di fornire un riassunto non eccedente le 500 parole. Il Segretariato congiunto della piattaforma si limitava a verificare che le proposte/testi inviati alla piattaforma non contenessero messaggi di odio, razziali o discriminatori e decideva sotto quale rubrica dovessero essere iscritte le varie proposte/commenti. Benché tale strumento abbia avuto un carattere innovativo permettendo di promuovere la conoscenza e un embrione di dibattito transnazionale tra i cittadini europei e le organizzazioni della società civile, la difficoltà di iscrivere le proprie proposte o commenti sulla piattaforma informatica in forma riassuntiva ha limitato fortemente il numero delle iscrizioni e delle proposte pubblicate sulla piattaforma. Quest’ultima ha comunque permesso di registrare sul suo sito gli eventi nazionali o transnazionali consacrati al tema del futuro dell’Europa. Inoltre, la registrazione delle proposte e i risultati dei dibattiti hanno permesso la redazione di rapporti di sintesi da parte del Segretariato della Conferenza, consultabili da parte di tutti gli interessati, che hanno alimentato le conclusioni dei lavori e la pubblicazione delle 49 raccomandazioni e delle 328 misure che rappresentano il lascito della Conferenza.

La struttura della Conferenza: i panels dei cittadini

I panels dei cittadini hanno costituito il vero gruppo di riflessione della Conferenza. 800 cittadini sono stati selezionati a caso nella popolazione europea da una società privata esperta di sondaggi e hanno partecipato tra il mese di settembre 2021 e di febbraio 2022 a tre cicli di dibattiti approfonditi o in presenza o in video-conferenza. Ciascuno dei panels ha discusso un tema specifico secondo le categorie della piattaforma : un’economia più forte, la giustizia sociale e l’occupazione; la cultura, l’educazione e la trasformazione digitale; la democrazia europea, i valori dell’Europa, la sicurezza e lo Stato di diritto; il cambiamento climatico, l’ambiente e la salute; l’Unione europea nel mondo e il fenomeno migratorio.

Uno degli elementi maggiormente innovativi dei panels è stato che i cittadini hanno potuto fissare essi stessi l’ordine del giorno delle loro riunioni. Nel corso della prima serie di riunioni, ciascuno dei quattro panels ha discusso le questioni giudicate le più pertinenti da parte dei cittadini e rese pubbliche sulla piattaforma della Conferenza. Sul piano procedurale, i membri dei panel hanno convenuto di formulare le loro conclusioni e di presentare agli altri membri della Conferenza durante le sedute plenarie di quest’ultima le conclusioni che fossero state adottate e votate da una maggioranza del 70% dei partecipanti. In tal modo, si è affermato il principio di una procedura maggioritaria per definire le conclusioni da presentare nelle sedute plenarie della Conferenza.

La scelta di selezionare a caso nella popolazione europea i cittadini che avrebbero dibattuto e presentato le loro conclusioni alla Conferenza ha suscitato qualche dubbio nelle forze politiche secondo cui dietro questa scelta aleatoria avrebbe potuto nascondersi un disegno preciso mirante a preselezionare dei cittadini che avessero una posizione politica predeterminata e quindi simile. Uno studio effettuato tuttavia da studiosi francesi sulle scelte aleatorie dei cittadini nella Convenzione sul cambiamento climatico ha dimostrato al contrario che la selezione a sorte dei cittadini garantisce un equilibrio demografico, sia di età che di sesso, fedele alle caratteristiche del tessuto sociale e rappresenta quindi una scelta ottimale per ottenere una rappresentanza verosimile dell’opinione pubblica [1]. Mentre i detrattori di questo formato d’inclusione popolare si lamentano del fatto che i cittadini partecipanti a tali consultazioni sarebbero in realtà persone “partigiane” nel senso che difendono posizioni pregiudiziali in favore di un risultato predeterminato, i risultati dello studio condotto dagli studiosi francesi precitati proverebbe che le opinioni dei delegati partecipanti alla Convenzione sul cambiamento climatico corrispondono a quelle dei cittadini interrogati a caso dagli autori dello studio. Personalmente, ritengo che la critica sul comportamento predeterminato di una selezione di cittadini scelti in modo aleatorio non sia fondata, mentre riconosco che la possibilità di presentare liberamente su una piattaforma informatica multimediale le proprie proposte miranti a modificare le politiche o le Istituzioni esistenti favorisce ovviamente la diffusione delle opinioni di chi è in favore di tali cambiamenti rispetto a chi vorrebbe mantenere lo status quo o addirittura tornare indietro rispetto alle politiche o alle Istituzioni esistenti.

Più fondamentalmente, i detrattori della Conferenza hanno contestato la scelta di implicare direttamente i cittadini nella definizione delle politiche e delle Istituzioni dell’Unione europea a scapito della democrazia rappresentativa incarnata dai parlamentari europei e nazionali e a vantaggio della democrazia diretta che essi considerano come una soluzione populista all’aumento dei nazionalismi a livello europeo. L’attuale Presidente pro-tempore del gruppo Spinelli in seno al Parlamento europeo (Sandro Gozi) ha avanzato due argomenti per rifiutare questa teoria. Da un lato, come affermato negli studi del politologo britannico Canovan [2], le democrazie liberali riposano su due elementi, di cui uno pragmatico, vale a dire lo Stato di diritto fondato sulla ripartizione dei poteri e delle competenze delle élites statali, e il secondo idealista, rappresentato dalla sovranità del popolo. “ Rifiutando il concetto del ruolo salvifico del populismo affermato negli studi di Canovan – afferma Sandro Gozi – si può concludere che la deriva verso l’estremità di ciascuno di questi due poli conduce al degrado della politica verso l’elitismo, quando la componente positivista e razionale si sostituisce alla sovranità popolare, oppure alla diffusione del populismo quando le strutture costituzionali sono degradate dall’esaltazione smoderata della democrazia diretta”. Sandro Gozi conclude che se l’equilibrio democratico e la legittimità delle strutture politiche dipendono dalla coesistenza armoniosa tra lo Stato di diritto e la sovranità popolare, in tal caso la Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta la sintesi perfetta delle due componenti e realizza un equilibrio armonioso tra la democrazia diretta e la democrazia rappresentativa. Infatti, da un lato, i panels dei cittadini non hanno un potere assoluto ma agiscono piuttosto come promotori di idee. Dall’altro, i rappresentanti delle Istituzioni devono rispettare l’apporto dei cittadini europei restando nei limiti fissati dalle strutture politiche e giuridiche definite dai sistemi giuridici nazionali ed europei esistenti.

Da un punto di vista puramente politico, mettere i cittadini all’inizio e alla fine di un processo di riforma dell’Unione europea potrebbe finalmente dissipare il mito di un’Europa che decide autonomamente quello che occorre fare senza preoccuparsi di verificare il consenso dei cittadini. I rappresentanti politici non saranno più in grado di far valere dei pretesti reali o supposti per bloccare un processo di riforma dell’Unione europea sapendo che la volontà dei loro propri cittadini è all’origine stessa dei progetti di revisione delle politiche o dei Trattati europei. Inoltre, da un punto di vista giuridico, ogni progetto di modifica dei Trattati dovrà essere ratificato dai Parlamenti nazionali (o dagli stessi cittadini in caso di referendum popolari), rappresentanti della sovranità popolare e pertanto giudici ultimi della necessità di attribuire o sottrarre delle competenze all’Unione europea [3].

Naturalmente, questa conclusione ortodossa suppone una rappresentanza popolare all’inizio e alla fine del processo di consultazione/deliberazione dei cittadini che rifletta effettivamente le opinioni della società civile organizzata e, soprattutto, che le Istituzioni destinatarie delle proposte dei rappresentanti dei cittadini europei deliberino sulle proposte di questi ultimi senza interpretare in un senso o nell’altro le loro richieste e, soprattutto, senza cercare di far valere che le richieste dei cittadini coincidono in realtà con le loro proprie posizioni di partenza.

L’articolo è in corso di pubblicazione sulla Rassegna di diritto pubblico europeo - Volume 1/2023.

Note

[1A. FABRE, B. APOUEY, T. DOUENNE, L-G.- GIRAUDET, J-F. LASLIER et A. MACE’ (“Convention citoyenne pour le climat”, PSE Working papers, disponibile su https://ideas.repec.org/p/hal/psewpa/halshs-02919695.html

[2M. CANOVAN “Trust the People ! Populism and the Two Faces of Democracy”, Political Studies, 1999, n° XLVII, pp. 2-16, disponibile su https://journals.sagepub.com/doi/10.1111/1467-9248.00184

[3SANDRO GOZI : “La Conférence sur l’avenir de l’Europe – Analyse juridique de la plus grande expérience démocratique du continent” pubblicato in “Revue du droit de l’Union européenne” n. 1-2022, Edit. Bruylant.

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